Sei in menopausa e hai già le ossa fragili? Controlla il PTH
Il paratormone è il regista segreto del nostro metabolismo osseo. Dopo i 50 anni nelle donne tende spesso a salire perché non si introducono sufficienti dosi di calcio e, soprattutto, di vitamina D. Fatti prescrivere il suo dosaggio dal medico di base e scopri come abbassarlo

Forse sei “iper” o “ipo” tiroidea e sai tutto sulla tiroide, che tieni periodicamente sotto controllo. Ma non sai nulla del paratormone (o ormone paratiroideo) che negli esami del sangue trovi indicato con la sigla PTH. Eppure anche questo è un ormone chiave per assicurarti una lunga vita in salute, e va tenuto sott’occhio soprattutto perché dopo l’entrata inmenopausa tende a “sballare” un po’ creando dei disordini metabolici che è meglio intercettare sul nascere. Per scoprire luci e ombre del paratormone abbiamo intervistato il dottor Andrea Palermo, ricercatore in endocrinologia presso la Fondazione Universitaria Campus Bio-Medico di Roma.
Dottor Palermo, che cos’è il PTH e a cosa serve?
È un ormone secreto dalle paratiroidi, quattro ghiandoline endocrine nascoste dietro le “ali” della tiroide che, com’è noto, ha la classica forma di una farfalla ed è posta alla base del collo. Il compito del PTH è quello di regolare i livelli di minerali, soprattutto di calcio e fosforo, all’interno del nostro organismo. È quindi importante che questa secrezione, che come tutti gli ormoni segue dei ritmi circadiani, rientri nel range di normalità.
Tutte le donne devono dosare il PTH?
Assolutamente no. Il dosaggio ematico del PTH non viene normalmente prescritto dal medico di base nei controlli di routine, ma è indispensabile eseguirlo in tre casi: quando gli esami del sangue mostrano valori di calcio e di fosforo alterati, quando la donna è affetta da calcoli renali recidivanti oppure presenta un’osteoporosi severa. Condizioni, queste, che rendono necessario un approfondimento diagnostico. Occorre precisare che, mentre la prescrizione della calcemia rientra negli screening di routine post-menopausa, il fosforo non viene sempre richiesto. È invece importante dosare anche questo minerale, spesso “dimenticato”, perché può essere la spia di una disfunzione delle ghiandole paratiroidi.
Quali sono le disfunzioni più frequenti? 
L’iperparatiroidismo rappresenta la condizione molto più diffusa nelle over 50 rispetto all’ipo. La carenza di PTH, infatti, è piuttosto rara e si verifica per rare malattie genetiche o autoimmuni, oppure come danno accidentale alle paratiroidi legato alla rimozione chirurgica della tiroide (in questo caso si parla di ipoparatiroidismo iatrogeno o post-chirurgico, che comporta un ribaltamento della situazione: dall’eccesso alla carenza di PTH).
Soffermandoci sull’iperparatiroidismo, è importante sapere che può essere di due tipi: quello definito primitivo, meno frequente perché legato alla formazione di un tumore benigno in una di queste ghiandoline, cioè un adenoma che va rimosso chirurgicamente, e quello definito “secondario” perché dovuto a un deficit di sostanze vitali, quali il calcio e la vitamina D. Nel primo caso (quello primitivo) gli esami del sangue mostrano il PTH alto, il calcio alto e il fosforo basso (quest’ultimo però può anche essere normale, abbassandosi solo nel 60% dei casi). Nel secondo caso (quello secondario) il PTH è sempre alto, mentre calcio e fosforo sono nella norma o un po’ bassi.
Che cosa comportano questi valori alterati?
PTH e calcio alti creano soprattutto problemi di fragilità ossea e di osteoporosi, mentre inadeguati livelli di fosforo nel sangue (cioè una fosfatemia bassa) può causare dolori muscolari, apparentemente inspiegabili, così come una minore densità ossea. Inoltre, quando il calcio supera una determinata soglia la donna può manifestare delle aritmie cardiache perché questo prezioso minerale non solo rinforza denti e ossa ma è coinvolto anche nella contrazione e rilassamento di tutti i muscoli, compreso il cuore. Se invece è solo il PTH alto, mentre i due minerali vanno bene o sono un po’ bassini, basterebbe riscontrare la probabile carenza di vitamina D che ha fatto sballare tutto il quadro.
Lei ha accennato al deficit di calcio e vitamina D. Che cosa comporta? 
Si tratta di due carenze che si riscontrano molto spesso in menopausa e che determinano, appunto, l’iperparatiroidismo secondario. Un inadeguato apporto di calcio (tipico di chi segue una dieta vegana o ha depennato i latticini dalla dieta) induce nell’organismo un meccanismo compensatorio. C’è poco calcio in circolo? Allora viene prelevato dalle ossa, impoverendo lo scheletro, e al contempo si aumenta il suo assorbimento intestinale e il riassorbimento a livello dei reni. Insomma, per mantenere livelli adeguati di calcio il nostro organismo, un po’ come un termostato che mantiene la temperatura costante, cerca di tamponare la situazione sequestrandolo dove può, con il rischio però di andare incontro a forme severe di osteoporosi o a calcoli renali di ossalato di calcio.
Stesso discorso per la vitamina D: se è insufficiente, le ghiandole paratiroidi compensano anche in questo caso. In che modo? Aumentando la produzione di PTH che a sua volta stimola la sintesi endogena di vitamina D. In menopausa, bisognerebbe quindi misurare periodicamente la concentrazione di calcio e vitamina D nel sangue, per evitare di innescare questo circolo vizioso di compensazioni che fa bene da una parte e male dall’altra. Secondo le linee-guida internazionali, dopo i 50-55 anni è indispensabile avere almeno 20 ng/mL di vitamina D, se si ha una buona densità minerale ossea, e almeno 30 ng/mL se si inizia a soffrire di osteopenia o di osteoporosi. Circa il calcio, per restare in forma bisogna assicurarsi un intake di 1,2 g al giorno: se non si amano latte e latticini, si può puntare sugli integratori alimentari o inserire nel carrello della spesa alimenti fortificati in calcio, quali latti vegetali, yogurt di soia, spremuta di arance e fette biscottate arricchite non solo di calcio ma anche di ferro e vitamine.
È vero che anche l’obesità contribuisce ad innalzare il PTH? 
Sì, è vero. Sappiamo ormai con certezza che sia l’obesità sia il marcato sovrappeso sono molto frequentemente associati a ipovitaminosi D che, come ho spiegato, è proprio il primo step per far lievitare il PTH. Questo perché il tessuto adiposo tende a sequestrare la vitamina D e ad accumularla al suo interno, abbassando di riflesso i suoi livelli in circolo. Inoltre, un soggetto obeso ha minori capacità di attivare la vitamina D al livello epatico. Il consiglio? Prima di fasciarsi la testa con dei valori sballati, alcune volte basta perdere i chili di troppo e rientrare nel peso forma per riequilibrare i livelli di vitamina D e, di conseguenza, quelli di PTH. A riprova che molto dipende da noi e che un reset dello stile di vita è, come sempre, la miglior medicina.
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