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Sette e santoni: come i reclutatori scelgono le vittime e come non cadere in trappola

Fanno leva sull’insoddisfazione personale promettendo cambiamenti positivi, mentre rubano affetti, denaro e libertà. Ecco come tenerli alla larga

credits: iStock




"L'Italia è infestata da sette, sedicenti guru e santoni che manipolano le persone sfruttandone la mancanza di autostima, la carenza di affetto, il bisogno di scoprire se stessi e Dio”.

Lo scrive, senza mezzi termini, Michelle Hunziker in uno dei libri più discussi di questo autunno, l’autobiografia Una vita apparentemente perfetta (Mondadori, 18 €). E lo fa con cognizione di causa, poiché ha trascorso cinque anni in balìa di una pranoterapeuta e dei suoi fedelissimi, da cui è riuscita a sganciarsi anche grazie alla caparbietà di sua madre, che non l’ha mai abbandonata.


Una realtà multiforme

Secondo la stima dell’Osservatorio nazionale abusi psicologici, le sette coinvolgerebbero circa tre milioni di italiani. Dati certi, però, non ne esistono, in quanto le vittime non hanno la lucidità per dichiarare la loro affiliazione, mentre i fuoriusciti spesso tacciono per non essere bollati come incapaci o deboli, o per evitare ritorsioni.

Ma il fenomeno è sfuggente anche per un altro motivo: il “travestimento” che permette ad alcune sette di presentarsi come associazioni culturali o di ricerca filosofica, cure alternative, psicoterapie, persino iniziative commerciali e imprese.

«Nonostante siano lontani dall’idea comune di "setta, sono comunque gruppi “ad alto controllo”, caratterizzati da un’ideologia totalizzante, che richiede un impegno assoluto, e da un leader che esercita una considerevole influenza sociopsicologica sui membri», spiega Cristina Caparesi, coordinatrice e consulente dell’associazione Sos abusi psicologici di Udine (organizzazione che da 13 anni si occupa del fenomeno del settarismo in Italia), e dottoranda di ricerca in Psicologia clinica e della salute presso l’Università Autonoma di Madrid (fra gli enti di riferimento europei per lo studio dei gruppi manipolativi).

«L'obiettivo di questi gruppi, abilissimi a insinuarsi in modo subdolo nella nostra quotidianità, è creare una dipendenza incondizionata». Gli scopi possono essere diversi: dall'accaparrarsi denaro e risorse, al compimento di atti illeciti che gli adepti al di fuori di quel contesto mai metterebbero in pratica o, semplicemente, dare libero sfogo alla personalità dominante del leader.

«Fortunatamente ciò non succede in pochi giorni, per cui le famiglie e gli amici hanno la possibilità di rendersi conto che sta capitando qualcosa di strano e, quindi, di intervenire. E come per qualsiasi dipendenza, anche in questi casi prima si agisce, meglio è».

Vediamo allora quali sono i segnali che devono preoccupare e come comportarsi.


I campanelli d'allarme

In una persona l'adesione a una setta si manifesta, in genere, con un cambiamento improvviso e drastico di interessi, abitudini e valori. Non ha mai fatto sport? Ora si sfinisce di esercizi. Prima le piaceva la carne? Adesso non ne sopporta neanche l’odore. La famiglia era la sua priorità? Oggi non la considera quasi più. È sempre stata materialista? Medita per ore e dona tempo e denaro a una causa imprecisata.

«È vero che tutti ci trasformiamo, durante la vita, ma i cambiamenti frutto di manipolazione sono molto più veloci e categorici rispetto a quelli fisiologici dovuti alla maturazione, allo studio, alla sperimentazione spontanea», nota Steven Hassan, psicologo statunitense autorità mondiale in manipolazione mentale, autore di Mentalmente liberi. Come uscire da una setta (Avverbi, 14 €).

Ecco, allora, altre variazioni sospette: Comparsa di atteggiamenti evasivi o di segretezza (per esempio, smettere di dire dove e con chi si va, rendersi irreperibili, mentire sugli impegni). Diminuzione della vitalità, irrigidimento dei sentimenti, appiattimento delle emozioni, scomparsa della spontaneità e del senso dell’umorismo.

Perdita di contatto con la famiglia e con la cerchia di amici/conoscenti, a meno che questi non mostrino interesse nell’ideologia, nel gruppo. Riduzione della flessibilità cognitiva e della capacità di affrontare e risolvere i problemi (non pensare più con la propria testa ma utilizzare le risposte e le soluzioni stereotipate imparate nel gruppo, del quale si accettano in modo acritico opinioni, decisioni e modalità di azione). Cambiamenti fisici come calo del peso e peggioramento dell’aspetto.



Tre step per reagire con il fanatismo 

Se queste (o altre) novità sembrano modificare sostanzialmente la persona, è opportuno indagare chi o che cosa c’è dietro. Come? «Primo, provando a informarsi con il diretto interessato: se si esprime un sincero interesse per le sue esperienze e si evitano toni ansiosi e accusatori – sarebbero controproducenti – ci sono buone probabilità che sveli qualcosa», risponde Cristina Caparesi.

«Secondo, consultando internet: per esempio, la location di un corso frequentato dalla persona, il nome di un conferenziere che lei cita o quello di una casa editrice di un libro che sta leggendo possono dare indizi utili.

Terzo, rivolgendosi a professionisti esperti tramite le associazioni che si occupano di abuso psicologico (anch’esse reperibili in internet, ndr): forse non conosceranno il gruppo particolare, ma possono dare una mano a capire se si tratta di un contesto ad alto controllo e, in caso positivo, suggerire il da farsi».



