Per essere felice investi in esperienze e relazioni

Per sentirsi appagati ed essere felici, meglio puntare su corsi, viaggi, concerti, dice una ricerca Usa. Perché solo le esperienze ci procurano un piacere che dura tutta la vita 




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di Barbara Gabbrielli e Gerardo Antonelli

I soldi fanno la felicità? Vero fino a un certo punto, dipende da cosa si compra. E nel panel delle infinite scelte che la società dei consumi offre, la scienza traccia la via giusta da seguire: per essere felici meglio spendere in esperienze che in beni, consiglia uno studio ventennale di Thomas Gilovich, professore di psicologia alla Cornell University. Il suo teorema è che la gratificazione data dalle cose sparisce in fretta, per tre motivi essenziali: un oggetto genera noia immediata (ci abituiamo quasi subito a ciò che possediamo), aspettative crescenti (nuovi acquisti portano a desiderarne altri migliori) e confronti inevitabili (c’è sempre qualcuno che ha qualcosa di meglio di noi). È il cosiddetto "paradosso della felicità", coniato da Richard Easterlin, professore di economia all’università della California, che anni fa dimostrò, numeri alla mano, che la felicità aumenta con la ricchezza fino a un certo punto, prima di fermarsi o di rimanere uguale.


Siamo ciò che facciamo

Elizabeth Dunn dell'University of British Columbia ha studiato il tema della felicità legata all’acquisto di quel paio di scarpe costosissime, l'ultimo iPhone, il divano di design. E non a caso, l’ha definita una “pozza di piacere”: evapora rapidamente, e ci lascia alla fine sempre un po’ insoddisfatti. Tanto vale, quindi, usare i soldi per andare al cinema, a teatro, fare sport o un bel viaggio. Attività che costano certo, ma sono soldi ben spesi perché s’investe su noi stessi, sulla nostra capacità di stare meglio al mondo. «Ciascuna esperienza, piccola o grande che sia, porta a imparare, condividere, conoscere, scoprire: sono tutte azioni centrali nella vita di ognuno di noi, che mettono in moto le nostre possibilità di essere. Sono parte, perciò, integrante della nostra identità», spiega Giovanni Siri, ordinario di psicologia e studioso della psicologia dei consumi.

Come afferma Gilovich, noi non siamo quello che possediamo, siamo piuttosto l’insieme delle cose che facciamo, di quello che vediamo, dei posti che visitiamo. «Altra nota di soddisfazione: il valore di un’esperienza non è quantificabile. È un fatto unico per quella persona, impossibile fare paragoni», riprende lo psicologo. Senza contare il piacere eccitante che dà progettare un weekend come una partita di tennis, un’emozione diversa dalla frenesia da shopping. Le vicende vissute, poi, durano poco, perciò il loro “prezzo” cresce nel tempo, attraverso i ricordi. Questi ognuno se li aggiusta come vuole. A differenza di quell'abito, caro, che da anni è nell’armadio a ricordarci che non valeva buttare via così tanti soldi.


La lezione delle generazioni Millennials e Z…

Insomma, l’esistenza per essere appagante deve essere "piena" più che di oggetti di esperienze. «Questo l’hanno capito bene i millennials più giovani e la Gen Z, sembra, ancora di più. Sono le generazioni che hanno "preso in pieno" la crisi economica», dice Siri. «Costretti a barcamenarsi tra l’incertezza e la decrescita, hanno dato più spazio alla dimensione esperienziale, perché è una situazione aperta, stimolante, che può essere personalizzata e vissuta a prescindere dalla disponibilità economica. La loro maggiore autonomia da mode e brand, la ricerca più autonoma e informale di ciò che acquistano, l’uso di scambio e baratto tra loro, l’interesse a usare i beni e non tanto possederli, sono orientamenti ormai bene attestati dalle ricerche sul consumo in questi segmenti generazionali», afferma Siri. Che sia la fine dell’illusione della felicità legata alle merci teorizzata dal filosofo Zygmunt Bauman in Consumo, dunque sono (Laterza, 12 €)?

… e quella di pandemia e guerra

«La pandemia, la guerra e, probabilmente presto, anche la crisi climatica (si vedano i rischi di una siccità consistente, in Italia, già quest’anno) spingono tutti, dalle persone alle aziende passando per i governi, a un ripensamento complessivo», afferma il professor Siri. «Se sul piano istituzionale e degli stessi Nobel per l’economia si mette in discussione la logica di un’economia basata su un’ossessiva crescita “monetaria”, giungendo anche a un’autocritica del sistema capitalista, sul piano personale la qualità dell’esperienza quotidiana, l’importanza delle relazioni, il ritrovare una prospettiva più a lungo termine rispetto alla compulsività di carriera, consumo ed edonismo immediato, spostano la direzione in cui si cerca la felicità.

Però proprio queste circostanze drammatiche ci mostrano anche quanto è indispensabile che istituzioni e persone trovino una sinergia, e la fiducia reciproca fra stato e cittadini rinasca dalla separazione, ormai di lunga durata, fra privato e pubblico. Non si può costruire un futuro di benessere rifugiandosi nel privato. La reazione di empatia e aiuto offerta da tante persone che si mettono insieme per aiutare è un bel segnale, dimostra che “donare” ad altri può essere un buon modo di spendere per acquistare qualcosa di buono per noi stessi. Speriamo sia un seme e non una reazione emotiva temporanea», conclude l’esperto.


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