Il caffè è un rito, per noi italiani sacrosanto, legato alla convivialità e a quel pizzico di campanilismo per cui pensiamo di essere noi quelli che sanno come si prepara “quello buono”. Con l’aiuto di Giorgio Donegani, tecnologo alimentare, e Diana Scatozza, medico specializzato in Scienza dell’alimentazione, scopriamo perché, a casa o al bar, una tazzina di caffè stimola la memoria, previene le malattie degenerative e, per noi donne, contrasta gli effetti delle variazioni ormonali.
I nostri esperti ci svelano anche come gustarlo al meglio. Con un focus sul contenuto di caffeina e sulla sua azione, che non è uguale per tutti.
Caffè: l'origine del nome
C'è chi sostiene che la parola caffè derivi da Kaffa, l’altipiano etiope dove la pianta è molto diffusa. «L’ipotesi più accreditata ritiene invece che il termine venga dal turco Kahve, a sua volta derivato dall’arabo Qahwa, che significa più o meno “bevanda eccitante”», ci racconta Giorgio Donegani.
Anche il nome “moka” ha un’origine esotica: prende il nome dal porto di Mokha, nello Yemen, divenuto, fin dall’antichità, uno dei più importanti per il commercio dei pregiati chicchi.
Varietà di caffè, la differenza tra arabica e robusta
Sono le due principali varietà della pianta e determinano le proprietà dei chicchi. «L’Arabica regala un caffè aromatico, che le papille più sensibili definiscono dal sentore cioccolatoso, con una crema di colore nocciola chiaro tendente al rossiccio. È una specie più difficile da coltivare e viene considerata più pregiata. Inoltre è meno ricca di caffeina. La Robusta, invece, sprigiona un aroma più intenso, del classico caffè dal sapore forte, meno profumato e con una crema dal colore più scuro, marrone», spiega il nostro esperto.
Si coltiva più facilmente, è più resistente e quindi più diffusa, grazie alla maggior resa commerciale. Il suo contenuto di caffeina è doppio rispetto all’Arabica.
Caffè, un aiuto per la concentrazione
Quante volte abbiamo detto: “Mi serve proprio un caffè!”, per combattere la stanchezza mentale o avere quella carica in più. Un bisogno legato alla sua comprovata capacità di stimolare l’attenzione e la memoria: «La caffeina agisce a livello del sistema nervoso centrale perché, essendo liposolubile, riesce a passare rapidamente attraverso la membrana ematoencefalica, che riveste e protegge il cervello. La sua azione sul circuito neuronale stimola la produzione di adrenalina e noroadrenalina, due neurostrasmettitori che aumentano la frequenza di alcune onde cerebrali migliorando memoria e l’attenzione», spiega la dottoressa Diana Scatozza.
La durata del suo effetto però è soggettiva: in genere, il massimo dell’azione stimolante si ha tra i 15 e i 45 minuti dopo l’assunzione. Per alcune persone si esaurisce nel giro di un paio d’ore mentre, nei soggetti più sensibili, può prolungarsi anche per 8-12 ore. «Dipende dalla capacità di metabolizzazione del fegato che, attraverso gli enzimi, digerisce e “smaltisce” più o meno velocemente la caffeina. Ed è una predisposizione genetica: ecco perché c’è chi può avere ricadute sulla qualità del sonno bevendo un caffè dopo cena», conclude l'esperta.
Caffè, è molto ricco di antiossidanti
La caffeina è solo una delle 800 sostanze presenti nei chicchi di caffè verdi, che rappresentano una delle fonti naturali con il più alto contenuto di molecole antiossidanti, tra polifenoli, acido clorogenico e tannini, preziosi per la loro azione anti radicali liberi grazie alla quale ne contrastano gli effetti infiammatori.
«È vero che questi antiossidanti in parte vengono dispersi in seguito alla torrefazione, ma ne rimangono a sufficienza per un potente effetto benefico sulla nostra salute, dando una preziosa mano al nostro organismo spesso in overload da stress ossidativo. Inoltre, in seguito alla tostatura stessa, altri se ne formano con un effetto stimolante su quelli che il nostro corpo produce in autonomia», interviene Donegani, il tecnologo alimentare.
