Di seguito sono esposte le quattro maggiori categorie di psicofarmaci: antipsicotici, anti-mania, antidepressivi, ansiolitici. Anche se diversi studi ne hanno provato l’efficacia, molto rimane ancora da indagare sul loro meccanismo d’azione, su come controllare o eliminare gli effetti indesiderati e su come aumentare la loro efficacia.
Antipsicotici I farmaci utilizzati per la psicosi sono i neurolettici, che agiscono sulle sostanze (neurotrasmettitori) che permettono la comunicazione tra le cellule nervose. Si ritiene, in particolare, che la dopamina sia il neurotrasmettitore che svolge il ruolo preponderante nell’insorgenza dei sintomi della schizofrenia. Tutti i farmaci appartenenti a questa classe (il primo fu introdotto verso la metà del Novecento) si sono dimostrati efficaci, ma differiscono principalmente per la potenza (cioè per la dose necessaria a ottenere gli effetti terapeutici) e gli effetti collaterali. Questa classe di farmaci ha aiutato molti pazienti con psicosi a condurre una vita più normale e accettabile, alleviando sintomi come le allucinazioni, sia visive sia uditive, e i pensieri paranoidi. Tuttavia, con il loro utilizzo si possono determinare effetti spiacevoli, (rigidità muscolare, tremori e alterazione dei movimenti) e questo ha indotto i ricercatori a continuare a sviluppare nuovi farmaci, detti antipsicotici atipici, poi introdotti negli anni novanta: tali farmaci sono dotati di effetti collaterali minori rispetto ai vecchi, e attualmente vengono utilizzati spesso come trattamento di prima scelta. Il primo antipsicotico atipico, la clozapina, è risultato più efficace rispetto agli antipsicotici convenzionali o tipici in pazienti con schizofrenia non trattabile con altri farmaci, con minore rischio di effetti indesiderati sul movimento (discinesia tardiva), ma con la possibilità di effetti avversi a livello dei globuli bianchi del sangue, ragione per cui si effettuano periodici controlli del sangue durante la terapia. Questo problema ha reso difficile la continuazione della terapia in molti pazienti, ma la clozapina resta comunque il farmaco d’elezione nei pazienti affetti da schizofrenia resistenti al trattamento.
Dopo la commercializzazione della clozapina, sono stati sviluppati diversi altri antipsicotici atipici. Il primo è stato il risperidone, seguito da olanzapina, quetiapina e ziprasidone. Ognuno di essi presenta un diverso profilo di sicurezza anche se, in generale, questi farmaci sono tollerati meglio rispetto ai precedenti. Il medico specialista sceglie questi farmaci in funzione dei sintomi del paziente, dell’età, del peso e della storia personale e familiare.
Effetti avversi e interazioni
A differenza di altri farmaci che devono essere assunti diverse volte al giorno, alcuni antipsicotici possono essere assunti solo una volta e, per ridurne alcuni effetti collaterali come la sonnolenza, la somministrazione può avvenire al momento di andare a letto; altri ancora sono disponibili in particolari formulazioni (dette depot) da iniettare una o due volte al mese. La maggior parte degli effetti collaterali è di grado lieve e molti si attenuano o scompaiono dopo le prime settimane di trattamento: sonnolenza, batticuore e capogiro quando si cambia posizione. Alcuni pazienti lamentano un aumento di peso durante l’assunzione e devono porre particolare attenzione alla dieta e all’esercizio per controllarlo. Altri effetti collaterali possono comprendere una riduzione della performance o del desiderio sessuale, problemi durante il ciclo mestruale, eritema solare o arrossamenti cutanei. Qualora insorga un effetto collaterale, il medico deve essere informato in modo che possa valutare se occorre modificare la terapia. Il medico non può sapere in anticipo quale sarà il farmaco più efficace per ogni soggetto, per cui è possibile che un paziente debba assumere farmaci diversi prima di riuscire a trovare quello più adatto al suo caso. Se una persona si sente meglio o addirittura bene, non deve assolutamente sospendere la terapia senza averne prima parlato con il medico, anche perché in alcuni pazienti la terapia antipsicotica può essere necessaria solo per un periodo limitato, mentre in altri gli antipsicotici servono per un lungo periodo di tempo o anche per tutta la vita, magari modificando opportunamente il dosaggio in modo da mantenerlo il più basso possibile (terapia di mantenimento). Il trattamento prolungato della schizofrenia con uno degli antipsicotici “convenzionali” può determinare lo sviluppo della cosiddetta discinesia tardiva, una condizione caratterizzata da movimenti involontari, più spesso intorno alla bocca, di intensità molto variabile da lieve a molto fastidiosa che per lo più si risolve parzialmente o del tutto. Una maggiore frequenza di questo problema è stata osservata nelle donne e il rischio aumenta con l’età. Sarà comunque sempre bene parlarne con il medico, il quale valuterà da caso a caso il bilancio tra i benefici ottenuti o previsti e i disturbi eventualmente comparsi con il farmaco.
