DEMENZA

Con il termine demenza si indica una malattia del cervello che comporta una compromissione delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi) tale da pregiudicare la possibilità di una vita autonoma. Come si manifestauna demenza Compromissione delle funzioni cognitive a cui si associano quasi […]



Con il termine demenza si indica una malattia del cervello che comporta una compromissione delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi) tale da pregiudicare la possibilità di una vita autonoma.


Come si manifestauna demenza

Compromissione delle funzioni cognitive a cui si associano quasi sempre alterazioni della personalità e del comportamento. I sintomi più caratteristici sono quelli della sfera psichica (ansia, depressione, ideazione delirante, allucinazioni), irritabilità o vera aggressività (spesso verbale, raramente fisica), insonnia, apatia, tendenza a comportamenti ripetitivi e senza uno scopo apparente, riduzione dell’appetito e modificazioni del comportamento sessuale.


condizioni che simulanouna demenza

Si possono manifestare nel corso di malattie acute febbrili, come conseguenza di malattie croniche non ben trattate (per esempio disturbi del cuore e dei polmoni). Un uso scorretto di alcuni farmaci (tranquillanti, sonniferi, farmaci per il mal d’auto, antispastici ed altri) può essere responsabile di disturbi di memoria o di stati confusionali. Un’altra frequente causa è la depressione, quello che nel gergo comune tanti identificano con il cosiddetto esaurimento nervoso: una condizione molto diffusa nella popolazione anziana che può apparire indistinguibile da una demenza grave. Anche il cambiamento repentino di abitudini, per esempio il trasferimento in ambienti come l’ospedale o una struttura residenziale (casa protetta/RSA), può provocare una reazione di apparente demenza.


Forme “secondarie”

Alcune forme di demenza si sviluppano come conseguenza di malattie guaribili (malfunzionamento della tiroide, insufficienza epatica, infezioni o ematomi a livello cerebrale e così via): in questi casi, se adeguatamente curati, i soggetti possono guarire.


L’evoluzione della demenza

All’inizio i fenomeni che si notano maggiormente sono quelli che più risentono del deterioramento delle capacità cognitive (per esempio la gestione del denaro, l’utilizzo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, la gestione della casa e dei farmaci).

Poi subentra il deterioramento delle attività quotidiane inerenti l’igiene personale, l’abbigliamento, la mobilità, la continenza sfinteriale.

Nelle fasi avanzate i dementi vanno spesso incontro a cadute, infezioni, deterioramento dello stato (cosiddetta malnutrizione) che, compromettendo ulteriormente lo stato generale del soggetto, possono risultare fatali.

La “storia” della demenza ha una durata variabile (circa 10-12 anni in media), nel corso dei quali, gradualmente oppure con bruschi peggioramenti alternati a fasi di stabilità più o meno lunghe, si assiste alla progressione dei sintomi sopra indicati.


Diagnosi

Decidere che un soggetto ha veramente una demenza non è cosa facile e richiede una valutazione approfondita e competente, ma è una tappa indispensabile per poter poi individuare gli interventi di cura, per impostare un corretto approccio preventivo e riabilitativo, per organizzare interventi di supporto assistenziale al paziente e alla famiglia. Un corretto approccio alla diagnosi è tra l’altro di fondamentale importanza per differenziare le forme reversibili da quelle irreversibili. La diagnosi, infine, condiziona la progressione della demenza e la prospettiva futura di questi malati anche in termini di sopravvivenza. L’apporto dei familiari o di chi conosce il paziente è molto importante.

Sicuramente bisogna ricorrere, in prima istanza, al medico di famiglia fin dalle prime avvisaglie di un deterioramento cognitivo: saprà lui cosa consigliare. Nel riquadro a sinistra sono elencati alcuni sintomi che possono indicare una demenza; oltre all’esame clinico del malato, il medico potrebbe ritenere opportune alcune indagini, pur nella consapevolezza che non ce ne sono molte in grado di fornire dati utili: potrebbero consistere in analisi del sangue, una radiografia al torace, un elettrocardiogramma, una TAC del cervello.


