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Calcoli renali, vero e falso: l’acqua ricca di calcio non fa venire la calcolosi

Ci sono molte credenze sbagliate o imprecise sui “sassolini” che si formano nei reni. Il nostro esperto ci aiuta a fare chiarezza

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Diversi luoghi comuni sulla calcolosi resistono ancora, nonostante sia la malattia più frequente delle vie urinarie, tanto da colpire il 10% degli uomini e il 7% delle donne, specie tra i 30 e i 50 anni. Con l’aiuto di Guido Giusti, urologo presso l’Ospedale San Raffaele Turro di Milano, cerchiamo di capire cosa è vero e ciò che è falso.


  • Chi soffre di calcoli a base di calcio (70% dei casi) non può mangiare cibi che contengono il minerale

FALSO. La concentrazione di calcio nel sangue dipende da un ormone prodotto dalle paratiroidi, piccole ghiandole ai lati della tiroide. Se non si assume calcio con la dieta questo ormone lancia un messaggio di allarme perché, per mantenere gli stessi livelli di calcemia, l’organismo è costretto a prelevare calcio dalle ossa.
Di conseguenza, non solo si perde massa ossea ma aumenta l’assorbimento di ossalato, favorendo la formazione di questi calcoli. Da qui il consiglio di non eccedere, ma neanche di rinunciare ai latticini. L’ideale è una porzione di formaggio, meglio se fresco, al giorno.


  • Una banale cistite può favorire la formazione di calcoli

VERO. Questa infezione delle vie urinarie molto frequente nelle donne e dovuta a batteri come l’Escherichia coli o il Proteus mirabilis, può dare origine ai calcoli di struvite (riguardano il 5-10% dei casi), un mix di magnesio, ammonio e fosfato. Si tratta di formazioni di grandi dimensioni, anche larghe 5 cm, che possono occupare le intere cavità dei reni. Sono insidiose perché non si manifestano con le classiche coliche dolorose, ma agiscono quasi silenti compromettendo lentamente la funzione renale. E spesso vengono scoperte tardi, quando l’unica soluzione è asportarle con interventi anche invasivi.
Per prevenire la loro formazione è importante scoprire subito il germe che causa la cistite, assumere l’antibiotico più indicato e, terminata la terapia, eseguire un’urinocoltura per assicurarsi che sia scomparso.


  • I bambini possono avere i calcoli

VERO. Ma per formarsi richiedono tempo. Nei bimbi più piccoli, quindi, è un’evenienza rara, mentre stanno aumentando i casi nei ragazzini, spesso a causa di sovrappeso, obesità e di una dieta troppo ricca di proteine e zuccheri.


  • Si può ricorrere più volte alle onde d’urto per eliminarli


FALSO. Si tratta della litotripsia extracorporea, che consiste nel “bombardare” il calcolo dall’esterno con le onde d’urto. Se dopo 1 o 2 tentativi il calcolo non si rompe significa che è particolarmente duro oppure, in caso di sovrappeso, che le onde non riescono a raggiungerlo perché troppo distante dalla cute.
Ed è inutile insistere: si rischia di far arrivare troppa energia ai reni causando danni ai tessuti.


  • I calcoli di acido urico possono essere eliminati senza intervento

VERO. Sono tipici dei pazienti in età avanzata che spesso soffrono di sindrome metabolica. Col passare degli anni e a causa di uno stile di vita scorretto, viene meno il controllo metabolico su grassi, zuccheri e acido urico. Quest’ultimo è uno “scarto” del metabolismo delle purine, sostanze prodotte dal corpo che si trovano anche in alcuni cibi, come fegato, reni, cervella, aringhe, alici, sgombri e, in genere, nelle carni.
Normalmente, la maggior parte dell’acido urico passa attraverso i reni e viene eliminato con l’urina. Se la sua quantità è superiore a quella che il rene riesce a smaltire, si ha l’iperuricemia che, in combinazione con un pH acido delle urine, porta alla formazione di cristalli. Questi, se si depositano nei reni portano alla calcolosi. Nel 40-50% dei casi i calcoli di acido urico si sciolgono con una terapia alcalinizzante che alza il pH delle urine. In caso di fallimento, invece, si deve ricorrere alla litotrissia, in genere facilitata dal fatto che questi calcoli sono meno duri.


  • Il tipo di acqua minerale può incidere sulla loro formazione

FALSO. Scegliere acque minerali a basso residuo fisso non è così fondamentale come spesso si sente dire. Come si è visto, infatti, togliere calcio peggiora la situazione. Non conta quindi il tipo di acqua che si beve, l’importante è berla. Per ridurre la concentrazione di sali minerali, i reni devono produrre circa 2 litri di urina al dì. Di conseguenza, bisogna introdurre almeno altrettanti liquidi ogni giorno.



Quando serve il laser

Dove le onde d’urto falliscono è necessario ricorrere al laser. L’ultima novità è la Litotrissia endoscopica endorenale per via retrograda (Rirs): si inserisce nelle vie urinarie una sonda flessibile, dotata di un sistema ottico che permette al chirurgo di individuare il calcolo e di polverizzarlo con l’utilizzo del laser a olmio.

Grazie alle tecnologie Vapor tunnel e Virtual basket, poi, è possibile attirare il calcolo verso il raggio di luce in modo da rendere la sua polverizzazione più fine, veloce e sicura. Se il calcolo invece è più grande bisogna ricorrere alla litotrissia percutanea (Pcnl), che richiede un accesso al rene dal fianco e, sempre mediante il laser, permette una più veloce frammentazione del calcolo e la rimozione dei frammenti ottenuti.

Per ricorrere a queste metodiche ci si può rivolgere agli ospedali che dispongono delle strutture di riferimento denominate Stone center.



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Articolo pubblicato sul n. 13 di Starbene in edicola e nella app dal 10 marzo 2020



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