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Infezioni batteriche: come combattere i germi tipici dei periodi caldi

Salmonella, stafilococco aureo, legionella… scopri i segreti dei germi che ti fanno ammalare in questa stagione

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Se c’è una stagione in cui il rischio di infezioni è al top, quella è l’estate. Viaggiamo di più, dunque siamo maggiormente esposti ai batteri che popolano alimenti mal conservati e acqua contaminata. Ci scopriamo molto di più del solito, lasciando che la nostra pelle entri a contatto con microorganismi potenzialmente pericolosi. Abbiamo minori possibilità di lavare spesso le mani, che diventano così il veicolo di germi capaci di provocarci problemi anche seri, se non affrontati in tempo e come si deve.

Ecco allora un mini manuale per difendersi dalle più diffuse infezioni batteriche dell’estate.


SE COLPISCONO L’INTESTINO

Mangiare cibi crudi o poco cotti, oppure mal conservati o non lavati con cura può scatenare una gastroenterite. «La carne, il pesce e le verdure, ma anche una pasta fredda o una caprese, i dolci con la crema, sono tutti alimenti ad alta probabilità di contenere batteri capaci di provocare un’infezione. Discorso analogo per il ghiaccio, perché il freddo non elimina, ma anzi conserva questi microorganismi», avverte il dottor Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione italiana dei microbiologi clinici.

I responsabili? Batteri come la salmonella, la shigella, alcuni tipi di escherichia coli o il campylobacter, in grado di dar luogo a sintomi precisi: «Nausea, conati di vomito o diarrea, dolori addominali, febbre improvvisa. Se questi disturbi non passano da soli, ma si protraggono per qualche ora, bisogna andare dal medico, che prescriverà anzitutto un antibiotico ad ampio spettro e poi una coprocoltura, cioè un test delle feci per individuare con precisione il germe responsabile dell’infezione e poterlo contrastare con un altro antibiotico più specifico», aggiunge l’esperto.

La terapia dura 4-8 giorni, durante la quale è bene bere molta acqua per recuperare i liquidi persi a causa dei sintomi iniziali, e seguire un’alimentazione leggera: «L’apparato gastrointestinale ha subìto uno shock, dunque non va sollecitato ulteriormente. Via libera, quindi, a cibi in bianco, leggeri, no a fritti o condimenti elaborati, dolci e alcolici. Importante che le pietanze siano sempre cotte, mai crude», ricorda Clerici. A seconda dell’entità del problema, si guarisce in 3-5 giorni al massimo.

«Per essere sicuri che il batterio sia stato definitivamente eliminato, il medico può prescrivere una seconda coprocoltura, a 20-30 giorni dalla terapia», conclude Clerici.


SE PRENDONO DI MIRA GLI OCCHI

Una delle più frequenti infezioni tipicamente estive si chiama blefarite: «È un’infiammazione che parte dal bordo della palpebra, per poi estendersi all’interno. Si verifica soprattutto con la stagione calda perché d’estate il nostro metabolismo cambia, sudiamo tanto e, in alcuni soggetti predisposti, certi batteri come lo stafilococco aureo o lo streptococco finiscono per avere la meglio sulle nostre difese immunitarie», sottolinea il dottor Marco Guizzi, oculista a Roma e dirigente medico di primo livello presso l’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli.

I sintomi? «Arrossamento, prurito e le tipiche squamette di pelle che si formano tra le ciglia, incollandole tra loro per un’eccessiva produzione di sebo». Molto spesso l’infezione si estende fino a interessare l’interno dell’occhio, trasformandosi in una blefaro-congiuntivite: «Per calmare i sintomi, sono efficaci gli impacchi di acqua (meglio se bollita o minerale in bottiglia) con acido borico, che si compra in farmacia e si trova in bustine. Applicati con una garza sterile per qualche minuto al mattino e alla sera, hanno un blando effetto antisettico».

Se però la zona è particolarmente irritata e la secrezione di sebo e pus è notevole, serve una terapia con i farmaci: «Di solito si usano colliri antibiotici come i fluorochinolonici, le tetracicline e amminoglicosidi: due gocce, 3-4 volte nell’arco delle 24 ore, per 5-6 giorni in tutto. Meglio se instillate almeno un’ora dopo aver fatto gli impacchi», precisa il dottor Guizzi. Se non ci sono complicanze, in una settimana al massimo il problema è risolto.