Assunzione contemporanea di più farmaci
Come accade per molte altre categorie di farmaci, anche gli antipsicotici possono provocare effetti indesiderati se assunti con altri farmaci, per cui bisogna riferire sempre al medico tutto ciò che si assume, sia esso prescritto da altri medici oppure acquistato direttamente in farmacia (farmaci da banco, vitamine, sali minerali, prodotti “naturali” ed erboristici). È bene chiedere inoltre al medico se è opportuno sospendere anche l’assunzione di vino e bevande alcoliche. Alcuni antipsicotici possono interferire con farmaci quali antipertensivi, antiepilettici, anti-Parkinson, antiallergici (antistaminici), antidepressivi, barbiturici, alcuni farmaci usati contro l’insonnia, alcuni analgesici e alcuni narcotici.
Farmaci anti-mania Alcuni pazienti sono affetti dal cosiddetto disturbo bipolare e vanno incontro a ciclici cambiamenti d’umore, per cui alternano periodi di umore “elevato” (fasi maniacali) e di umore basso (depressione), intervallati da periodi di umore normale. Questi cambiamenti di umore possono susseguirsi in tempi molto ravvicinati (durata misurabile in giorni, detta ciclicità rapida) oppure essere separati tra loro da periodi di mesi o anni e avere intensità differente. Quando il paziente si trova nello stato maniacale appare iperattivo, con voglia di parlare continuamente (logorroico), pieno di energia e bisogno di dormire molto meno del solito; nei discorsi passa da un argomento all’altro rapidamente, come se non riuscisse a “tenere fermi” i pensieri. Non riesce a stare concentrato a lungo e si distrae facilmente. Talvolta i pazienti con umore elevato sono irritabili o molto euforici. Nella fase depressiva, appaiono depressi, apatici, “rallentati” nel pensiero e nei movimenti, dormono a lungo e tendono a mangiare di più; si sentono disperati, impotenti, tristi, inutili; sviluppano sensi di colpa e talvolta pensieri di suicidio. La maggior parte dei pazienti con disturbi bipolari assume più di un farmaco sia per stabilizzare l’umore (litio, antiepilettici) sia per agitazione, ansia, insonnia o depressione. È importante seguire le indicazioni del medico e in particolare non interrompere né aggiungere farmaci senza averne prima parlato con lui, anche se si ha l’impressione che la terapia non sia così efficace o che stia provocando fastidiosi disturbi.
Litio
Il litio è il farmaco utilizzato più spesso dagli specialisti nel trattamento dei disturbi bipolari in quanto “normalizza” le oscillazioni dell’umore in entrambe le direzioni (dalla mania alla depressione e dalla depressione alla mania), per cui non viene utilizzato soltanto per gli attacchi di mania o per la riacutizzazione della malattia, ma anche come terapia di mantenimento costante nei disturbi bipolari. Sebbene riduca i sintomi maniacali anche gravi nel giro di 5-14 giorni in media, possono trascorrere anche settimane o mesi prima che la situazione sia del tutto sotto controllo. Talvolta il medico, nei primi giorni di trattamento, può prescrivere un antipsicotico o, durante la fase depressiva, un antidepressivo (decisione peraltro sempre molto difficile e delicata in questo tipo di pazienti). La risposta alla terapia con litio è variabile e non si può stabilire in anticipo chi ne trarrà beneficio e chi no. Alcuni pazienti rispondono bene a una terapia protratta nel tempo e non presentano ulteriori episodi, mentre altri possono manifestare oscillazioni dell’umore che si riducono quando il trattamento continua oppure quando l’insorgenza degli episodi è meno frequente o meno grave; altri ancora, purtroppo, non traggono alcun beneficio dal litio.
