Dermatiti, coliti, depressione: tante malattie e una sola causa, l’infiammazione

Moltissimi disturbi, dai problemi cardiovascolari al morbo di Crohn, sembrano avere un’origine comune. Una scoperta che rivoluziona la medicina



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Un po' come dei pompieri, i ricercatori del National Heart, Lung and Blood Institute (Nhlbi) americano sono riusciti a "spegnere" l’infiammazione cronica responsabile della psoriasi ben visibile sulla pelle di un centinaio di pazienti. Hanno inaspettatamente sconfitto anche l’infiammazione ben più sfuggente che logorava le loro arterie, riducendo la formazione di placche aterosclerotiche nelle coronarie, proprio come avrebbe potuto fare una statina contro il colesterolo.

Il risultato, pubblicato sulla rivista Cardiovascular Research, è stato ottenuto con un anno di terapia a base di farmaci biologici. Queste molecole mimano quelle naturalmente presenti nell’organismo con lo scopo di modulare l’azione del sistema immunitario: bloccano in maniera mirata le sostanze infiammatorie o i loro recettori, esattamente come un pompiere che tenta di bloccare un piromane.


I farmaci biologici, la chiave di volta

«È un risultato molto importante», commenta Alberto Margonato, primario di cardiologia clinica dell’Irccs ospedale San Raffaele.

«È la prima volta che un trattamento antinfiammatorio si dimostra efficace contro l’aterosclerosi coronarica, confermando di fatto quello che sospettavamo da tempo, ovvero che anche alla base di questa malattia, “anticamera” dell’infarto, c’è un processo infiammatorio».

Fu proprio uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 1994 a definire per la prima volta l’aterosclerosi come una malattia infiammatoria, probabilmente scatenata dal colesterolo “cattivo” che penetra nelle pareti delle arterie danneggiate (per esempio dall’ipertensione).

«Per anni sono state condotte sperimentazioni cliniche per provare a spegnere questa infiammazione con tradizionali farmaci antinfiammatori e cortisone, ma senza successo», ricorda il cardiologo. «Se il risultato ottenuto con i farmaci biologici venisse confermato anche su pazienti senza psoriasi, ma con elevato rischio cardiovascolare, si aprirebbero nuovi scenari: significherebbe poter usare questi farmaci per prevenire l’infarto o le recidive in chi non risponde alle cure tradizionali».



Un nuovo modo di considerare le patologie

«Si tratta di una vera rivoluzione per la cardiologia, così come quella che si sta già vivendo per la cura delle malattie della pelle», sottolinea Piergiacomo Calzavara Pinton, direttore della Clinica dermatologica dell’Università di Brescia.

«La dermatologia ha fatto da apripista sia perché le malattie della pelle sono molto diffuse, sia perché consentono di monitorare a vista gli effetti delle terapie. Non è dunque una sorpresa che da ricerche su malattie come la psoriasi, l’alopecia areata o la vitiligine, possano nascere spunti interessanti anche per altre patologie. È accaduto per esempio con i farmaci biologici contro la dermatite atopica, che si sono rivelati efficaci anche contro la poliposi nasale e l’asma bronchiale».

Sono infatti sempre più numerosi gli studi che riconoscono nell’infiammazione il denominatore comune a condizioni anche molto diverse, che possono colpire la pelle e le articolazioni, le arterie e l’intestino, le gengive e le vie respiratorie. Questa consapevolezza sta cambiando il modo di considerare le malattie, come spiega Calzavara Pinton.

«In medicina si sta facendo strada un nuovo modo di classificare le patologie non più in base alla loro manifestazione clinica, cioè ai sintomi, ma in base all’alterazione immunitaria sottostante: sappiamo, per esempio, che malattie molto diverse come la psoriasi, l’artrite reumatoide e il morbo di Crohn, sono accomunate dalla presenza di alcuni mediatori dell’infiammazione tra cui la citochina TNF-alfa».

La vera sfida per il futuro sarà identificare quali bersagli molecolari colpire con i farmaci: in poche parole, bisognerà individuare i “piromani” dell’infiammazione che, con i loro blitz, scatenano malattie differenti in parti del corpo anche distanti fra loro.


La ricerca sugli “estintori” deve fare ancora molti passi avanti

Se contiamo quanti sono i messaggeri dell’infiammazione e i loro recettori nel corpo umano, scopriamo che sono numerosissimi, simili a semafori posti agli incroci di oltre 30-40 vie infiammatorie che portano a malattie diverse.