Il caffè previene le malattie neurodegenerative
Quest’azione antinfiammatoria renderebbe il caffè un potenziale alleato: recenti studi si sono concentrati proprio sulla sua azione rispetto ai processi cellulari che proteggono il cervello. In particolare una ricerca finlandese dell’Università di Turku, pubblicata su Annals of Neurology, confermerebbe che la caffeina agisce efficacemente nel ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.
Un’ipotesi sostenuta anche dalla prestigiosa università di Harvard: gli studiosi americani avevano infatti rilevato una minor probabilità nei consumatori abituali di caffè. La caffeina infatti sarebbe in grado di bloccare l’azione di un neurotrasmettitore, l’adenosina, antagonista della dopamina; in questo modo il rilascio di quest’ultima aumenterebbe con effetto preventivo.
Caffè, un alleato per le donne
Tra le sue tante proprietà, il caffè può dare un aiuto in menopausa. Può succedere infatti che, per effetto del calo degli estrogeni, i livelli del colesterolo totale e cattivo, l’LDL, subiscano un’impennata. Quando, in precedenza, erano proprio questi ormoni a contribuire nel mantenerlo nel range salutare.
Ci spiega la dottoressa Scatozza: «Gli antiossidanti del caffè si “attaccano” all’LDL e ne riducono l’effetto di ossidazione e, di conseguenza, aterosclerotico. Inoltre, la caffeina può aiutare anche ad attenuare la riduzione della memoria e della concentrazione che, a volte, si manifesta in menopausa. E che dire del rapporto conflittuale con la bilancia? L’aumento di peso è infatti uno dei crucci di questa fase femminile, che la tazzina di espresso o della moka può contribuire a contenere».
Davvero? Risponde la nostra esperta in Scienza dell’alimentazione: «Inserito in uno stile di vita basato su un’alimentazione equilibrata e la giusta attività fisica, il caffè può essere l’aiutino in più: i polifenoli di cui è ricco agiscono infatti sul glucosio limitandone l’assorbimento; inoltre, da bevanda eccitante qual è, ha anche un effetto stimolante sul metabolismo basale».
Attenzione: questo non è un via libera a consumarne in eccesso. «In generale non bisognerebbe superare le tre tazzine, mentre in gravidanza e in allattamento le linee guida ne consigliano 1-2 al giorno al massimo perché la caffeina, essendo liposolubile, attraversa la placenta e passa anche nel latte materno», sottolinea l'esperta.
Caffè: il legame con il colesterolo
Il caffè non aumenta il colesterolo, è confermato.
«È vero che il caffè contiene acidi grassi e olii che, se assunti in accesso, vanno ad influire sul metabolismo del colesterolo, ma in una tazzina di espresso o della moka la quantità disciolta è assolutamente ininfluente: hanno tempi di estrazione rapidi, in cui l’acqua passa velocemente attraverso la miscela. A cui si aggiunge l’effetto protettivo degli antiossidanti, come già sottolineato», chiarisce il tecnologo alimentare.
Caffè, nessun rischio per l’acrilammide
«Intanto chiariamo che l’acrilammide, che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato tra i “probabili cancerogeni per gli esseri umani”, è presente anche in molti altri alimenti: prodotta come reazione al calore, è la stessa che rende croccante e dal colore più intenso la crosta del pane e i fritti, dà appetibilità ai cibi e permette lo sviluppo degli aromi. Conseguenza della tostatura, nel caffè l’acrilammide viene rilasciata nel processo di estrazione a contatto con l’acqua, ma la velocità di tale passaggio fa sì che la presenza sia minima», sottolinea Donegani.
Possiamo quindi gustarlo con tranquillità. Un’ultima curiosità: pur amanti della pausa caffè, noi italiani non siamo tra i maggiori consumatori al mondo bensì solo i tredicesimi.
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