Come si limita l’antibiotico resistenza?

Servono tante strategie insieme per limitare il rischio di infezioni da ceppi resistenti



Un rischio particolarmente rilevante per la salute pubblica è rappresentato dal progressivo aumento di microrganismi resistenti agli antibiotici, sempre più spesso con profili di multi-resistenza o addirittura di pan-resistenza, soprattutto in ambito sanitario e socio-sanitario.

L’urgenza di affrontare efficacemente questo fenomeno è testimoniato dall’impegno di numerose organizzazioni e istituzioni sanitarie a livello mondiale.

L’Italia, come mette in guardia lo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDP) è uno dei paesi dove si contano più batteri resistenti all’azione normalmente svolta dagli antibiotici, forse anche perché risulta essere il primo paese europeo per consumo di antibiotici somministrati per via iniettabile ed il quinto per consumo di antibiotici: mediamente infatti gli italiani assumono circa il 50% di antibiotici in più rispetto agli inglesi e ai tedeschi.


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I dati su consumo e utilizzo di antibiotici in Italia sono tutt’altro che rassicuranti: secondo l’ultimo rapporto dell’Osmed 2014 (Osservatorio Nazionale sull’impiego dei medicinali dell’AIFA), l’impiego inappropriato di antibiotici supera il 30% in tutte le condizioni cliniche studiate all’interno della popolazione adulta in carico al Medico di Medicina Generale.

E non c’è dubbio che l’eccesso di utilizzo degli antibiotici rappresenti una concausa di notevole valenza allo sviluppo di microrganismi resistenti.

È anche vero che grazie ai grandissimi progressi fatti in medicina, come lo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche, l’estendersi di procedure diagnostico-terapeutiche non invasive, i molti farmaci innovativi, se da un lato hanno aumentato l’allungamento dell’aspettativa di vita, dall’altro hanno ampliato la popolazione di pazienti fragili, sempre più esposti al rischio infettivo, con conseguente aumento di utilizzo di farmaci antibiotici.

Le resistenze ai microrganismi, purtroppo, si sviluppano più rapidamente di quanto la ricerca sia in grado di produrre nuovi farmaci in grado di combatterli.

Per contrastare tale fenomeno sono necessari interventi coordinati che coinvolgano le Aziende sanitarie a tutti i diversi livelli di competenza, che affrontino sia il tema dell’uso responsabile di antibiotici sia quello della prevenzione della trasmissione di infezioni in ambito assistenziale, coinvolgendo, oltre all’ospedale, anche il territorio.

Interventi semplici, come il corretto lavaggio delle mani, sarebbero in grado infatti di ridurre del 20-30% le infezioni e di conseguenza il consumo di antibiotici.

Il miglioramento delle pratiche professionali in tema di prescrizione di antibiotici è un obiettivo irrinunciabile perché l’evoluzione delle resistenze microbiche ha raggiunto livelli di massima allerta.

Prescrivere in modo appropriato significa ricorrere agli antibiotici solo quando è strettamente necessario, con scelta del farmaco, dosaggi e durata dei trattamenti adeguati ai singoli casi.

Appare quindi fortemente razionale, per contenere l’emergere e il diffondersi dell’antibiotico-resistenza, confrontare idee e metodologie coinvolgendo infettivologi, farmacisti e microbiologi per definire strategie efficaci e idonee politiche prescrittive nei diversi contesti.

«L’utilizzo troppo disinvolto e spesso indiscriminato di antibiotici è solo uno dei fattori che contribuisce a sostenere il fenomeno dell’antibiotico-resistenza – sottolinea la Professoressa Cristina Puggioli, Presidente del Congresso di Farmacia Clinica e Terapia – I programmi di Infection Control e di Antimicrobial Stewardship (un matrimonio tra le necessità del singolo medico e quelle dell’intero sistema sanitario, così come l’ha definita la Società Americana di Malattie Infettive) devono diventare della assolute priorità per ogni organizzazione sanitaria».

«I margini di miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva degli antimicrobici sono infatti ampi – prosegue l’esperta – Non esiste una stewardship antimicrobica universale: possono essere messe in atto azioni restrittive, limitando per esempio l’accesso ad alcuni farmaci da riservare a situazioni specifiche per preservarne l’efficacia, oppure azioni di coinvolgimento dei prescrittori in gruppi di lavoro multidisciplinari in cui infettivologi, farmacisti e microbiologi collaborino con pari livello di responsabilità per promuovere la cultura della prescrizione di antibiotici: presupposto imprescindibile per garantire l’efficacia degli interventi proposti».

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