Fumare fa male: forse non c’è un ritornello che suona familiare come questo, quando si parla di salute e cattive abitudini.
Non bisognerebbe affatto iniziare a fumare, ma se proprio il vizio c’è, sarebbe opportuno abbandonarlo il prima possibile, poiché il fumo danneggia organi e apparati accorciando sensibilmente l’aspettativa di vita. Chi ha il vizio, prima smette e prima vede riallinearsi, almeno in parte, la speranza di vita media con quella di chi non ha mai fumato.
Chi fuma sa benissimo che smettere è tutt’altro che facile: grazie anche alle martellanti campagne di informazione, tutti sanno che nuoce gravemente alla salute e che anche il fumo passivo, cioè quello che si respira, provoca numerosi danni.
Spesso però, nonostante la consapevolezza e la pressione esercitata da amici e parenti, smettere è un’impresa, perché la sigaretta provoca dipendenza e la sola forza di volontà non sempre garantisce la disassuefazione.
Per questo motivo non mancano, in commercio, i dispositivi per smettere di fumare, dalle sigarette elettroniche che tanto hanno spopolato negli ultimi anni, alle gomme da masticare, ai cerotti alla nicotina che rilasciano lentamente la principale sostanza che dà dipendenza, a veri e propri farmaci che dovrebbero aiutare a troncare la dipendenza.
Anche la psicoterapia può aiutare nel processo di disassuefazione, ma un metodo o un dispositivo che garantisce l’allontanamento definitivo e radicale dal vizio, per il momento non c’è.
Uno studio condotto presso lo Scripps Research Institute (TSRI) in California e pubblicato sulla rivista Journal of the American Chemical Society ha rivelato l’esistenza di un batterio capace di mangiare letteralmente la nicotina prima che possa arrivare al cervello e attivare i recettori deputati alla ricompensa: il batterio, in pratica, impedisce che la sigaretta fornisca quell’intenso piacere che rende così difficile abbandonare il vizio.
I ricercatori sperano, partendo da queste osservazioni, di arrivare ad allestire un vero e proprio farmaco capace di imitare il comportamento del batterio ed impedire alla nicotina di raggiungere i recettori a cui si lega abitualmente nel cervello.
Non è ridondante sottolineare come il fumo aumenti la probabilità di sviluppare diversi tipi di tumore, in particolare quello al polmone, aumenti l’incidenza di problematiche respiratorie come enfisema e bronco pneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), esponga ad una maggior probabilità di sviluppare trombi e quindi ictus e ipertensione; fumare in gravidanza, infine, può danneggiare seriamente il feto.
Come spiega Kim Kanda uno dei principali autori dello studio in questione, «la nostra ricerca è nella fase iniziale della creazione del farmaco, ma gli studi che abbiamo eseguito ci hanno mostrato che l’enzima del nostro batterio possiede le giuste proprietà per divenire un effettivo strumento terapeutico di successo. L’enzima cercherebbe e distruggerebbe la nicotina ancor prima che raggiunga il cervello, prevenendo la reazione di piacere che la sostanza stimola creando la dipendenza».
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