«Per questo un farmaco efficace contro la psoriasi può non funzionare contro il morbo di Crohn», spiega Antonio Gasbarrini, professore ordinario di gastroenterologia all’Università Cattolica e direttore di medicina interna e gastroenterologia al Policlinico Gemelli di Roma.

«Inoltre, bisogna considerare che questi nuovi farmaci biologici non sono privi di effetti collaterali: se attivano in maniera troppo energica il sistema immunitario, c’è il rischio che insorgano malattie autoimmuni, mentre se lo inibiscono troppo, è possibile che si sviluppino tumori».


Con l’alimentazione si possono prevenire gli “incendi”

Nell’attesa che l’esperienza clinica ci dica come maneggiare con cura questi potenti “estintori”, è possibile mettere in atto un piano B: andare a bloccare le molecole incendiarie direttamente nel loro covo, cioè l’intestino.

«L’80% del nostro sistema immunitario si trova nell’apparato digerente, soprattutto nel tessuto linfoide nella mucosa intestinale, riccamente popolata da cellule infiammatorie deputate a difenderci da virus, batteri, miceti e altri “invasori” che arrivano nell’apparato digerente attraverso quello che mangiamo e beviamo», dice Gasbarrini.

Non è un caso, quindi, che nell’intestino sia presente una ricca comunità di batteri, il microbiota, che vive in simbiosi con noi dialogando con il sistema immunitario per garantirne un’efficace difesa. Se però gli invasori riescono a fare breccia, le molecole messaggere dell’infiammazione si moltiplicano ed entrano più facilmente in circolo: le “torce” che dovrebbero usare per illuminare il nemico e richiamare i rinforzi diventano così armi improprie, che rischiano di appiccare il fuoco nei distretti più vulnerabili.

La notizia positiva, spiega Gasbarrini, è che queste torce possono essere spente prima che lascino l’intestino: «Basta seguire una dieta antinfiammatoria in grado di modificare la comunicazione tra microbiota e sistema immunitario. Bisogna poi tenere a bada lo stress, perché il cervello comunica con l’intestino e, in casi di emergenza, può chiedergli di attivare il sistema immunitario: non è un caso che le malattie autoimmuni si scatenino dopo periodi di affaticamento fisico ed emotivo».



Se le “fiamme” arrivano al cervello

Non solo malattie cardiovascolari, autoimmuni e tumori: anche la depressione potrebbe essere causata da un’inffiamazione. È l’ipotesi dello psichiatra britannico Edward Bullmore nel libro La mente in fiamme, in cui sostiene che la componente infiammatoria potrebbe essere cruciale per almeno un terzo delle depressioni. Le ipotesi sono diventate certezze per quanto riguarda le malattie neuro-degenerative del cervello.

È stato dimostrato che l’infiammazione accompagna le lesioni cerebrali provocate dall’Alzheimer, anche se uno studio appena pubblicato su Neurology dalla McGill University in Canada ha un po’ raffreddato gli entusiasmi dimostrando che un comune antinfiammatorio come il naprossene non riesce ad arrestare la progressione della malattia.

Una ricerca pubblicata su Brain dall’Istituto Mario Negri e dall’Università dell’Insubria ha invece dimostrato che, nel morbo di Parkinson, l’attivazione della risposta infiammatoria contribuisce in modo determinante al danno cognitivo.



La regola n. 1: combattere l’obesità

L’obesità si associa a uno stato di infiammazione cronica che colpisce tutto l’organismo pur rimanendo sotto traccia. Sono le stesse cellule del tessuto adiposo a inviare segnali che inducono la produzione di molecole pro-infiammatorie, favorendo l’insorgenza di molte malattie incluse quelle cardiovascolari e i tumori.

Per contrastare questa condizione, le armi principali restano l’attività fisica, praticata con regolarità, e una sana alimentazione, fatta secondo i canoni della dieta mediterranea.

A tavola meglio limitare carni lavorate come salumi e salsicce, cibi fritti, bibite zuccherate, carboidrati raffinati, strutto e margarine. Via libera invece agli alimenti con azione antinfiammatoria come pomodori, arance, frutti rossi (come mirtilli e ciliegie), frutta a guscio (per esempio noci e mandorle), cereali integrali, verdure a foglia verde (come spinaci e lattuga), pesci ricchi di grassi “buoni” (sgombro, sarde e salmone) e infine olio extravergine d’oliva.



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Articolo pubblicato nel n° 23 di Starbene in edicola dal 21 maggio 2019

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