Sport e aritmia: cosa fare se il cuore perde il ritmo

Avere un’aritmia, nella maggioranza dei casi, non significa dover rinunciare allo sport. Ma occorre affrontare il problema. Ecco come



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Il cuore sembra fermarsi per un istante e poi ripartire, come se avesse perso un colpo. Oppure, comincia a battere rapidamente e in modo irregolare anche se non si è bevuto qualche caffè di troppo. Sono due esempi di aritmia, problema che riguarda oltre un milione di persone in Italia, ancora più delicato da affrontare se, chi ne è colpito, fa sport.

Come regolarsi in questo caso? Ne abbiamo parlato con il professor Fiorenzo Gaita, docente del settore Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università degli studi di Torino e co-presidente della 31esima edizione delle Giornate cardiologiche torinesi appena concluse, che hanno riunito nel capoluogo piemontese i principali esperti internazionali della salute del cuore.


I segnali sono generici

Prima di tutto occorre chiarire che cos’è un’aritmia: «Si tratta di un’alterazione del normale battito cardiaco, compreso tra le 50 e le 100 pulsazioni al minuto. Il cuore può perdere la regolarità del ritmo, come nel caso dell’extrasistole, o improvvisamente andare troppo veloce pur non facendo sport, senza essere sotto stress o in condizioni di forte paura. In questo caso si parla di fibrillazione atriale, la più diffusa aritmia al mondo, che colpisce il 5% degli over 50», precisa il professor Gaita.

Attenzione però: alcune forme sono più subdole di altre perché hanno sintomi molto generici. «In piccole percentuali, la fibrillazione atriale può presentarsi solo con stanchezza, difficoltà di concentrazione o addirittura senza dare alcun segnale di sé», puntualizza l’esperto.

E poi c’è un’altra difficoltà: «L’aritmia è un problema difficile da individuare poiché compare all’improvviso e scompare rapidamente, così com’è arrivata. Quasi sempre sfugge all’elettrocardiogramma perché è molto raro che si presenti nel momento in cui ci si sottopone all’esame. Potrebbe “scappare” perfino all’Holter, test che permette di monitorare la regolarità del cuore nelle ventiquattro ore, perché non è detto che appaia a intervalli regolari durante la giornata», avverte l’esperto.


La visita medico sportiva è fondamentale

Che fare? L’arma principale per contrastare il problema rimane la diagnosi precoce. In Italia ci sono 20 milioni di persone che fanno sport con regolarità. Chi è tesserato a una federazione sportiva viene monitorato grazie all’obbligo del certificato medico per uso sportivo (richiesto anche dai centri fitness).

«Tramite la visita, lo specialista può individuare chi ha una patologia del cuore e non lo sa, qual è l’origine delle eventuali aritmie e via dicendo. Questo controllo, dunque, è molto importante e dovrebbe essere messo in nota anche da chi svolge attività sportive in autonomia», sottolinea Fiorenzo Gaita.

È fondamentale, inoltre, prendere l’abitudine di misurare il battito. «Oggi, grazie alle nuove tecnologie, non si è più obbligati ad andare dal medico o in farmacia. E resta sempre valido anche il metodo tradizionale: basta appoggiare due dita sul polso, nell’incavo che si forma alla base dell’attaccatura del pollice, per sentire distintamente le pulsazioni», dice l’esperto.


Le discipline permesse

Appurato il problema, occorre capire se è compatibile con l’attività fisica: «Nella grande maggioranza dei casi è possibile, ma risulta indispensabile che siano il cardiologo o il medico dello sport a stabilire il tipo e l’intensità della disciplina che il paziente deve seguire. Chi non ha ottenuto l’idoneità alla pratica sportiva è tenuto a evitare tutte le attività a media e alta intensità, come calcio o tennis. Meglio orientarsi solo su quelle più “soft”, dalle semplici passeggiate alla cyclette», osserva il professor Gaita.

«Ci sono però anche forme di aritmia che, se curate, possono guarire. Così come altre, molto meno frequenti, per cui occorre escludere l’attività sportiva: in genere le può riconoscere già lo stesso paziente, compaiono durante lo sforzo e, soprattutto, si caratterizzano perché il cuore batte troppo velocemente rispetto al tipo di impegno che si sta compiendo».


Le terapie

Quasi tutte le aritmie prevedono una terapia a base di medicinali: «Vanno assunti per sempre ma sono compatibili con la normale qualità della vita. Si tratta in genere di anticoagulanti, nel caso della fibrillazione atriale, oppure di antiaritmici o farmaci che rallentano il battito», specifica l’esperto.

Per le forme più complesse, come quelle che causano tachicardie superiori a 150 battiti al minuto, si può decidere di ricorrere all’ablazione: «Consiste nell’inserimento di un catetere, all’altezza dell’inguine, che raggiunge il cuore attraverso i vasi sanguigni, eliminando il disturbo elettrico all’origine dell’aritmia. L’operazione è mininvasiva, dura un paio d’ore e già dopo 5-7 giorni consente di tornare alla vita normale», conclude Gaita.



La misurazione diventa sempre più hitech

«Negli ultimi cinque anni sono stati fatti enormi progressi nel campo della diagnosi delle aritmie. Merito soprattutto della tecnologia», osserva il cardiologo Fiorenzo Gaita.

«Oggi esistono dispositivi grandi come una carta di credito e collegabili allo smartphone, in grado di eseguire un elettro-cardiogramma molto attendibile. Basta tenere premuto un dito di ciascuna mano sull’apparecchio, per ottenere il risultato del test, che poi può essere inviato al medico tramite il telefonino. In alternativa ci sono alcuni smartwatch: anch’essi affidabili, è sufficiente schiacciare un pulsante dell’orologio per scoprire il risultato, da inoltrare allo specialista per la valutazione», conclude l’esperto.



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Articolo pubblicato sul n. 47 di Starbene in edicola dal 5 novembre 2019


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