Se il litio viene assunto in quantità troppo scarsa non risulterà efficace, mentre se la dose è troppo elevata può insorgere una serie di effetti collaterali. Per questo motivo vengono eseguiti di tanto in tanto controlli sul sangue (litiemia) che aiutano a stabilire la dose da assumere nel tempo, anche perché la dose necessaria può variare in base alla malattia, allo stato generale e alla condizione fisica.
Effetti collaterali
Quando un paziente assume per la prima volta litio, possono manifestarsi effetti collaterali quali sonnolenza, senso di debolezza, nausea, affaticamento, tremore alle mani, aumento della sete e della frequenza urinaria. Alcune reazioni possono svanire o ridursi rapidamente, anche se il tremore alle mani può persistere. Anche il peso corporeo può aumentare e una buona dieta (mai troppo drastica) può essere d’aiuto.
Talvolta possono verificarsi problemi urinari, che il medico valuterà per stabilire se variare le dosi del farmaco; il medico potrà inoltre far eseguire controlli dell’attività tiroidea (potrebbe insorgere un ipotiroidismo o un ingrossamento della tiroide), della funzione renale e cardiaca. Si presta molta attenzione anche ai pazienti con altre patologie e alle donne potenzialmente fertili e in gravidanza, per l’eventualità di arrecare danni congeniti ai bambini.
Qualsiasi evento che riduca il livello di sodio nel sangue (dieta troppo povera di sale, aumento della sudorazione per eccesso di esercizio o clima molto caldo, febbre, vomito o diarrea) può aumentare i livelli di litio nel sangue, aumentandone gli effetti negativi: se ci si trova in queste condizioni è bene informare tempestivamente il medico.
Assunzione contemporanea di litio e farmaci
Il litio può interagire con altri farmaci o sostanze varie. Per esempio, alcuni diuretici ne aumentano i livelli nel sangue, mentre il tè e il caffè li riducono. Quando il litio aumenta nel nostro organismo, possono comparire nausea, vomito, sonnolenza, annebbiamento della mente, farfugliamento delle parole, visione offuscata, confusione, vertigini, spasmi muscolari, irregolarità del battito cardiaco e convulsioni. Se dovessero insorgere tali sintomi, è bene avvertire subito il medico.
Anticonvulsivanti
In alcuni pazienti con sintomi di mania che non traggono beneficio o non possono o vogliono assumere il litio, può essere efficace il trattamento con gli antiepilettici: l’acido valproico rappresenta infatti la principale alternativa terapeutica per i disturbi bipolari, e nei disturbi bipolari a ciclicità non rapida è efficace quanto il litio, mentre sembra essere addirittura superiore in quelli a ciclicità rapida.
L’acido valproico può talvolta causare effetti indesiderati a livello digestivo e occasionalmente mal di testa, visione doppia (diplopia), capogiro, ansia e confusione. Nei pazienti colpiti da tali manifestazioni i medici in genere fanno eseguire controlli della funzionalità epatica prima di iniziare la terapia e successivamente a intervalli frequenti, in particolare durante i primi sei mesi di terapia; la prescrizione di questi farmaci avviene inoltre con particolare cautela per le giovani donne. Anche altri antiepilettici sono utilizzati nei disturbi bipolari, tra cui carbamazepina, lamotrigina, gabapentin e topiramato.
Antidepressivi La depressione è una malattia che può insorgere da sola o in concomitanza con altre patologie, e l’intensità dei suoi sintomi può essere molto variabile. Il medico può decidere di instaurare una terapia con gli antidepressivi non solo per le forme gravi, ma anche per quelle più lievi. Questi farmaci non vanno considerati come sostanze che “tirano su il morale” o che fungono da stimolanti, ma come farmaci che aiutano i pazienti a sentirsi come prima che si instaurasse lo stato depressivo.
