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Pesca elettrica: che cos’è e perché fa male all’ambiente

È una tecnica che stordisce il pesce per facilitarne la cattura. In Italia per ora è vietata. Scopri cos’è e perché è dannosa

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Dal Nord Europa potrebbe arrivare una nuova minaccia, dannosa per l’ecosistema marino: la pesca elettrica. In teoria vietata, poi in parte riabilitata, sta creando un caso internazionale che vede contrapposti ambientalisti e industria ittica di alcuni Paesi, con l’Olanda in prima fila.

Di che cosa si tratta? Con questa tecnica, vengono introdotti in acqua dei generatori di corrente, che stordiscono gli animali e fanno risalire a galla quelli che stazionano sul fondale, così da renderne facile la cattura. Secondo i suoi sostenitori, è una pesca intelligente, che permette di concentrarsi su una porzione di mare specifica e riduce il consumo di carburante dei pescherecci.


Come distrugge l’ecosistema

«Non è selettiva per niente. Colpisce in modo indiscriminato tutti i pesci presenti nell’area, di qualunque specie ed età, al punto che il 50-70% del pescato viene poi scartato e rigettato in mare, spesso già morto», denuncia Claire Nouvian, presidente della Ong francese Bloom, che ha sollevato il caso al Parlamento Europeo.

Qualche problema c’è di sicuro, visto che è stata vietata sin dal 1998 dall’Ue, che poi però nel 2007 ha ammesso alcune deroghe: si può utilizzare, a patto sia svolta per scopi di ricerca ed equipaggiando non più del 5% dei pescherecci di uno Stato membro. «Ma nei Paesi Bassi siamo ormai al 40% della flotta e oltre il 90% delle sogliole e delle platesse finisce nel ghiaccio dopo una bella dose di volt», denuncia la Ong.

E le nostre coste, che cosa rischiano? Per ora nulla. «Nessuno dei nostri associati la pratica», taglia corto Federpesca, associazione nazionale dell’industria ittica. «Il cosiddetto “Pulse trawl” è utilizzato nel mare del Nord essenzialmente per catturare i pesci piatti. Attualmente non esistono i presupposti per un suo utilizzo nel Mediterraneo. E il ministero per le Politiche agricole ha sempre negato possibili autorizzazioni, perfino alla sperimentazione», precisa l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Ma gli ambientalisti invitano a non abbassare la guardia e chiedono a Bruxelles che si ritorni a un divieto assoluto.


Ristoranti in campo

Anche se non ci sono prove che il consumo di pesce “elettrizzato” sia dannoso, la battaglia di Bloom sta incassando l’appoggio inatteso di grandi catene della ristorazione. Come Relais&Chateaux. «La catena non accetta materia prima pescata in questo modo», spiega lo chef Cristophe Coutanceau «poiché, oltre a indebolire l’ecosistema marino, è di pessima qualità e arriva spesso in cucina con la lisca distrutta».


Scegli solo prodotti certificati

Anche noi possiamo difendere il mare scegliendo pesce “certificato”, mentre facciamo la spesa ma anche al ristorante. Esistono numerosi bollini che certificano una pesca ecosostenibile.

Uno dei più diffusi è quello blu di “MSC” (Marine stewardship council), adottato da 51 aziende italiane tra cui il colosso del surgelato Findus. Altrettanto noto è il marchio rosso e blu “Friends of the sea”, stampato su molti prodotti in vendita presso Bofrost, Conad, Coop, Decò, Despar, Dimeglio, Esselunga, Interdis, Leaderprice, Metro. Questa certificazione può essere richiesta anche dai ristoranti (per esempio, ha appena aderito la nota catena di sushi Zushi).


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Articolo pubblicato sul n. 49 di Starbene in edicola dal 20/11/2018

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