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Mal di schiena: cosa sono le discopatie e come si curano

Quando i dischi intervertebrali degenerano, possono insorgere dolore e mal di schiena. L’importanza di una diagnosi rapida e corretta

Foto: iStock



Insieme al raffreddore, il mal di schiena è il motivo più comune di visita al medico di base e rappresenta la principale causa di assenza dal lavoro: secondo il Global Pain Index, colpisce il 97% degli italiani e circa sei su dieci ne soffrono ogni settimana. «Dai 20 ai 40 anni sono piuttosto comuni le lombalgie acute, che si risolvono entro un mese e sono dovute a un banale colpo di freddo, uno sforzo, un trauma oppure alla nota ernia del disco», racconta il dottor Marco Conti, fisiatra presso il Poliambulatorio delle Terme di Castrocaro. «Successivamente, in particolare dai 40 ai 60 anni, sono più frequenti le lombalgie croniche, che persistono per oltre tre mesi oppure si presentano in modo recidivante, arrivando spesso a compromettere la qualità di vita». Fra le principali cause di lombalgia cronica c’è la discopatia, ovvero un’alterazione dei dischi intervertebrali, quei cuscinetti elastici (alti circa sei millimetri e composti da un nucleo polposo ricco per oltre l’80% di acqua) interposti tra una vertebra e l’altra: «Queste strutture fibrocartilaginee svolgono un ruolo fondamentale nella colonna vertebrale, perché le consentono di muoversi, flettersi e ruotare: in loro assenza, la nostra schiena sarebbe completamente rigida», spiega l’esperto.


Che cos'è una discopatia

Con il tempo, però, questi dischi tendono a collassare e degenerare, per cui smettono di svolgere il loro lavoro: «In questi casi si parla di discopatia, che rappresenta quindi un’alterazione dei dischi intervertebrali e, solitamente, è dovuta a una loro disidratazione». A quel punto si riduce lo spessore dei dischi, che si “schiacciano” e tendono ad allargarsi lungo tutta la circonferenza, oltre il loro confine fisiologico, formando la cosiddetta protrusione». Il tessuto che fuoriesce dalla sede naturale può andare a toccare strutture molto delicate, come i nervi spinali, oppure può improntare il sacco durale, cioè l’involucro esterno del midollo spinale: «A seconda di quanto è ampia la protrusione, si possono avere vari quadri di dolore, più o meno intenso, più o meno localizzato».


Come distinguere la discopatia dal semplice mal di schiena

Di solito, il dolore indotto da una discopatia è “orizzontale”, ovvero si localizza nella zona in cui è presente la protrusione discale e tende a non fuoriuscire da quell’area. Talvolta, però, può evolvere nella nota sciatalgia (riconoscibile per il dolore che si irradia sia lateralmente sia posteriormente a coscia e gamba verso la pianta del piede), che nella sua forma grave è dovuta quasi sempre all’ernia del disco: «In questo caso il disco non è soltanto deteriorato, ma arriva a rompersi comportando la fuoriuscita del nucleo polposo, che invade lo spazio circostante comprimendo le radici nervose», descrive il dottor Conti.

«Per arrivare a una diagnosi precisa, è necessaria una visita specialistica che si avvalga anche di alcuni esami, come radiografia, Tac o risonanza magnetica del rachide lombosacrale. Soprattutto l’ultima è in grado di osservare con precisione le condizioni di idratazione dei dischi intervertebrali, di misurare le eventuali protrusioni e di valutare se queste vanno a toccare le strutture nervose circostanti». Di solito, la discopatia interessa un unico livello (il più colpito è quello collocato fra la quinta vertebra lombare e la prima sacrale, la più sovraccaricata), altre volte invece ci sono più dischi interessati dal problema e il classico sintomo è la rigidità della colonna vertebrale.


Quali sono i fattori di rischio

La principale causa di discopatia è l’invecchiamento fisiologico, perché la degenerazione dei dischi intervertebrali fa parte della normale usura a cui l’organismo va incontro nel corso del tempo. «Un ulteriore fattore di rischio è il sovraccarico della colonna vertebrale, dovuto principalmente a sovrappeso e obesità che provocano un maggiore schiacciamento dei dischi, ma anche alla gravidanza, quando è facile per le donne incorrere nel dolore lombare».

Un altro fattore di rischio è il fumo di sigaretta, che riduce l’ossigenazione dei tessuti e determina delle vasculopatie, cioè un’occlusione dei vasi sanguigni, anche a livello della schiena, aumentando i fenomeni di degenerazione vertebrale. «E poi c’entrano la vita sedentaria, una scarsa idratazione e la mancanza di attività fisica intensa e costante, scelta in base alle caratteristiche personali», tiene a precisare il dottor Conti.


Come si cura 

In caso di lombalgia acuta, il dolore può essere attenuato in maniera farmacologica (mediante antinfiammatori e analgesici) oppure con l’ossigeno-ozonoterapia, che consiste in iniezioni intramuscolari paravertebrali, dunque nella zona dolente, di una miscela a base di ossigeno e ozono, dosata mediante un apposito macchinario. «Quando invece la lombalgia tende a cronicizzarsi perché si è in presenza di una discopatia, la prima regola è rieducarsi alla vita quotidiana: ciò significa che il medico fisiatra e il fisioterapista insegnano come comportarsi correttamente nelle varie situazioni, come compiere movimenti corretti, come correggere la postura, come mantenersi in movimento.

In sostanza, il trattamento deve essere attivo, nel senso che il paziente non è l’esecutore di prescrizioni mediche, ma un cosciente protagonista della propria terapia». Enormi vantaggi si possono ottenere con l’idrokinesiterapia, una terapia basata sul movimento in acqua, possibilmente termale ad alta mineralizzazione, che consente di decoaptare i dischi intervertebrali, cioè di ridurre il carico su di essi, compiere esercizi di rinforzo della muscolatura addominale e del tronco, in modo da bilanciare e riportare in asse la colonna vertebrale. A chi rivolgersi? «Le prime figure di riferimento sono il medico fisiatra e, subito dopo, il fisioterapista. In caso di lombalgia acuta invece, che fa sospettare ernia del disco o altre problematiche, entrano in gioco anche l’ortopedico e il neurochirurgo», conclude il dottor Conti.


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