Amore finito: serve buttare via regali e ricordi?

Quando un amore finisce lascia alle sue spalle una marea di cimeli: dalle foto ai regali più o meno preziosi. Una famosa App di dating invita ad “andare avanti” buttandoli nel suo cassonetto griffato. Ma come uscire bene e presto da una storia ce lo spiega una famosa psicoterapeuta



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A Mumbai, in India, gira per le strade un camioncino rosa, simil nettezza urbana, dove gli ex possono buttare i regali legati a una relazione finita. Un gesto catartico, di taglio concreto col passato. Ma funziona? Davvero eliminare orsacchiotti, vestiti, lettere d’amore “libera” dagli strascichi psicologici di una storia finita, a maggior ragione se non siamo stati noi a scrivere la parola “the end” e magari l’altro si è pure comportato male? A prescindere dal come e dal perché, quando si conclude una relazione, come cantava Cocciante, il problema numero uno rimane dimenticare, che serve poi a soffrire di meno e ripartire. Ne parliamo con Maria Giovanna Luini, medico psicoterapeuta esperto in problematiche di coppia.


Quanto pesa un oggetto simbolo in una storia?

«Molto. I regali portano con sé significati profondi legati alle persone, ma anche la loro energia psichica, che non è solo la nostra memoria di chi era lui o lei: è come se ci si portasse dietro un’impronta dell’altro. Nessuno, infatti, può scindere l’oggetto dalla provenienza e dall’occasione in cui è stato regalato. E questa impronta può avere un’energia fisica molto forte, che in qualche modo ci lega nel prosieguo e influenza le emozioni, interferendo anche con le esperienze successive. Quindi gli oggetti, avendo questa grossa valenza celebrativoemozionale, andrebbero in genere lasciati andare».


Quindi chiuso il rapporto buttiamo via tutto?

«Non necessariamente, dipende anche da come è finita la storia. Dobbiamo essere attenti però a non creare una sorta di santuario che celebri quel passato: quest’ultimo ci ha costruito come persone, ma non può essere un macigno che ci portiamo sulle spalle. Prima o poi bisogna guardare avanti, e l’oggetto, soprattutto se è facilmente visibile, diventa una sorta di peso emotivo che ci trasciniamo dietro».


Difficile gettare via certe cose però…

«Ci sono alcune pratiche sciamaniche, cioè dei rituali antichissimi, tecniche spirituali e terapeutiche che ci vengono da paesi come l’Africa o l’America dei nativi, studiate per chi non vuole lasciarle andare. Purificano gli oggetti, li liberano dall’impronta che lascia l’ex. Con certe persone sono efficaci, e alcuni terapeuti le usano».


Il ricordo più “pesante” da conservare?

«Purtroppo video e foto. Sono dappertutto, grazie ai social che ogni giorno ce le ripropongono come ricordi: spuntano come funghi anche quando ormai siamo tranquilli, sereni. Soprattutto chi ha avuto una rottura sentimentale improvvisa e drammatica cerca nelle immagini quello che è stato e non c’è più, e se continua a farlo troppo a lungo ne rimane legato, azzoppato emotivamente, e può dover ricorrere all’aiuto di un esperto per uscirne. Anche le chat possono essere rilette come dei mantra alla ricerca di cose belle e struggenti, che sul momento possono far rivivere una gioia, ma poi lasciano un buco nel cuore».


Ci sono oggetti che raccontano storie di decenni: non va conservato almeno qualcosa?

«Certo, soprattutto se la storia è finita “bene”, siamo stati noi a lasciare o si è esaurita naturalmente (le relazioni finiscono anche per consunzione). Se siamo ormai in pace con noi stessi sappiamo che certe cose hanno un valore affettivo non negativo: in questo caso mettiamo via i ricordi più significativi e ogni tanto andiamo a guardarceli».


E i gioielli vanno sacrificati?

«Nella tradizione, quando si rompeva il fidanzamento, la promessa, andavano restituiti. Non è sbagliato. Però non farei come quella paziente che li ha buttati in un torrente, perché l’acqua li trascinasse lontani, insieme ai cattivi ricordi; piuttosto trasformiamoli in denaro per fare una donazione, del bene a qualcuno. Dalla sofferenza personale facciamo nascere un aiuto: ci tornerà indietro».


C’è chi non butta, distrugge: che differenza c’è?

«Una paziente ha bruciato le lettere del suo amante una a una nel fuoco del caminetto, un’altra ha tagliato a pezzi un vestito costoso con le forbici trinciapollo… Sono tutti rituali di liberazione. Jung parlava dell’importanza straordinaria dei riti nella psiche, che possono essere personali oppure legati alla tradizione, quindi codificati. I riti personali, nati e inventati da noi, sono fondamentali, entrano profondamente nell’inconscio. Tagliare un maglione, invece di buttarlo, è una sorta di cerimonia spontanea dall’effetto molto potente».


Quindi un rituale scaccia ricordi è d’aiuto.

«Molte vie psicoterapeutiche si basano anche sui riti. Alejandro Jodorowsky, filosofo e psicologo, li chiamerebbe atti di psicomagia, pratica ideata da lui che unisce psicologia, arte, teatro, esoterismo e riti come terapia. Atti cioè capaci di separarmi definitivamente dal mio ex, con un taglio netto del cordone ombelicale. Per esempio, chi soffre per un amore finito può bruciare un oggetto simbolico della relazione in un rituale notturno, per segnare la fine e rinascere emotivamente, magari accompagnato in questo gesto dal suo mentore psichico».


Anche perché se c’è un nuovo compagno…

«I nuovi partner “odiano” essere paragonati agli ex, ma anche averli in qualche modo presenti. Non a caso nei primi incontri molti terapeuti “proibiscono” di parlare dei fidanzati precedenti. Quindi così come non indosserò più l’anello del fidanzamento naufragato, di certo non terrò oggetti che ricordano lui o lei. Occhio soprattutto a lettere e libri con dedica. Fanno un effetto pessimo ai nuovi arrivati. Mettiamoci una pietra sopra (o la porta della cantina)».


Per le storie finite il cassonetto dei ricordi

Tinder, la più famosa app di incontri ha lanciato (per ora solo in India), la campagna Move On, Vai Avanti, che si concretizza con un camioncino colorato di rosa che gira per la città di Mumbai e raccoglie i ricordi degli ex di cui vogliamo disfarci. Marketing furbetto? «Per niente», commenta Maria Giovanna Luini. «La campagna è educativa, e cavalca un moto dello spirito che va nella direzione giusta. Move on significa andare avanti, superare il passato. L’orsacchiotto che mi ha regalato può farmi tenerezza, ma non deve rimanermi appiccicato al cuore. A costo di sacrificarlo».


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