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Omega 3: perché fanno bene

Questi grassi “buoni”, che spengono le infiammazioni, aiutano il benessere e aprono spiragli per la prevenzione e la cura di molte importanti malattie

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Fanno bene al cuore e al cervello. Ma non solo. Le ricerche più nuove mettono in luce il ruolo cruciale degli Omega 3 (i grassi buoni presenti soprattutto nel pesce) nello spegnere l’infiammazione silenziosa che mina la nostra salute, aprendo la strada allo sviluppo di molte malattie.

Ne hanno parlato durante un recente convegno a Milano medici, nutrizionisti e scienziati, tra cui il biochimico statunitense Barry Sears (l’ideatore della Dieta Zona, una delle più seguite anche in Italia). «Se assunti nelle giuste quantità, ogni giorno e per tutta la vita, gli Omega 3 possono prevenire la comparsa di obesità, diabete, tumori, demenze, infarto, artrite e altre serie patologie», assicura il biochimico americano.

«Il nostro organismo utilizza infatti questi grassi essenziali (definiti così perché devono essere introdotti con il cibo o con integratori specifici) per costruire le resolvine, molecole potentissime, note anche come “ormoni pro-risoluzione”, che sono in grado di spegnere l’incendio sul nascere e di riparare i tessuti danneggiati».


Un fuoco non sempre amico

«L’infiammazione è un meccanismo di difesa del nostro sistema immunitario: ci protegge dalle invasioni microbiche e favorisce la guarigione delle ferite», prosegue Barry Sears.

«Ma se gli agenti “piromani” rimangono attivi anche dopo la fine dell’emergenza, c’è il rischio che danneggino cellule e tessuti sani. E a favorire il mantenimento di livelli infiammatori bassi, ma potenzialmente pericolosi, è spesso proprio una dieta sbagliata. Quando mangiamo troppi carboidrati semplici e raffinati, la glicemia sale e il pancreas produce insulina: questo ormone riporta la dolcezza del sangue alla normalità trasformando gli zuccheri in eccesso in grasso.

L’aumento del tessuto adiposo, però, comporta a sua volta la liberazione di sostanze che attizzano il fuoco, con le conseguenze che abbiamo visto. Gli Omega 3, invece, svolgono la loro azione antinfiammatoria senza alzare la glicemia, perché si trovano in cibi contenenti zero o pochissimi zuccheri».


Il segreto dei popoli longevi

Oltre a spegnere le infiammazioni, ne curano i danni. «Non è casuale che siano fortemente presenti nell’alimentazione delle popolazioni più longeve, vedi i giapponesi», puntualizza Giovanni Scapagnini, professore associato di Biochimica clinica presso il Dipartimento di Medicina dell’Università del Molise di Campobasso.

«Questi grassi si comportano come dei personal trainer: “insegnano” alle nostre cellule a ridurre lo stress ossidativo (prima causa dell’invecchiamento delle cellule), a tenere sotto controllo i livelli infiammatori e a migliorare il metabolismo delle resolvine, consentendoci di vivere bene e a lungo».


Azione antiage

Ad attestare l’effetto antinfiammatorio e antinvecchiamento è uno studio condotto dalla biologa australiana Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, pubblicato su Brain, Behavior, and Immunity.

«La ricerca ha dimostrato come l’uso di integratori di Omega3 in soggetti anziani (1,25 grammi o 2,5 grammi assunti per 4 mesi) rallenta la velocità di accorciamento dei telomeri, le estremità dei cromosomi, dovuta al passare degli anniche indicano l’età biologica», spiega il professor Scapagnini.

Un’altra ricerca, pubblicata su Science Translational Medicine, della Fondazione Santa Lucia Irccs con l’Università Campus bio-medico di Roma, ha invece dimostrato la capacità delle resolvine (per il momento solo in vitro) sia di bloccare un processo infiammatorio sia di correggere quei meccanismi immunitari difettosi che portano l’organismo ad aggredire i propri tessuti, come per esempio nel caso della sclerosi multipla.


Cosa mangiare per farne il pieno

Alla famiglia degli Omega 3 appartengono 3 grassi diversi. «Il primo è l’acido alfa-linolenico (Ala), presente negli alimenti di origine vegetale, in particolare nelle noci (meno nelle mandorle e nell’altra frutta a guscio), nei semi oleosi di lino, chia, canapa, soia, nelle alghe e nelle verdure a foglia verde (in particolare negli spinaci)», spiega il professor Giovanni Scapagnini.

«Gli altri due sono l’Epa (acido eicosapentaenoico) e il Dha (acido docosaesaenoico), i più in grado di attivare rapidamente le resolvine, di cui sono naturalmente ricchi salmone, alici, sardine, sgombri, tonno».

Per quel che riguarda le quantità: «L’assunzione minima consigliata è di 2,5 g al giorno, senza differenze tra uomo e donna», precisa il dottorBarry Sears.



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Articolo pubblicato nel n° 17 di Starbene in edicola dal 9 aprile 2019

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