Rosolia e gravidanza

La rosolia è una malattia esantematica causata da un virus ad RNA classificato come rubeovirus che è in grado di infettare solo l’uomo e che si diffonde attraverso le microscopiche goccioline disperse dalle secrezioni respiratorie delle persone infette con il respito, la tosse e gli starnuti. I pazienti possono diffondere il virus dalla gola da […]



La rosolia è una malattia esantematica causata da un virus ad RNA classificato come rubeovirus che è in grado di infettare solo l’uomo e che si diffonde attraverso le microscopiche goccioline disperse dalle secrezioni respiratorie delle persone infette con il respito, la tosse e gli starnuti.

I pazienti possono diffondere il virus dalla gola da 10 giorni prima che compaia l’eruzione esantematica fino a 15 giorni dopo il suo inizio.

In era prevaccinale si verificavano epidemie di rosolia ogni 6-9 anni; dopo l’introduzione della vaccinazione, alla fine degli anni ’60, la frequenza della malattia si è drasticamente ridotta.

In Italia si stima che sia protetta dalla vaccinazione circa la metà della popolazione ed il numero dei casi di rosolia sembra seguire un andamento che vede comparire epidemie ogni 5-7 anni.

Si stima infine che circa il 5-15% delle donne in età fertile possa essere colpito dall’infezione. I casi di rosolia congenita notificati durante i periodi epidemici ammontano a circa 100 all’anno, ma si ritiene che questa stima sia sicuramente inferiore al numero reale perché non sempre viene fatta una corretta diagnosi, dal momento che il 25%-50% dei casi sono asintomatici e, in secondo luogo, per le ben note carenze di segnalazione.


La trasmissione del virus dalla madre al feto

La maggior parte dei casi di rosolia congenita si verifica come conseguenza di un’infezione materna primaria (ossia da un primo contagio da parte del virus durante la gravidanza), anche se sono segnalati casi estremamente rari di rosolia congenita in nati da madri con pregressa immunità, come conseguenza di reinfezioni.

Va inoltre ricordato che il rischio di rosolia congenita aumenta nella seconda gravidanza e progressivamente nelle successive per la possibilità di contagio da parte dei figli precedenti. Come conseguenza di una infezione materna nel 1° trimestre si può avere aborto, morte del feto, infezione placentare, ma può anche non verificarsi alcuna infezione. La placenta costituisce una valida barriera all’infezione fetale dalla 12a alla 28a settimana di gestazione, mentre la protezione è meno valida al 1a e al 3a trimestre. L’epoca della gravidanza alla quale la madre contrae l’infezione costituisce la più importante determinante non solo della probabilità di trasmissione materno-fetale, ma anche della gravità del danno fetale che è massimo all’inizio e si riduce con il progredire dell’età gestazionale.


Come si presenta la rosolia congenita

La sindrome della rosolia congenita non è una malattia dalle caratteristiche sempre uguali, essendo stato dimostrato che tre quarti dei bambini infetti sono del tutto privi di disturbi alla nascita e che solo successivamente presenteranno delle sintomi correlabili alla malattia contratta durante l’epoca fetale.

Più della metà dei bambini sintomatici presenta alla nascita riduzione dello sviluppo ed un ritardo di crescita anche successivamente; questi bambini spesso manifestano una serie di sintomi transitori come riduzione delle piastrine, stravasi ematici di sangue (petecchie e porpora), anemia emolitica (una forma di anemia con distruzione dei globuli rossi), epatite, ittero ed ingrossamento del fegato e della milza.

I sintomi non transitori più noti della rosolia congenita sono rappresentati da sordità, malformazioni dell’occhio, del cuore e del sistema nervoso centrale. Tre quarti dei bambini presentano sordità che spesso è bilaterale e che può rappresentare anche l’unica conseguenza dell’infezione.


Diagnosi

La diagnosi si basa su indagini sierologiche del sangue dal momento che la sintomatologia clinica non permette di porre una diagnosi di certezza.

Il siero va esaminato in fase acuta ed in convalescenza: un aumento del titolo di 4 o più volte degli anticorpi più precoci (classe IgM) o la loro semplice presenza (sieroconversione) sono indicativi di infezione. Se invece ci troviamo anticorpi della classe IgG, quelli che vengono prodotti in caso di guarigione dall’infezione, il soggetto è immune o guarito dall’infezione.

La diagnosi in gravidanza risulta molto facilitata se si conosce lo stato immunitario della madre prima della gravidanza, ossia se è nota la presenza di anticorpi che testimonino un’infezione passata. Se questo dato non è disponibile, è comunque opportuno avere un dato all’inizio della gravidanza: per questo motivo fra i primi esami del sangue che vengono richiesti di routine quando la donna dichiara di essere incinta, vi è proprio la ricerca degli anticorpi della rosolia.

In caso di comparsa dei sintomi della malattia, gli esami del sangue vanno eseguiti il più presto possibile.

La diagnosi di infezione fetale si basa sulla ricerca di anticorpi specifici precoci (IgM specifiche) o di proteine virali (antigeni virali) nel liquido amniotico, nel sangue di cordone ombelicale o nel prelievo da villi coriali.

Nel neonato la diagnosi di rosolia congenita va determinata mediante indagini sierologiche effettuate il più precocemente possibile dopo la nascita. La presenza di IgM rappresenta un indice affidabile di infezione, anche se non è certo al cento per cento.

Terapia e prevenzione.

Non esiste alcuna terapia specifica dell’infezione in atto, né alcuna possibilità di prevenire la trasmissione del virus dalla madre al figlio in caso di infezione in gravidanza.

Tutti i neonati con sindrome da rosolia congenita sintomatica o asintomatica alla nascita vanno comunque seguiti nel tempo, con controlli cardiologici, dell’apparato uditivo e visico e neuropsichiatrici, in modo che i singoli sintomi possano venire adeguatamente trattati. [S.S.]