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Resistenza agli antibiotici: come evitarla

Aumentano i superbug, i batteri che non temono i farmaci (e che nel 2050 potrebbero diventare la prima causa di morte). Ma sono sempre di più anche le armi messe in campo dalla ricerca

Foto: iStock



Arrivano i rinforzi nella lotta all’antibiotico-resistenza: sono i batteriofagi, virus “fagi”, che letteralmente mangiano quei batteri dannosi per l’uomo ma diventati capaci di resistere ai farmaci. Ne ha parlato di recente la rivista scientifica Nature Medicine.

«Di certo i batteriofagi sono una soluzione interessante per un problema sempre più complesso quale è l’antibiotico-resistenza», commenta Antonio Piralla, microbiologo clinico presso la Uoc di micro biologia e virologia della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia.

«Il nostro intestino ne contiene molti che svolgono un ruolo importante nel bilanciamento della composizione della flora intestinale. Al momento, però, il loro utilizzo come terapia alternativa potrebbe essere limitato in Europa, a causa di leggi molto stringenti sia in termini di sicurezza sia di efficacia», spiega l’esperto.

Ma le strategie per cercare di fermare una delle più serie minacce alla salute pubblica non si fermano qui. Perché è in corso una vera emergenza. Ogni anno, secondo l’European Centre for Disease Control (Ecdc), in Europa si registrano 25mila morti per infezioni da germi resistenti, che nel mondo arrivano a 700mila.

Colpa del ricorso troppo frequente agli antibiotici, al punto che di recente è stata rilevata la presenza di questi farmaci in due terzi dei fiumi di tutto il mondo, e a livelli fino a 300 volte superiori rispetto ai limiti di sicurezza. L’Oms ha lanciato l’allarme: entro il 2050 i superbug, i batteri resistenti agli antibiotici, potrebbero causare 10 milioni di decessi all’anno nel mondo, diventando la prima causa di morte.


L’importanza delle nuove terapie

«In alcuni pazienti infettati da batteri multiresistenti le possibili terapie sono molto limitate. Casi di sepsi o shock-settico in soggetti in rianimazione, possono essere difficili da trattare, tanto che le cure prevedono l’utilizzo combinato di almeno 2-3 antibiotici», spiega il microbiologo.

Il primo passo è mettere un freno alle prescrizioni inutili. In Italia, ad esempio, si registra un abuso di questi farmaci per il trattamento delle sindromi simil-influenzali che nell’80% dei casi hanno origine virale e non batterica. Non a caso il nostro Paese ha il record negativo in Europa nella diffusione di super-batteri. Altrettanto importante, però, è avere a disposizione nuove terapie in grado di sostituire (o “potenziare”) le molecole ormai abusate.

Batteriofagi a parte, eccone alcune.


  • Gli anticorpi monoclonali


Agiscono sulla capacità di reazione del sistema immunitario e, di fronte alla scarsità di nuovi antibiotici, potrebbero rappresentare una terapia del futuro: «Gli anticorpi monoclonali sono da anni una speranza per affrontare le infezioni nel prossimo futuro. Questo vale per un ampio spettro d’infezioni, comprese quelle da virus e da funghi. Da più di 20 anni si conducono studi, prelevando le cellule del sistema immunitario che producono anticorpi da pazienti che hanno avuto una specifica infezione, per poter arrivare a riconoscere ogni singolo anticorpo e decidere quale può funzionare meglio per “neutralizzare” la tossina o il patogeno causa dell’infezione specifica», spiega il microbiologo.

«Esistono però delle criticità. Al momento il problema principale è il costo di produzione e commercializzazione di questi anticorpi. Ci sono, però, ampi margini di miglioramento per curare tante patologie di origine infettiva».


  • Il gel antibatterico


È una sostanza studiata presso il Politecnico di Stoccolma che, applicata prima di suturare una ferita dopo un intervento chirurgico, avrebbe la capacità di inibire la crescita dei batteri.

«Sicuramente le infezioni post-chirurgiche sono una delle criticità a livello ospedaliero. Poter avere a disposizione una barriera efficace per evitare la contaminazione delle ferite è importante», spiega Piralla.


  • Il “cocktail” di antibiotici differenti


A provarne l’efficacia è stato uno studio sui batteri Gram negativi resistenti ai carbapenemi, una classe di antibiotici ad ampio spettro.

«Gli antibiotici in effetti devono essere dati in associazione il più possibile per le infezioni gravi: l’utilizzo in singolo è proprio uno dei motivi che causa il fallimento terapeutico e una minore efficacia sull’infezione», conferma l’esperto.



Gli antibiotici nel piatto

Oltre ad assumerli sotto forma di farmaci in caso di malattie, gli antibiotici possono arrivare nel nostro organismo attraverso la catena alimentare, perché sono molto utilizzati anche negli allevamenti, per la cura del bestiame.

«Nel nostro Paese il problema dell’abuso di antibiotici in campo veterinario è stato risolto, almeno in parte, grazie alle normative in vigore e alle scelte illuminate di parecchi allevatori», dice il dottor Piralla.

Le stesse garanzie, tuttavia, non si hanno per i prodotti di provenienza estera, soprattutto extracomunitaria. Per bloccare il fenomeno dell’antibiotico-resistenza la lotta all’abuso di questi farmaci dovrebbe svolgersi a livello planetario, come raccomandano le maggiori autorità sanitarie internazionali, che lanciano l’appello per una politica One Health, cioè di cooperazione e collaborazione tra medici e veterinari in difesa della salute di tutte le specie.



Cosa puoi fare tu

Se la scienza sta facendo passi da gigante per migliorare le terapie e soprattutto individuarne di nuove, tutti noi possiamo contribuire alla riduzione dei rischi di antibiotico-resistenza seguendo alcune semplici regole:

1. Lava le mani. È un’abitudine fondamentale per prevenire le infezioni.


2. Prendi farmaci ad hoc. Inizia la terapia antibiotica a fronte di esami di laboratorio di microbiologia, che possono identificare il batterio che causa l’infezione, e il profilo di “antibiotico sensibilità”, ossia il farmaco più adatto e mirato.


3. Rispetta la prescrizione. Non interrompere le terapie, pensando: “Sto già meglio, quindi gli ultimi due giorni di antibiotico non li faccio”.


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Articolo pubblicato nel n° 27 di Starbene in edicola dal 18 giugno 2019


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