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Incontinenza urinaria, le soluzioni per fermare le perdite imbarazzanti

Sono un problema diffusissimo, che colpisce soprattutto le donne. Il primo passo è parlarne con il medico, senza falsi pudori. Perché per ogni forma c’è un rimedio

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Buone notizie per le donne che soffrono di incontinenza urinaria e devono assumere gli antimuscarinici.

Questi farmaci, prescritti per tenere a freno la vescica, non sono rimborsati dal Ssn e in passato prevedevano un esborso mensile di 60-70 €. Una cifra che si è ridotta a circa 25 € grazie all’avvento dei farmaci equivalenti.

«Dapprima è arrivata l’ossibutina. Poi anche la solifenacina è approdata in farmacia nella versione generica, consentendo di abbattere sensibilmente i costi», commenta la dottoressa Rosa Pappalardo, urologa presso l’Ospedale di Novara.

«A mio avviso, comunque, tutti gli antimuscarinici dovrebbero passare in fascia A perché rispondono a una patologia diffusa, che interessa il 15 per cento delle donne in post-menopausa. È vero, non si tratta di farmaci salvavita. Ma il disturbo ha un impatto molto negativo sulla vita sociale: chi ne soffre avrebbe diritto a curarsi a spese del Servizio sanitario».


I limiti dei farmaci

Gli antimuscarinici non sono adatti a tutti i casi di vescica debole. Curano l’“incontinenza da urgenza”, in cui la persona fatica a differire lo stimolo e non riesce ad arrivare in tempo alla toilette.

«Questa forma è dovuta a un’iperattività del detrusore, il muscolo interno alla vescica che si contrae al minimo stimolo», prosegue Pappalardo. «Si prescrivono allora delle molecole che bloccano i recettori responsabili della sua ipersensibilità. Alcune donne, però, non tollerano gli effetti collaterali di questi medicinali: bocca asciutta e con un sapore metallico, pelle secca, nausea, stitichezza. Senza contare che sono controindicati a chi è in cura per il glaucoma».


I vantaggi della tossina botulinica

Per questa ragione, spesso si punta su un’ipercollaudata terapia mininvasiva alternativa ai farmaci, che libera le donne dalla schiavitù della pillola quotidiana: la tossina botulinica. Sì, proprio quella che viene associata ai trattamenti antirughe e che in realtà rappresenta una cura a zero effetti collaterali per molte patologie, compresa la vescica iperattiva di origine neurogena.

«Alla fine del 1999 è stato pubblicato su Jama uno studio della Duke University di Durham (Carolina del Nord) condotto su 691 pazienti affetti da incontinenza da urgenza», spiega il professor Giuseppe Sito, specialista in urologia e in chirurgia plastica a Napoli, Torino e Milano.

«Con una sola seduta di tossina botulinica, il 97% dei pazienti ottenne un buon controllo della vescica per quasi un anno. Da allora il botulino è indicato per il trattamento dell’iperattività neurogena del detrusore e dal 2000 si esegue nei reparti di uro-ginecologia anche in Italia, in convenzione con il Ssn. Solo che i centri qualificati sono pochi e le liste di attesa lunghe, perché viene data la precedenza a chi soffre di malattie neurologiche come la Sla o la sclerosi multipla. Al nord, dove ci sono più centri, l’attesa è di tre-sei mesi, mentre al sud può arrivare a un anno».

La tossina si inietta in ambulatorio, in anestesia locale: sotto la guida di uno strumento ottico chiamato cistoscopio si fanno 30 microiniezioni di botulino che, inibendo la trasmissione nervosa, rilassa il detrusore.


Le cure per le forme da sforzo

Per l’incontinenza che si manifesta in seguito a colpi di tosse, starnuti, pianti, risate o sollevamento di pesi, le cure sono differenti.

«L’incontinenza da sforzo può essere transitoria e legata a gravidanze multiple, traumi o sforzi eccessivi in sala parto», risponde Pappalardo. «In questo caso è sufficiente seguire un programma di riabilitazione del pavimento pelvico con esercizi specifici, come quelli di Kegel, mirati a migliorare il tono dei muscoli che danno sostegno all’apparato urinario. Meglio se con l’ausilio del biofeedback, un sistema che educa la paziente a controllare il perineo e a eseguire correttamente gli esercizi tramite un feedback visivo o sonoro».

Vi sono però dei casi in cui la “ginnastica” non basta. Dopo la menopausa, ad esempio, la donna non può più contare sull’alleanza degli estrogeni, la cui carenza provoca un rilassamento dello sfintere uretrale. Peggio ancora se si verifica un prolasso della parete anteriore della vagina che, scivolando in avanti, trascina con sé l’uretra e la vescica (cistocele).

«In questi casi, si gioca la carta dell’intervento chirurgico», spiega il dottor Oreste Risi, responsabile del Dipartimento di urodinamica dell’ospedale di Treviglio (Bergamo).

«Se si diagnostica un’ipermobilità dell’uretra si ricorre all’applicazione di una benderella in polipropilene, posizionata in modo da darle sostegno e stabilità. È il classico sling sottouretrale o Tot (Trans obturator tape) che elimina le perdite di urina nel 75% dei casi. Nel restante 25%, e per i pazienti che hanno la cosiddetta “uretra fissa”, si opta per un intervento più innovativo chiamato bulking agent: iniezioni periuretrali o transuretrali di sostanze volumizzanti quali collagene, idrogel, macroplastic. Danno buoni risultati, ma vanno ripetute circa ogni due anni», avverte l’esperto.



Vinci lo stigma

All’utimo congresso della Siu (Società italiana di urologia), è emerso un dato allarmante: si impiegano mediamente cinque anni per parlare al medico del problema di incontinenza. Anni passati in silenzio, arrangiandosi con gli assorbenti, sperando che il disturbo si attenui da solo.

«Spesso ci si sente inadeguati e non si riesce a rompere il muro di imbarazzo», commenta Oreste Risi, responsabile del Dipartimento di urodinamica dell’Ospedale di Treviglio. «Chi soffre di incontinenza teme di essere stigmatizzata come persone anziana, incapace di controllarsi. È invece importante approdare a una diagnosi il prima possibile».



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Articolo pubblicato sul n. 8 di Starbene in edicola dal 4 febbraio 2020


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