Senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri aggiunti… Tante volte preferiamo comprare prodotti che riportano queste diciture nel packaging perché ci sembrano più salutari. Oppure, perché siamo convinti di avere qualche intolleranza pur senza aver mai consultato un medico. Per esempio perché quella sensazione di gonfiore alla pancia e la lista di sintomi trovata su Google corrispondono perfettamente a un’intolleranza al lattosio o al glutine. Ma scegliere prodotti privi di sostanze nutritive specifiche, senza una reale esigenza, non è una buona idea.
Occhio a non escludere nutrienti importanti
L’idea “tolgo questo e dunque mangio più sano” è una convinzione tanto frequente quanto errata. «È la qualità complessiva della dieta che è determinante, non il singolo alimento o, men che meno, il singolo nutriente. Un’eliminazione non necessaria aumenta il rischio di carenze», spiega Simona Bo, consigliere della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) e professore associato di Scienza dell’alimentazione e delle Tecniche dietetiche applicate al dipartimento di Scienze mediche dell’Università di Torino.
«Molte persone eliminano grassi, carboidrati o proteine animali pensando di migliorare la qualità della loro alimentazione. Il risultato è spesso l’opposto: si riducono nutrienti fondamentali come grassi salutari, fibre, proteine di qualità, vitamine e minerali. Per esempio, eliminando il glutine, si può incorrere in carenze di vitamine del gruppo B; togliendo i latticini senza sostituirli adeguatamente, si possono verificare carenze di calcio e di proteine. In più, si rischia di alimentare falsi miti e creare una relazione disfunzionale con il cibo: i pasti possono diventare uno stress fino a sfociare in disturbi del comportamento alimentare».
Senza zuccheri ma poi…
Persino nel caso del “senza zuccheri aggiunti” bisogna fare attenzione. «La dicitura non garantisce che il prodotto sia “sano” in assoluto. Nell’ambito della stessa categoria di prodotti, è sicuramente meglio scegliere quello con il più basso contenuto di zuccheri a rapido assorbimento, per esempio tra i vari tipi di yogurt o di cereali da colazione», consiglia l’esperta.
«Ma molti prodotti “senza” sono più processati, più costosi e non necessariamente più salutari. Possono comunque contenere molti zuccheri naturali, come nei succhi di frutta, o essere ricchi di grassi, sale o additivi. Una dieta sana non nasce dall’eliminazione, ma dall’equilibrio: la frequenza di consumo degli alimenti e la loro qualità sono gli aspetti rilevanti da considerare».
Intolleranze percepite vs diagnosticate
Spesso, a guidare la scelta di prodotti “senza” è la convinzione di essere intolleranti a un alimento specifico. Una ricerca pubblicata su Allergy, la rivista scientifica della European Academy of Allergy and Clinical Immunology, ha stimato che circa il 20% degli adulti si dichiara “intollerante” o “allergico” a qualche alimento, un numero in crescita rispetto al decennio precedente. Ma dietro questo numero ci sono più autopercezioni che diagnosi vere e proprie.
«La diagnosi richiede test specifici e validati; in realtà numerose “intolleranze” sono autoriferite e quindi soggette a errori» dice l’esperta.
«Esistono molte incertezze sulla reale prevalenza delle intolleranze e delle allergie alimentari. Negli adulti, la percentuale di allergie alimentari, la cui diagnosi è ben definita, è 1-3% ma è poco nota la prevalenza delle intolleranze. Perché per queste, tranne alcune eccezioni come il lattosio, non esistono test diagnostici universalmente validati».
Attenzione ai segnali del corpo
E allora, questo aumento di sintomi che appaiono dopo aver consumato certi alimenti? «Possono dipendere da un lato dai cambiamenti delle abitudini alimentari», risponde l’esperta. «Consumiamo più cibi processati e additivi con possibili sensibilizzazioni o variazioni dei processi digestivi. Bisogna anche considerare la maggiore attenzione su questi temi e l’influenza dei media e delle etichette “senza”: anche questo rende più probabile la segnalazione di sintomi».
Ma, proprio in presenza di certi sintomi, decidere da sé di essere intolleranti a qualcosa è comunque sbagliato. «Non solo perché, come abbiamo detto, escludere interi gruppi alimentari, come latte, cereali o legumi, può determinare carenze nutrizionali ma anche perché si può omettere di diagnosticare una vera malattia che si manifesta con disturbi digestivi e che richiede uno specifico trattamento, per esempio la malattia infiammatoria intestinale».
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