«Per evitare che il disturbo si ripresenti e che diventi cronico, portando con sé altri fastidi come l’orzaiolo, è consigliabile usare saponi ad hoc per l’igiene delle palpebre e delle ciglia. Si trovano anche sotto forma di mousse, che va passata con delicatezza sugli occhi ben chiusi prima di risciacquare con cura, solo al mattino, 2-3 volte la settimana», aggiunge Guizzi.

L’altra infezione protagonista dell’estate è la congiuntivite batterica: «Si può prendere al mare o in montagna, in condizioni di vento o senza. Di solito tutto dipende dalla scarsa igiene delle mani che, portate agli occhi, fanno da veicolo per gli stafilococchi e gli streptococchi», puntualizza il nostro esperto. «Si manifesta con l’arrossamento, accompagnato da una secrezione purulenta giallognola, prurito, lacrimazione e sensazione di fastidio alla luce. Di solito comincia in un solo occhio, per poi estendersi anche all’altro».

Per alleviare i sintomi, vanno bene i colliri da banco: «In farmacia ci sono diversi prodotti a base di acido borico, iodio e ozono. L’importante è evitare i rimedi della nonna, che oltre a essere inutili, sono anche dannosi: gli impacchi con la camomilla, per esempio, invece di lenire prurito e irritazione, li aumentano. E inoltre creano l’habitat ideale per la proliferazione dei batteri responsabili dell’infezione», avverte Guizzi.

Che fare? Occorre andare dall’oculista. «Lo specialista esegue un test rapido e indolore, chiamato striscio congiuntivale, che consiste nel passare un piccolo tampone nella congiuntiva. Serve a capire qual è il batterio responsabile dell’infezione e prescrivere un collirio antibiotico specifico».

Dopo 3-4 giorni di terapia, quando la situazione migliora sensibilmente, l’oculista aggiunge un secondo collirio cortisonico: «È indispensabile per dare il colpo di grazia ai batteri. Per altri 3-4 giorni il paziente deve prendere i due colliri insieme, due volte nelle 24 ore. Se di solito si usano le lenti a contatto si potrà tornare a metterle non prima di 15 giorni dalla scomparsa totale dei sintomi», conclude il dottor Guizzi.


SE ATTACCANO LA PELLE

L’impetigine può colpire in qualunque parte del corpo, soprattutto i bambini, ma spesso anche gli adulti.

Questa infezione superficiale della pelle è molto frequente nei mesi estivi: «Nella stagione calda ci sono ampie porzioni del corpo scoperte ed è più facile che la cute sia irritata per una dermatite o un eritema solare. Tutto ciò agevola il lavoro di batteri come lo stafilococco e lo streptococco, che si insinuano nell’organismo proprio attraverso microlesioni della pelle causate per esempio dalla puntura di un insetto e dal successivo grattamento», puntualizza il dottor Antonio Cristaudo, responsabile del Servizio di dermatologia allergologica e professionale dell’Istituto dermatologico San Gallicano a Roma. «Il problema si manifesta inizialmente con un arrossamento, di solito localizzato in una o due zone del corpo, meno spesso diffuso in più parti. Nel giro di circa 24-48 ore si formano delle vescicole contenenti pus, che poi si rompono, rendendo il paziente particolarmente contagioso, e infine si trasformano in crosticine».

Come combattere il prurito e lenire il fastidio generalizzato sulla pelle? «Con acqua e sapone neutro oppure con un blando disinfettante da banco in farmacia o parafarmacia. Si pulisce la parte interessata, poi si asciuga con una garza sterile». Quindi bisogna andare dal medico: «Dopo aver escluso che si tratti di un fungo o di una forma virale, per esempio un herpes, prescriverà una crema antibiotica da applicare al mattino e alla sera, per 3-4 giorni, proteggendo la parte con una garza sterile da sostituire a ogni trattamento. Se le lesioni sono invece presenti in più parti del corpo, sarà necessario un antibiotico per bocca da prendere per 5-6 giorni», conclude il dottor Antonio Cristaudo.



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Articolo pubblicato sul n. 36 di Starbene in edicola dal 21/8/2018

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