Il medico sceglie sempre il farmaco in base ai sintomi dei singoli pazienti. Questi ultimi in genere notano un miglioramento nel giro di un paio di settimane, ma di solito il farmaco va assunto con regolarità per 6-8 settimane prima di ottenere un effetto terapeutico totale. Se dopo questo periodo non si osservano cambiamenti nei sintomi, il medico potrebbe decidere di prescrivere un farmaco diverso o modificare del tutto la terapia con altre categorie di sostanze. Poiché non si può sapere in anticipo quale farmaco sarà efficace, potrebbe essere necessario prescrivere prima un farmaco e poi un altro per verificare la risposta al trattamento che, se soddisfacente, potrà essere anche continuato per mesi o anni, sempre seguendo scrupolosamente le istruzioni del medico. Solo quando paziente e medico ritengono che la terapia possa essere sospesa, si valuterà come farlo. In ogni caso, il paziente non deve mai sospendere la terapia senza aver consultato il medico. Nei pazienti con diversi attacchi di depressione, il trattamento prolungato potrebbe rappresentare il metodo migliore. Il dosaggio degli antidepressivi varia, in base al tipo di farmaco e alle caratteristiche personali del paziente; di solito si inizia con un dosaggio basso e si aumenta gradualmente nel tempo fino a che non si raggiunge l’effetto desiderato senza che siano insorti effetti collaterali fastidiosi. Il medico, in genere, non inizia mai una terapia con antidepressivi in dose elevata, ma con incrementi graduali fino alla dose considerata “terapeutica”. Dagli anni sessanta agli anni ottanta del Novecento, il trattamento di prima scelta per la depressione maggiore è stato quello degli antidepressivi triciclici, efficaci quanto gli antidepressivi di più recente produzione ma di solito gravati da effetti collaterali più spiacevoli: per questo motivo oggi tali sostanze (imipramina, amitriptilina, nortriptilina e desipramina) sono prescritte spesso in seconda o terza battuta. Altri antidepressivi introdotti nello stesso periodo dei triciclici sono gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO), utili in diverse tipologie di pazienti ma anch’essi gravati da diversi problemi tra cui, fondamentalmente, le interazioni pericolose per contemporanea assunzione di alcuni cibi, bevande e parecchi farmaci; il loro impiego è quindi ancora limitato, nonostante siano in realtà molto sicuri se utilizzati in modo corretto e secondo le istruzioni. Negli anni novanta sono stati introdotti in commercio molti antidepressivi nuovi, di efficacia sovrapponibile a quelli più vecchi, ma con minori effetti collaterali. Alcuni di essi agiscono soprattutto sulla serotonina e sono noti come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI): fluoxetina, sertralina, fluvoxamina, paroxetina e citalopram. Alla fine del decennio sono stati inoltre inseriti due nuovi farmaci, il nefazodone e la venlafaxina, che come i triciclici agiscono sia sulla noradrenalina sia sulla serotonina, ma hanno minori effetti collaterali. In seguito alla terapia con nefazodone possono comparire problemi a livello della funzionalità del fegato, per cui è bene riferire al medico l’insorgenza di problemi quali un colore giallo della cute o del “bianco degli occhi”, urine molto scure, perdita persistente di appetito, nausea, dolore addominale. Altri farmaci impiegati nel trattamento della depressione sono la mirtazapina e il bupropione, che non sono chimicamente correlati agli altri antidepressivi.
Triciclici: principali effetti avversi e interazioni
Gli effetti collaterali (come l’efficacia) sono diversi per ogni antidepressivo e per ogni paziente, in alcuni dei quali possono risultare lievi e temporanei. Tuttavia, qualsiasi effetto insolito, fastidioso o che interferisca con le normali attività va comunque riferito tempestivamente al medico.
- Secchezza della bocca (può essere utile sorseggiare spesso acqua, masticare gomme senza zucchero o lavarsi i denti).
- Stitichezza (è utile mangiare cibi ricchi di fibra, frutta, verdura, legumi, prugne secche, anche assumendo qualche integratore di fibra acquistato in farmacia).
- Problemi vescicali (in alcuni soggetti, specie se maschi di età avanzata, può essere difficoltoso svuotare completamente la vescica e il flusso urinario può non essere forte come il solito; in questi casi occorre avvertire il medico, specie poi se insorge dolore).
- Problemi sessuali (se fastidiosi, discuterne con il medico).
- Visione offuscata (di solito è un problema temporaneo che non necessita di modifica degli occhiali in uso; i pazienti con glaucoma devono sempre parlarne con il medico, specie se avvertono modifiche della vista).
- Capogiro, specie quando si passa bruscamente dalla posizione sdraiata a quella eretta.
- Sonnolenza diurna (di solito scompare presto, ma bisogna fare attenzione a non mettersi alla guida né adoperare macchinari pesanti o a rischio; gli antidepressivi con azione sedativa vengono assunti al momento di andare a letto, così da favorire il sonno e ridurre la sonnolenza diurna).