Come si valutano le capacità cognitive

Il test che è stato maggiormente utilizzato dagli studiosi della demenza è il cosiddetto MMSE (Mini Mental State test Examination, esame semplificato di valutazione dello stato mentale).

Introdotto da Folstein nel 1975, questo esame consente di analizzare le varie funzioni mentali: orientamento temporo-spaziale, memoria a breve e lungo termine, linguaggio, coordinamento normale dei movimenti necessari per ottenere un certo risultato (la cosiddetta prassia), relazioni viso-spaziali, calcolo e capacità di giudizio.

Il MMSE è considerato un test piuttosto affidabile per individuare correttamente i soggetti con demenza e distinguerli dai “normali”. Di seguito vengono riportate le varie parti del MMSE, principalmente allo scopo di far comprendere la difficoltà della valutazione dello stato cognitivo di un soggetto, che comprende diversi aspetti delle capacità cognitive. Naturalmente il consiglio è di rivolgersi al medico curante o a un esperto della materia nel momento in cui ci si accorga che qualche comando non viene eseguito correttamente e che quindi c’è la necessità di “capirne di più”, ma con un approccio strutturato e scientificamente corretto. La diagnosi di demenza non si fa soltanto sommando una serie di punteggi!


Valutazione della funzione residua

Questo tipo di valutazione (fondamentale per il paziente, per i familiari e per il medico) permette di evidenziare i bisogni assistenziali indispensabili per programmare gli interventi sociali necessari per portare sollievo a tutti (pazienti e familiari).

Esistono diverse scale di valutazione, ma la più usata è la IADL (sigla per Instrumental Activities of Daily Living, attività strumentali della vita quotidiana) che esamina il livello di autonomia del soggetto, con particolare riferimento alla sua capacità di usare il telefono e i mezzi di trasporto, di assumere autonomamente i medicinali, di maneggiare il denaro, di fare acquisti e, per le donne, di preparare il cibo, governare la casa e fare il bucato. Queste attività strumentali residue nel soggetto con demenza sono di fatto molto influenzate dalle funzioni cognitive anche se dipendono in buona parte dalla situazione ambientale, dalle abitudini del soggetto (ruolo sociale o familiare) e dalle funzioni fisiche. Con il peggiorare del deficit cognitivo anche l’autonomia possibile nelle attività “di base” viene progressivamente a ridursi, fino alla completa disabilità nelle fasi più avanzate.

Per sopperire a questo aspetto è stato introdotto il concetto di attività “superiori” della vita quotidiana (AADL, Advanced Activity of Daily Living), per rappresentare quelle più complesse e impegnative: attività legate agli hobby, attività ricreative, viaggi, partecipazioni ad attività sociali o culturali e così via. Queste abilità infatti non sono essenziali per mantenere l’indipendenza ma sono fortemente influenzate dalla salute fisica, dal tono dell’umore, da variabili culturali e dalla motivazione dei singoli soggetti. Pertanto, più tempestivamente viene definito il quadro di deficit funzionale tanto più precocemente potrà essere avviata una appropriata assistenza.


Prime cure

Il trattamento della demenza comprende una serie di interventi, farmacologici e non farmacologici, rivolti non solo al controllo dei deficit cognitivi ma anche alla cura delle malattie coesistenti, al miglioramento dello stato funzionale e al supporto della famiglia.

Da alcuni anni sono disponibili in Italia sostanze denominate inibitori della acetilcolinesterasi: il donepezil, la rivastigmina e la galantamina.

Questi farmaci hanno mostrato una certa efficacia clinica solo nel 30-40% dei pazienti e solo nelle forme di gravità lieve-moderata.

Non sono pertanto utili nelle altre forme di demenza e nella malattia di Alzheimer grave.

Nei pazienti che rispondono positivamente alla terapia farmacologica si osservano miglioramenti temporanei, con un rallentamento di circa 8-12 mesi rispetto alla progressione naturale della malattia. L’uso dei farmaci non è comunque privo di rischi, ed è necessario pertanto che un medico specialista valuti caso per caso l’opportunità della loro prescrizione.


