Epatiti

L’epatite è una malattia del fegato caratterizzata da un’infiammazione diffusa del tessuto epatico che porta alla “morte” (necrosi) delle cellule epatiche (gli epatociti) e alla formazione di un accumulo di cellule e sostanze tipiche, appunto, dei fenomeni infiammatori. Si distinguono due tipi principali di epatite: acuta, di durata inferiore a 6 mesi; nella maggior parte […]



L’epatite è una malattia del fegato caratterizzata da un’infiammazione diffusa del tessuto epatico che porta alla “morte” (necrosi) delle cellule epatiche (gli epatociti) e alla formazione di un accumulo di cellule e sostanze tipiche, appunto, dei fenomeni infiammatori.

Si distinguono due tipi principali di epatite:

  • acuta, di durata inferiore a 6 mesi; nella maggior parte dei casi guarisce da sola con completo recupero dello stato normale del fegato;
  • cronica, persistente nel tempo (oltre 6 mesi); può evolvere nel 20-30% dei casi in cirrosi epatica.

L’epatite cronica può costituire l’evoluzione di un’epatite acuta guarita in modo incompleto, ma nella maggior parte dei casi non è preceduta da una malattia acuta evidente.


Cause delle epatiti

La maggior parte delle epatiti, sia acute sia croniche, è dovuta a un’infezione virale. Nei principali virus coinvolti si riscontra una particolare affinità per il tessuto epatico (nel linguaggio tecnico tali virus vengono detti epatotropi): è il caso dei virus dell’epatite A (HAV), B (HBV), C (HCV), Delta (HDV) ed E (HEV); tra quelli appena citati, soltanto HBV, HCV e HDV possono causare una forma di epatite cronica.

L’epatite può anche essere secondaria a infezione da parte di virus epatitici “occasionali” (per esempio quello di Epstein-Barr oppure quelli del tipo Herpesvirus o Cytomegalovirus); in particolare nelle zone tropicali, può inoltre essere conseguenza di un’affezione da febbre gialla, virus Ebola o virus di Mabourg.

Tra le cause non infettive di epatite vanno citate invece:


Epatiti virali

Le epatiti virali rappresentano un importante problema sanitario a livello mondiale: si stima che complessivamente siano più di 350 milioni i soggetti portatori cronici del virus dell’epatite B e più di 170 milioni quelli affetti da epatite cronica C.

I virus dell’epatite appartengono a famiglie virali differenti, presentano diversi meccanismi di trasmissione e sono associati a diverse evoluzioni della malattia epatica acuta, ma hanno in comune lo spiccato epatotropismo.

In relazione alle diverse modalità di trasmissione si possono distinguere due gruppi di virus epatitici:

  1. un gruppo di virus a diffusione enterica (cioè per via oro-fecale), di cui fanno parte i virus dell’epatite A e dell’epatite E;
  2. un gruppo di virus a diffusione per via sessuale o ematica, di cui fanno parte i virus dell’epatite B, dell’epatite Delta e dell’epatite C.

La distribuzione geografica di queste infezioni, a livello globale, vede una frequenza di malattia maggiore nelle aree meno sviluppate e, più in generale, nei Paesi del Sud del mondo.


Epatite A

Si trasmette per via oro-fecale, cioè con l’ingestione di acqua e di alimenti infetti (frutti di mare, alimenti contaminati da feci di soggetti malati). Fattori che favoriscono la trasmissione dell’infezione sono le condizioni di scarsa igiene ambientale e personale, specie nei processi di preparazione degli alimenti. La malattia si manifesta, dopo un periodo di incubazione di 15-45 giorni dal momento di esposizione al virus, con perdita dell’appetito, malessere generale, febbre e nausea.

Dopo qualche giorno, l’aumento della bilirubina nel sangue e nelle urine provoca la comparsa di un colorito giallastro della pelle e degli occhi (ittero) e di una colorazione scura (tipicamente color marsala) delle urine.

La durata dell’epatite A varia tra le 2 e le 10 settimane; la malattia ha in genere decorso benigno, con guarigione completa. Nel sangue si osserva la presenza degli anticorpi anti-virus epatite A (IgG anti-HAV) che testimoniano l’avvenuta infezione. Talvolta il decorso è completamente privo di sintomi: può pertanto succedere che un soggetto scopra per caso di essere positivo per gli anticorpi anti-HAV ma non ricordi di aver mai avuto la malattia.


Epatite B

Presente su tutto il territorio nazionale, ma più diffusa nelle regioni del centro-sud, si trasmette per via ematica o sessuale (attraverso sperma e liquidi vaginali infetti); la trasmissione può avvenire anche da madre infetta a bimbo durante la gravidanza. In relazione alla modalità di trasmissione sono a maggior rischio di contrarre l’infezione i soggetti che hanno rapporti sessuali con partner infetti o i tossicodipendenti.