- Aumento della frequenza del battito cardiaco (tachicardia): è il motivo per cui negli anziani il medico potrebbe decidere di far effettuare un elettrocardiogramma prima di iniziare un trattamento con antidepressivi triciclici.
Nuovi antidepressivi ed SSRI: principali effetti avversi e interazioni
- Problemi sessuali, abbastanza comuni ma reversibili, nelle donne e negli uomini; consultare il medico se il problema è persistente o fastidioso.
- Mal di testa: di solito si risolve dopo poco tempo.
- Nausea (si può verificare anche dopo una dose, ma scompare rapidamente).
- Difficoltà nell’addormentarsi oppure frequenti risvegli durante la notte (possono insorgere nelle prime settimane, ma di solito scompaiono con la riduzione della dose).
- Agitazione: se accade per la prima volta dopo l’assunzione del farmaco e se poi non scompare, bisogna comunicarlo al proprio medico.
Tutti questi effetti possono essere amplificati se un SSRI viene associato a un altro farmaco che agisce sulla serotonina. Per questo motivo non bisogna mai associare più farmaci di propria iniziativa.
IMAO: principali effetti avversi
e interazioni
I pazienti in cui la terapia con IMAO rappresenta il miglior trattamento devono evitare di assumere decongestionanti nasali e consumare determinati cibi che contengono elevati livelli di tiramina (per esempio molti tipi di formaggi, vini, sottaceti) per l’eventualità che si verifichino bruschi e pericolosi aumenti della pressione arteriosa. In questo senso è utile chiedere al medico l’elenco completo dei cibi “proibiti”, che bisogna portare sempre con sé.
Ansiolitici Per trattare i disturbi d’ansia vengono utilizzati sia gli ansiolitici, sia gli antidepressivi (spesso efficaci nell’ansia come nella depressione).
Le benzodiazepine sono i farmaci ansiolitici propriamente detti. Possono alleviare i sintomi entro breve tempo, presentando effetti collaterali relativamente limitati che consistono, più comunemente, in sonnolenza e perdita della coordinazione, talvolta senso di affaticamento e rallentamento mentale o confusione, effetti che però possono essere pericolosi nei pazienti che si mettono alla guida o adoperano macchinari. La durata d’azione delle benzodiazepine varia nei diversi soggetti; possono essere assunte una o più volte al giorno in modo regolare o semplicemente “al bisogno”. Il medico di solito inizia prescrivendo un dosaggio basso che gradualmente può essere aumentato, se necessario, a seconda dell’evoluzione dei sintomi e dei pazienti.
È consigliabile che i pazienti in trattamento con benzodiazepine evitino di assumere alcolici, in quanto la reciproca interazione può determinare l’insorgenza di complicanze gravi e talvolta potenzialmente mortali. I pazienti che assumono benzodiazepine per lunghi periodi (settimane o mesi) possono sviluppare tolleranza (devono aumentare le dosi per avere i benefici attesi) o dipendenza (non possono più farne a meno). Per tali ragioni, questi farmaci di solito vengono prescritti per brevi periodi di tempo (giorni o settimane) e talvolta soltanto in situazioni stressanti o attacchi di ansia; nei pazienti in cui si rendano necessari trattamenti prolungati, si cerca se possibile di fare qualche, magari breve, periodo di interruzione.
È bene comunque seguire i consigli del medico ed evitare di modificare autonomamente le dosi o i periodi consigliati di assunzione.Anche prima di interrompere la terapia è essenziale parlarne con il proprio medico, il quale valuterà se procedere a una sospensione brusca o graduale per evitare problemi quali la sindrome d’astinenza (ansia, stato di indecisione, mal di testa, capogiro, insonnia, perdita di appetito, in casi estremi convulsioni).
Buspirone È un farmaco specifico per i disturbi d’ansia. Diversamente dalle benzodiazepine, va assunto costantemente per almeno due settimane prima di raggiungere un effetto ansiolitico e pertanto non può essere utilizzato “al bisogno”. I b-bloccanti, farmaci impiegati nel trattamento di alcune malattie cardiache e dell’ipertensione, sono talvolta utilizzati per controllare l’ansia “da performance”, cioè lo stato di agitazione che compare quando un soggetto deve affrontare una situazione stressante (un colloquio, un meeting importante, una conferenza ecc.): tra queste sostanze, quella utilizzata di solito è il propranololo. [A.R., A.P.C.]