Servono, tatto, prudenza e...

«Molti degli adepti, prima o poi, abbandonano il gruppo, per esempio perché si accorgono che le promesse iniziali non vengono mantenute, oppure perché entrano in disaccordo con il leader o con altri membri», rassicura Cristina Caparesi. «Per facilitare il processo di distacco, però, non bisogna farsi prendere dal panico e dalla fretta, ma procedere con i piedi di piombo.

È vero che è necessario sbrigarsi per evitare che la vittima venga risucchiata totalmente, ma agendo d’impulso – magari dando un aut-aut (“O noi, o loro”) – si rischia di fare il gioco del gruppo, cioè creare una rottura tra la persona e il suo mondo di sempre (famiglia, amici).

È invece fondamentale tenere a bada preoccupazione, rabbia e sensi di colpa, e tentare di tutto per mantenere viva la relazione. Solo così, nel malaugurato caso in cui il familiare/ amico non riuscisse a sganciarsi dai manipolatori, non si perderebbero del tutto i contatti con lui».



... molta disponibilità

«Soprattutto nelle prime fasi è possibile stimolare il ragionamento complesso e il pensiero critico del malcapitato», rivela l’esperta. «Purché vengano poste con tatto e trattenendo le emozioni negative, domande del tipo “Come ti senti da quando frequenti il gruppo? Che cosa ti ha indotto a cambiare la tale abitudine? Quali ambiti speri di migliorare? Che progetti hai per il futuro?” sono utili per iniziare un dialogo che porti l’interessato a porsi interrogativi e, si spera, a mettere in discussione l’ideologia, i valori sottostanti o i comportamenti prescritti.

Un passo ulteriore è indagare sui bisogni psicologici inconsci soddisfatti dalla nuova “fede”, accoglierli e rispondervi. Spesso, infatti, chi viene agganciato dai manipolatori si trova in un momento di stress o di confusione, oppure è in crisi per un cambiamento (rottura di una relazione, bocciatura o termine degli studi, licenziamento, lutto...), in sostanza è più vulnerabile al richiamo di una illusoria “strada verso la felicità”, quella che in ultima analisi propongono tutti i gruppi ad alto controllo.

La famiglia e gli amici, dal canto loro, non promettono miracoli (ridare l’amore, mettere in contatto con chi non c’è più, eliminare gli ostacoli, assicurare una carriera...) ma hanno il potere di rilanciare l’offerta mettendo in gioco tutto l’amore disinteressato di cui sono capaci. Il che, nella maggior parte dei casi, è ciò che fa la differenza».


Ma come agiscono i reclutatori?

Cristina Caparesi, studiosa di gruppi manipolativi, spiega che molti avvicinano i potenziali adepti in modo aperto, per nulla misterioso,  utilizzando i principi del marketing illustrati nel libro Le armi della persuasione. Come e perché si finisce coldire di sì (Giunti, 7,90 €) di Robert Cialdini, psicologo statunitense fra i massimi esperti mondiali di influenza sociale.

Per esempio, i reclutatori elargiscono spontaneamente dei favori che la persona si sente in dovere di ricambiare (principio della reciprocità), si fanno benvolere perché dimostrano di apprezzare il soggetto e di essergli in qualche modo simili (principio di simpatia), sanno sfruttare il bisogno universale di mantenere fede alle dichiarazioni fatte e agli impegni presi (principio di coerenza).

Insomma, si comportano né più né meno come abili venditori. «Non si tratta esclusivamente di sconosciuti», avverte l'esperta. «Spesso il reclutamento è opera di vicini di casa, compagni di studi, insegnanti, allenatori, colleghi...: in sintesi, di persone che sfruttano le relazioni già in atto per i loro scopi manipolatori».

«Una volta agganciata, la persona viene indottrinata, cioè istruita sui principi del gruppo grazie a conferenze, corsi, seminari, libri, siti internet, riunioni di studio, di preghiera o altro», spiega Cristina Caparesi.

«L'indottrinamento è in genere seguito dalla richiesta di partecipazione, di impegno in attività di “volontariato”: attenzione, perché a questo punto lo scopo principale dei manipolatori potrebbe solo essere quello di controllare il neo-affiliato dandogli qualcosa da fare e mettere alla prova la sua lealtà e obbedienza al gruppo e ai suoi leader.

Comunque il malcapitato è ancora libero di comunicare e di interagire con la famiglia e con gli amici (la chiusura e l'isolamento verso l'esterno, infatti, avvengono più tardi): quindi, questi hanno un'importante chance di agire. Attraverso la vicinanza, l'ascolto e l'osservazione, possono accorgersi di comportamenti e attività insolite».


Le vittime migliori

Nel suo libro Pre-suasione. Creare le condizioni per il successo dei persuasori (Giunti, 24 €), lo psicologo Robert Cialdini spiega che i reclutatori dei gruppi settari usano una particolare tecnica verbale per trascinare le persone nel gruppo.

Fanno, infatti, ai potenziali affiliati una domanda precisa: "Sei infelice?” per fare sì che le persone si concentrino, in modo inconsapevole, solo su ciò che non va nelle loro vite e, perciò, si sentano più attratte ad accettare la proposta di un “percorso di cambiamento” promesso dalla setta.

Insomma, i manipolatori fanno leva sull'insoddisfazione personale per trovare il maggior numero possibile di vittime. Ma agli affabulatori, rivela Cialdini, interessa conquistare anche individui emotivamente stabili ed entusiastici, per farli diventare attivisti capaci di convincere altre persone a entrare nel gruppo.


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Articolo pubblicato sul n. 52 di Starbene in edicola dal 12/12/2017

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