L’epatite virale B si manifesta, dopo un periodo di incubazione di 2-6 mesi dal momento dell’esposizione al virus, con perdita dell’appetito, malessere generale, febbre e nausea. Dopo qualche giorno possono comparire ittero e urine color marsala.

Nel 95% dei casi la malattia guarisce e nel sangue rimane la presenza di anticorpi (anti-HBs, anti-HBc, anti-HBe) che testimoniano l’avvenuta infezione; nel 5% dei casi la malattia può però evolvere verso una forma cronica e la cirrosi.

La forma cronica è caratterizzata nel 30-40% dei casi da un aumento persistente nel sangue degli enzimi epatici (AST/ALT) e nei rimanenti da un andamento alterno, con periodi di alterazione degli enzimi epatici (segno di distruzione delle cellule del fegato, fenomeno noto come citolisi epatica) intervallati a periodi di normalizzazione degli esami e assenza di replica del virus nell’organismo.

Nella fase iniziale i rialzi delle transaminasi sono ben tollerati e il paziente non accusa sintomi né presenta segni di alterata funzione epatica. Prima o poi, però, l’ennesimo picco di infiammazione epatica altera la situazione clinica al punto da determinare la comparsa di ittero, di versamento di liquido nell’addome (ascite) e dei segni dell’insufficienza epatica.

Per una diagnosi accurata è necessario il medico, che in genere richiede accertamenti finalizzati a ricercare nel sangue alcune sostanze importanti, tra le quali:


Epatite C

Presente diffusamente in Italia (in particolar modo nelle regioni del Sud), veniva inclusa in passato nel gruppo delle epatiti dette non-A-non-B, che indica le forme di epatite attribuibili a virus non ancora conosciuti; in seguito, nel 1989, è stato reso disponibile l’esame per diagnosticare l’infezione da HCV.

Il virus dell’epatite C può presentarsi sotto forma di diversi genotipi: quello più frequente nell’area mediterranea è il tipo 1b, che purtroppo è anche quello meno sensibile ai trattamenti farmacologici.

L’infezione da HCV si trasmette attraverso il sangue o i suoi derivati;
il rischio di trasmissione per via sessuale o da madre a figlio durante la gravidanza invece è molto basso.

In relazione alla modalità di trasmissione sono a maggior rischio di infezione i tossicodipendenti, i pazienti che si sottopongono a emodialisi e (soprattutto in passato) quelli sottoposti a trasfusioni di sangue o emoderivati: oggi si stima che le probabilità di contrarre l’infezione da HCV in seguito a una trasfusione di sangue siano pari a 1 caso su 100.000 sacche di sangue trasfuse.

L’epatite virale C si manifesta in modo molto sfumato, dopo un periodo di incubazione compreso tra 2 settimane e 6 mesi, con stanchezza, perdita dell’appetito, cefalea, talvolta febbre e dolori addominali.

Nell’80% dei casi la malattia cronicizzata può evolvere nel tempo fino alla cirrosi epatica.


Epatite Delta

Si tratta di una malattia causata da un virus in grado di moltiplicarsi solo in presenza del virus dell’epatite B. L’infezione può avvenire con due modalità:

  1. infezione contemporanea a quella del virus dell’epatite B;
  2. infezione successiva in un soggetto portatore cronico di virus dell’epatite B.

Nel secondo caso il decorso, dopo un periodo di incubazione di circa mese, può evolvere verso la manifestare un’epatite acuta dalla quale a volte si arriva alla manifestazione di un’epatite fulminante.


Epatite E

Si trasmette per via oro-fecale con l’ingestione di acqua e di alimenti contaminati dalle feci di soggetti malati; per questo motivo l’epatite E è diffusa soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove le condizioni igienico-ambientali sono scadenti. La malattia si manifesta con la comparsa, dopo un periodo di incubazione di 2-9 settimane, di sintomi aspecifici, e talvolta (con maggior frequenza nelle donne in gravidanza) può evolvere verso una forma fulminante, soprattutto se l’infezione avviene nel terzo trimestre. L’epatite E non cronicizza.