Alimentazione

È risaputo che chi consuma tanto mangia tanto, quindi il soggetto in fase di “agitazione motoria” (vagabondaggio) consuma molta energia perchè si muove parecchio e quindi mangia molto.

Più frequentemente, però, i problemi nascono nei soggetti con le fasi più avanzate della malattia, e sono correlati a un’insufficiente alimentazione. I primi sintomi molto spesso sono un calo ponderale più o meno evidente; in alcuni casi, si arriva a una vera e propria malnutrizione, cui si può associare una disidratazione.

I motivi che stanno alla base di un insufficiente apporto di liquidi e di alimenti sono molteplici: in effetti tale deficit può essere dovuto a un minor senso di sete con una riduzione dello stimolo per la fame e/o per la sete stessa, oppure a una incapacità di coordinare e finalizzare la gestualità al momento del pasto, oppure ancora a una indiscriminata incapacità di riconoscere gli odori, i sapori, i colori e addirittura la forma dei cibi. Nelle fasi più avanzate la difficoltà di espressione (il paziente non è capace di dire “non mi piace, non lo voglio”) e il disorientamento temporale (non si rende conto del tempo che passa e della fase della giornata in cui si trova) fanno spesso perdere l’abitudine ai pasti.

Tutti questi motivi sono in gran parte legati alla perdita delle funzioni cognitive. Inoltre, la diminuzione dell’introduzione del cibo può essere collegata, soprattutto nella fase avanzata, al malfunzionamento di automatismi motori come il masticare e il deglutire, per cui il soggetto tende a “ruminare” il cibo tenendolo in bocca, dimenticando che dopo la masticazione fa seguito la deglutizione. In altri casi il malato deglutisce mentre respira e pertanto porzioni di cibo finiscono in trachea e nelle vie respiratorie (il cibo “va di traverso”). Questo evento è molto pericoloso perché può provocare crisi di soffocamento anche fatali e anche a distanza di qualche giorno, fenomeni infettivi a carico dei polmoni: le cosiddette broncopolmoniti ab ingestis, quelle cioè provocate non da batteri o virus ma da frammenti di cibo che penetrano all’interno delle vie respiratorie.

Questo fenomeno può causare, in chi assiste l’ammalato e lo aiuta ad assumere i pasti, uno stato di ansia al momento di imboccarlo e ciò può tradursi in una riduzione della quantità di cibo da introdurre o addirittura alla rinuncia ad alimentarlo, con conseguenti peggioramenti della situazione nutrizionale già scadente “di base”. È bene ricordare, inoltre, che quando il malato mangia poco o nulla si instaura un meccanismo in base al quale mangerebbe sempre meno e la proposta di cibo può addirittura scatenare nausea e vomito.

Altri fattori che sono in grado di condizionare negativamente lo stato nutrizionale di questi ammalati sono legati all’assunzione di alcuni tipi di farmaci, in ragione della loro azione sedativa (determinano torpore nel malato e possono contribuire a ridurre il bisogno di mangiare e di bere), o per la loro capacità (è ciò che accompagna l’uso dei neurolettici) di alterare il sapore dei cibi attraverso una riduzione della salivazione. Da non trascurare, infine, i problemi che insorgono nelle fasi febbrili come conseguenza delle infezioni di per sé e del consumo di antibiotici, tutte condizioni che riducono la voglia di mangiare e di bere.


La riabilitazione

Per limitare le conseguenze o rallentare l’evoluzione della malattia è possibile fare ricorso a interventi ria-bilitativi. Essi consistono in un complesso di approcci tramite i quali è possibile mantenere il più elevato livello di autonomia compatibile con la malattia, intervenendo sui deficit cognitivi (memoria, linguaggio), quelli sensoriali (vista e udito), i sintomi depressivi, le alterazioni del ciclo sonno-veglia (insonnia), le turbe dell’alimentazione, i deficit motori e la disabilità nelle attività della vita quotidiana. Queste metodiche sono molteplici, ma ancora poco diffuse. [G.C.]