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Terapia al plasma: l’arma in più contro il Coronavirus

Come funziona la terapia al plasma, chi può donare, quali sono i benefici e i tempi di guarigione. Lo pneumologo De Donno, che ha seguito la sperimentazione a Mantova e a Pavia, spiega perché è utile contro il Covid-19

credits: iStock



La speranza contro il Coronavirus si trova nella terapia a base di plasma. Si tratta di trasfondere nei pazienti contagiati in condizioni critiche il plasma (parte liquida del sangue ricca di anticorpi) prelevato da donatori guariti o convalescenti.

La terapia con il plasma si potrebbe chiamare anche "terapia di Robin Hood", che ruba ai ricchi per dare ai poveri. I primi, in questo caso, sono i pazienti “ricchi” di anticorpi anticoronavirus, che sono guariti dall'infezione dopo un'odissea non da poco. I “poveri” sono i pazienti contagiati che versano in situazioni critiche, molte dei quali intubati o con i famigerati “caschi” che erogano ossigeno per contrastare l'insufficienza respiratoria dovuta alla polmonite interstiziale bilaterale. Ma in che cosa consiste esattamente questa nuova terapia sperimentale?


Terapia al plasma: dalla Cina ai nostri ospedali
«Innanzitutto l'utilizzo di quello che è stato ribattezzato plasma iperimmune non è una novità, ma un approccio sperimentato con successo per altre infezioni virali, compresa la Sars e la Mers»,
risponde il dottor Giuseppe De Donno, direttore della pneumologia e dell'unità di terapia intensiva respiratoria dell'Ospedale Carlo Porma di Mantova, che il 29 aprile 2020 ha ufficialmente chiuso la fase di sperimentazione del protocollo terapeutico adottato dal suo ospedale e dal Policlinico San Matteo di Pavia.

«Anche i medici cinesi per fronteggiare la prima ondata di Coronavirus hanno condotto uno studio, modesto per numeri ma significativo per risultati, su dieci ammalati che sono completamente guariti dall'infezione grazie a trasfusioni da donatori. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) in piena pandemia, ci ha incoraggiato a sperimentare questa strada anche per i nostri pazienti, ben consapevoli che per il Coronavirus, allo stato attuale, non esiste una terapia specifica ma solo farmaci che agiscono su differenti bersagli per migliorare la sintomatologia». L'uso del plasma iperimmune, del resto, rappresenta una terapia a costo zero, priva di effetti collaterali sia per il donatore che per il ricevente.


 

Come si fa il prelievo di plasma e chi può donare
«Si tratta, però, di una procedura complessa che richiede attente valutazioni», avverte il dottor De Donno. «Per prima cosa bisogna verificare il tasso anticorpale del potenziale donatore: se è basso, niente prelievo. Se invece la concentrazione di anticorpi è elevata, il gruppo sanguigno è compatibile e il donatore non presenta patologie incompatibili con la donazione (tumori, diabete o altre infezioni croniche quali epatiti o hiv), si procede al prelievo venoso di circa un litro di sangue», dice l'esperto.

«Da questo viene separato il plasma, cioè la parte liquida ricca di anticorpi, che viene trasfuso all'ammalato per via endovenosa. Tengo a precisare che il trattamento viene fatto seguendo rigorosi standard di sicurezza, secondo un protocollo approvato dal Centro Nazionale Sangue del Ministero della salute, onde azzerare completamente l'insorgenza di infezioni», continua l'esperto.

Nessun rischio, quindi, per donatori e riceventi, ma un'attenta selezione preliminare che tuteli la salute di entrambi. Tenendo presente che, in linea generale, chi ha avuto un decorso molto pesante, con sintomi importanti che lo hanno portato in terapia intensiva, sviluppa più anticorpi rispetto a chi ha avuto un'infezione da Coronavirus modesta o similinfluenzale. Ed è quindi più “idoneo” a donare il suo plasma iperimmune a chi versa ancora in difficoltà.
 

I tempi di guarigione con la terapia al plasma
«In alcuni casi ho avuto dei risultati sorprendenti», risponde il dottor De Donno «Nel giro di 48 ore dalla trasfusione ho tolto dalla terapia intensiva persone che riprendevano a respirare autonomamente, con chiari segni di guarigione. Niente tosse, niente febbre, e con una maggiore carica di energia. E ho avuto anche un ragazzo di 28 anni, Francesco, che dopo sole 24 ore era sfebbrato e ha potuto essere staccato dal ventilatore. Certo, molto dipende dalla risposta individuale e dalla condizione base del proprio sistema immunitario. Ma posso affermare, senza tema di smentite, che la terapia funziona e apre promettenti scenari nella cura della pandemia. L'importante è che l'infezione non abbia “lavorato” a lungo fino a danneggiare i polmoni in modo permanente: in questo caso non c'è plasma che tenga».


La gara di solidarietà per donare il plasma
A differenza dei farmaci, tuttavia, la terapia con il plasma ha un limite: quello di affidarsi totalmente alla generosità dei donatori che in futuro potrebbero scarseggiare. In futuro, diciamo, perché per adesso è partita una straordinaria gara di solidarietà. «Chi è guarito sa che cosa ha passato ed è pronto ad aiutare gli altri», commenta De Donno.

«I donatori si propongono anche da altre regioni italiane e stanno organizzando pullmann dalla Liguria e dall'Emilia Romagna per venire a donare i preziosi emocomponenti. Il nostro ritmo di raccolta è di 7-8 prelievi al giorno ed è in procinto di essere inaugurata una vera e propria “banca del plasma” per aiutare gli altri ospedali che ce lo richiedono. E anche se la sperimentazione è ufficialmente chiusa (è in corso l'analisi dei dati raccolti dal Carlo Poma e dal San Matteo di Pavia ai fini della pubblicazione) siamo pronti a partecipare a nuovi studi multicentrici, che partiranno a breve, per poter continuare a utilizzare questa terapia antivirale. Una terapia che, lo ricordiamo, non nasce nei laboratori di ricerca farmaceutici ma è l'arma biologica offerta da madre natura».

articolo pubblicato il 7 maggio 2020

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