Epatite alcolica

L’assunzione di alcol (che avvenga attraverso vino, birra o superalcolici) può determinare diversi tipi di danno sul fegato: si va dal semplice “fegato grasso” (steatosi alcolica) alla più complessa steatoepatite alcolica, caratterizzata da un’evoluzione spesso sfavorevole. Nei soggetti che mantengono un consumo cronico e quantitativamente elevato di bevande alcoliche (i livelli di guardia sono rappresentati dall’assunzione quotidiana di più di 40 g di alcol per gli uomini e più di 20 per le donne) si può osservare nel 60-80% dei soggetti una steatosi epatica, che peraltro è reversibile in poche settimane con l’astensione completa dalle bevande alcoliche; per produrre un danno clinicamente rilevabile l’assunzione di alcol a dosi superiori a quelle sopra riportate si deve protrarre per almeno 15-20 giorni. L’epatite alcolica costituisce, rispetto alla steatosi, una forma più avanzata di malattia che può evolvere verso la cirrosi: malgrado la sospensione dell’assunzione di alcol, infatti, in circa il 20-40% dei soggetti il decorso vede l’insorgenza di una cirrosi.


Quadro clinico

L’80-90% delle epatiti acute decorre in modo asintomatico, cioè senza determinare nel paziente disturbi di rilievo. Per questo motivo spesso l’epatite acuta non viene diagnosticata, in quanto i sintomi sono lievi e non “tipici”: talvolta il riscontro della positività agli anticorpi contro i virus di un determinato virus epatitico è occasionale, e avviene senza che il paziente abbia mai accusato un sintomo.

Nelle forme sintomatiche, il paziente può diventare itterico, con cute e occhi gialli, riferendo inoltre urine molto colorate (giallo carico) e feci molto chiare, gialle o talvolta addirittura bianche (feci acoliche). Talvolta possono presentarsi febbre e una dolenzia addominale diffusa, che tendono a risolversi spontaneamente; può invece persistere più a lungo un senso generale di malessere. Nelle epatiti croniche la sintomatologia spesso è lieve e aspecifica; il paziente può riferire stanchezza persistente, una sensazione di malessere generale, perdita dell’appetito. Nella maggior parte dei casi pertanto la malattia viene diagnosticata casualmente, nel momento in cui il soggetto esegue gli esami del sangue. La presenza di sintomi più importanti come ascite o emorragia digestiva indica l’evoluzione dell’epatopatia cronica verso la cirrosi.


Diagnosi

La diagnosi delle epatiti deve prendere in considerazione la storia clinica, l’esame obiettivo del paziente, gli esami del sangue (compresi quelli virologici) e gli esami strumentali: in particolare possono essere richiesti l’ecografia dell’addome superiore con il doppler epatico e, in casi selezionati, la biopsia epatica.

Quando ci si ammala è importante ricorrere tempestivamente al proprio medico curante, il quale prescriverà analisi che permettano di valutare la funzionalità del fegato (esaminando i valori di AST, ALT, GGT, ALP, bilirubina totale, INR, emocromo, gamma globulina nel quadro proteico elettroforetico) e che confermino la diagnosi di epatite (virale, autoimmune ecc.). Un’attento esame della storia personale e la visita del paziente permetteranno di identificare fattori scatenanti dell’epatite quali obesità, abuso di alcol o presenza di altre malattie. L’ecografia serve a riconoscere i segni di un’epatite cronica a evoluzione cirrotica, valutare la presenza di grasso nel fegato ed escludere altre malattie epatiche.


Terapia

Le epatiti acute si risolvono di solito spontaneamente, senza necessità di seguire alcuna terapia, pertanto il riposo e una buona alimentazione sono i provvedimenti più importanti; nei casi di epatite da alcol o da farmaci, l’astinenza da tali sostanze è naturalmente la terapia di prima scelta. La terapia delle epatiti croniche deve invece essere mirata e scelta a seconda dell’agente causale. Nell’epatite cronica da virus B la terapia di prima scelta è l’interferone, somministrato per via sottocutanea e per almeno 6 mesi: questa terapia determina la completa guarigione nel 15-20% dei pazienti trattati. Attualmente possono essere utilizzati per il trattamento di tale patologia anche lamivudina, adefovir dipivoxil ed entecavir, altri preparati ben tollerati dal paziente e somministrati per via orale per un periodo di tempo in genere piuttosto lungo. Il trattamento dell’epatite C si basa sull’uso associato di interferone e ribavirina. Questa combinazione, soprattutto quando si utilizza il PEG-Interferone somministrato una volta alla settimana, ottiene buoni risultati con una guarigione completa nel 40-50% dei casi. Le altre forme di epatite cronica prevedono trattamenti diversi: cortisone ed eventualmente azatioprina nelle epatiti autoimmuni, trattamento del disordine metabolico nella steatosi epatica (aumento del contenuto di grasso nelle cellule del fegato), riduzione dei livelli del rame nella malattia di Wilson ecc.

[V.B.]