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Anosmia o perdita dell’olfatto: cosa fare

L’anosmia o perdita dell’olfatto in seguito al Covid-19 può durare da pochi giorni a qualche settimana. Ma il problema può essere anche sintomo di altri disturbi. Ne parliamo con l’esperto

credits: iStock



Circa il 60 per cento dei pazienti affetti dal virus Sars-cov-2 presenta un fastidioso disturbo: l’anosmia. Ovvero l’alterazione della percezione degli odori, a volte anche del gusto (ageusia), che impatta negativamente sulla qualità della vita, compromettendo l’innegabile piacere di sedersi a tavola e godere del buon cibo.

Alimentarsi può quindi diventare un atto dovuto, senza odore né sapore, un semplice gesto necessario a soddisfare le esigenze energetiche del nostro organismo. L'anosmia o compromissione dell’olfatto ha una durata variabile, da pochi giorni a qualche settimana, e purtroppo non è sempre facile prevedere quando avverrà la ripresa di questo senso così importante che solo con il Covid abbiamo imparato a non dare per scontato.

Anche se questo disturbo spaventa molto, e, unito ad ageusia, mancanza di gusto, porta ad alimentarsi in modo svogliato (e a dimagrire per scarso appetito), la buona notizia è che sia l’olfatto sia il gusto vengono ripristinati, una volta risolta l’infezione.


L'anosmia può essere sintomo di altri disturbi

«L’alterazione dell’olfatto può declinarsi in vari modi. Per esempio, si possono avvertire odori forti e persistenti come quello della benzina, ma non l’aroma delicato delle fragole (ma esiste anche la cacosmia, ovvero la distorsione degli odori, che possono essere percepiti come sgradevoli pur non essendolo)», dice il dottor Luca Malvezzi, specialista in otorinolaringoiatria e chirurgia cervico-facciale presso l’Humanitas Research Hospital di Rozzano, alle porte di Milano.

«Anche se il termine anosmia è stato “sdoganato” dalla pandemia in corso, non sentire gli odori, in modo più o meno lieve o in forma passeggera o cronica, può essere la conseguenza di molti altri virus respiratori (la grande famiglia dei Rhinovirus), responsabili del comune raffreddore o di stati influenzali, e presenti non solo d’inverno ma anche durante la stagione delle allergie», spiega il dottor Luca Malvezzi.

Ma in che modo i virus che prendono di mira le vie aeree possono portare a una perdita dell’olfatto? Perché i virus penetrano nelle mucose nasali, danneggiandole. Spiega il dottor Luca Malvezzi: «Dal punto di vista anatomico, possiamo immaginare la base cranica anteriore, ovvero la barriera di separazione tra naso ed encefalo, come un sensore. Quest’area è costituita dalla lamina fibrosa dell’etmoide ed è attraversata dai “filuzzi olfattori”, fibre nervose che trasportano le molecole odorose. Stimolata dagli odori, la mucosa della fessura olfattoria, li trasferisce al bulbo olfattivo e di qui al cervello, dove le sensazioni olfattive vengono codificate».

Naso e cervello, quindi, sono intimamente connessi per vie nervose. In presenza di infezioni virali, queste vie neurosensoriali vengono danneggiate, i recettori si “addormentano” e gli odori non vengono più percepiti, oppure avvertiti in modo debole o distorto. Una volta guariti, le mucose nasali, sede delle cellule olfattive, si ripareranno da sole ripristinando le corrette vie di comunicazione tra naso ed encefalo.


Anosmia e rinosinusite cronica

Non sentire gli odori in modo irreversibile esige un tempestivo inquadramento diagnostico da parte del medico specialista in otorinolaringoiatria. «Circa il 12 per cento della popolazione italiana soffre di rinosinusite cronica, con o senza poliposi nasale», avverte il dottor Luca Malvezzi. «L’80 per cento dei pazienti con rinosinusite cronica, cioè con sintomi che persistono da oltre 12 settimane, presenta un quadro di infiammazione severo».

«Oltre a lamentare ostruzione nasale, i pazienti riferiscono altri sintomi: congestione e accentuata produzione di muco, mal di testa con senso di peso e dolore facciale (a livello della proiezione dei seni paranasali sul volto) e, naturalmente, compromissione del senso dell’olfatto. Nel tempo, la congestione nasale e il cronicizzarsi dell’infiammazione porta alla degenerazione della mucosa rinosinusale, con conseguente formazione di polipi. Inoltre, il perenne senso di ottundimento e stordimento auricolare, con i suoni che giungono ovattati, disturba anche il sonno. Fatto che ha dei risvolti negativi sulla vita scolastica e lavorativa. Senza contare che a volte, a peggiorare la situazione, subentra l’asma, per il cronicizzarsi dell’infiammazione anche nelle basse vie aeree».

Per questa ragione occorre non sottovalutare i sintomi della rinosinusite cronica, vista come la complicanza di un banale raffreddore, ma affidarsi a un otorinolaringoiatra per una diagnosi di precisione. Solo lo specialista, dopo un’accurata ispezione e opportuni accertamenti diagnostici, può delineare un percorso terapeutico personalizzato, capace di prevenire complicanze a lungo termine e migliorare sensibilmente la qualità di vita dei pazienti.


Le cure per “far tornare” gli odori

La rinosinusite con poliposi è una patologia complessa, con aspetti clinici diversi. Il paziente dev’essere messo al centro di un progetto terapeutico multidisciplinare, che vede la stretta collaborazione tra otorinolaringoiatra, allergologo-immunologo e pneumologo. Al di là della prescrizione di cortisonici sistemici, il ricorso alla chirurgia è spesso necessario. «Si tratta di un intervento mininvasivo, eseguito in endoscopia (cioè senza incisioni esterne ma passando dalle narici) e in day-hospital, senza notti di ricovero. Se eseguito da mani esperte, possono essere evitati anche i fastidiosi tamponcini nasali post- intervento», spiega ancora il dottor Luca Malvezzi.

«L’intervento ripristina le corrette vie di drenaggio mucoso dei seni paranasali, modificando la struttura anatomica del labirinto etmoidale. Negli ultimi anni si è aggiunta un’altra opzione terapeutica, alternativa sia all’intervento sia alla classica terapia farmacologica: la prescrizione di anticorpi monoclonali, farmaci biologici di ultima generazione diretti contro i cosiddetti “effettori dell’infiammazione”. Gli anticorpi monoclonali vanno somministrati a vita attraverso iniezioni sottocutanee, con una frequenza differente a seconda del farmaco impiegato. Il loro utilizzo è un esempio della cosiddetta medicina di precisione, un modello terapeutico confezionato su misura sul singolo paziente, capace di predire l’azione del farmaco e di prevenire le complicanze della rinosinusite». Per questo gli anticorpi monoclonali vengono tendenzialmente prescritti solo a pazienti selezionati, che non rispondono ai comuni farmaci o per i quali l’intervento è controindicato.


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