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Olio: come scegliere quello giusto

Una miniguida per conoscere pregi e difetti di ogni tipo e scoprire quale preferire per ogni ricetta

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Ogni anno consumiamo 600 mila tonnellate di olio di oliva e 700 mila di quello di semi (dati Unaprol, il Consorzio olivicolo italiano). «La gran parte dei prodotti ha interessanti proprietà nutrizionali, ma nessuno può competere con l’extravergine», afferma la dottoressa Giulia Sturabotti, medico esperto in nutrizione, igiene e medicina preventiva a Roma.

Con il suo aiuto ti spieghiamo quali sono le caratteristiche di ciascun tipo e come utilizzarlo al meglio in cucina. 


Punta su quelli estratti a freddo

Indipendentemente dal tipo, l’olio migliore è quello “spremuto a freddo” (o estratto con procedimenti meccanici), che mantiene inalterate le sue caratteristiche nutrizionali e non presenta tracce di sostanze chimiche usate per la raffinazione.

Come orientarsi, invece, per capire da dove arriva la materia prima? «L’etichetta dell'extravergine di oliva deve riportare il Paese o la zona di origine delle olive (UE o extra-UE). Quelle italiane sono garanzia di qualità assoluta: se poi punti su oli a marchio europeo Dop (Denominazione di origine protetta) o Igp (Indicazione geografica protetta), ti assicuri un prodotto di livello eccellente, ottenuto rispettando regole molto rigide», spiega la dottoressa Giulia Sturabotti.

«La carta d’identità degli oli di semi, invece, è molto meno completa. Non è infatti ancora obbligatorio dichiarare la provenienza della materia prima. Solo per i prodotti realizzati in Italia e destinati alla vendita al dettaglio nel nostro Paese è indispensabile indicare la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento».


Al ristorante rifiuta l’oliera

Da pochi anni nei ristoranti italiani è obbligatorio portare ai tavoli solo bottiglie di olio d’oliva con tappo antirabbocco. «La legge si è resa necessaria per contrastare la cattiva abitudine di versare olio “nuovo” nei contenitori, procedura che può favorire l'irrancidimento rapido.

Con il rabbocco, poi, il consumatore non può conoscere con certezza la provenienza e le caratteristiche del prodotto. Per esempio, anziché extravergine il ristoratore potrebbe aggiungere olio di semi di arachide, mettendo per di più a rischio la salute degli allergici.

Purtroppo, però, non tutti i locali rispettano la normativa e c'è perfino chi, al posto delle bottiglie, continua a usare vecchie oliere o ampolle “della nonna”, vietate dal 2006.

Il consiglio è di tutelarsi pretendendo solo bottiglie a norma. Una verifica empirica può poi aiutare a capire se il tappo antirabbocco è  stato manomesso: quando la bottiglia presenta tracce di olio all’esterno è probabile che ciò sia avvenuto», avverte la dottoressa Giulia Sturabotti.

Extravergine d'oliva

È il protagonista indiscusso della dieta mediterranea: «Il merito è soprattutto della qualità dei suoi lipidi, prevalentemente monoinsaturi e, in particolare, dell’acido oleico.

Una ricerca della Società italiana di diabetologia, pubblicata su Diabetes Care, ha chiarito che, grazie alla combinazione di questi grassi con antiossidanti appartenenti alla classe dei polifenoli, l’extravergine è in grado di ridurre le impennate di glicemia dopo i pasti, aiutando a prevenire il diabete di tipo 2 e le complicanze del diabete di tipo 1», osserva la dottoressa Sturabotti.

Non solo, perché quest’olio ha anche un rapporto ottimale fra gli acidi grassi polinsaturi essenziali Omega 3 e 6: «Quindi preserva in buona salute l’apparato cardiovascolare e contrasta le infiammazioni di tutto il corpo.

Numerosi studi, poi, hanno dimostrato che ci difende dalle malattie neurodegenerative: un’autorevole indagine americana uscita su Chemical Neuroscience ha rivelato che, per via del contenuto di una sostanza chiamata oleocantale, può ridurre il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Infine, è ricchissimo di antiossidanti, tra cui carotenoidi e vitamina E, dalle proprietà antitumorali».

Perché possa fregiarsi della dicitura extravergine, oltre a essere estratto solo con procedimenti meccanici e ad avere un’acidità massima dello 0,8%, (cioè 0,8 g di acido oleico per 100 g), l’olio deve risultare privo di imperfezioni di gusto e possedere particolari caratteristiche di profumo e sapore (ricco, intenso, piccante) valutate da un comitato di esperti e non riscontrabili attraverso l’esame chimico. «Lo stabilisce la classificazione commerciale degli oli prevista dal Reg. CEE 2568/91 e dalle successive integrazioni.

L’olio vergine di oliva, invece, ottenuto anch’esso solo con procedimenti meccanici, ha un’acidità massima del 2% e piccole imperfezioni organolettiche e di gusto.

Infine, c’è l’olio d’oliva, costituito da percentuali variabili di oli d’oliva raffinati e vergini, con un tenore di acidità non superiore all’1% (la legge non stabilisce un quantitativo minimo di olio vergine per la miscela)», precisa Giulia Sturabotti.

In cucina

Per le sue caratteristiche sensoriali, l’extravergine è ottimo usato a crudo: «In questo modo si mantengono intatte anche le proprietà nutrizionali. Tuttavia è ideale pure in cottura e perfino per friggere, dal momento che il suo punto di fumo, cioè la temperatura oltre la quale possono formarsi composti tossici, è molto elevato (circa 210 °C)», spiega l’esperta.

Di mais, arachide, girasole

La maggior parte delle persone li usa per friggere (ed è un errore, perché molte varietà si alterano con il calore), ma sono in tanti a utilizzarli anche a crudo al posto dell’olio d’oliva pensando che siano più leggeri.

«In realtà hanno lo stesso contenuto calorico, oltre al fatto che la gran parte di quelli in commercio è raffinata e, quindi, impoverita nei nutrienti essenziali. Tuttavia, nei negozi bio e in alcuni supermercati, puoi trovare anche oli di semi spremuti a freddo: in questo caso vale la pena alternarli all’extravergine d’oliva, perché forniscono ottime dosi di acidi grassi polinsaturi, in particolare di Omega 6, di cui quello d’oliva è carente.

Una ricerca americana pubblicata sul Journal of Nutrition and Dietetics ha dimostrato che, proprio grazie alla presenza di questi lipidi, gli oli di semi sono particolarmente efficaci per contrastare le malattie cardiovascolari. Infatti l’acido linoleico favorisce il metabolismo dei grassi e previene la formazione di depositi di colesterolo sulle pareti delle arterie.

Meglio, comunque, evitare di eccedere con le quantità: ad alti dosaggi gli Omega 6 possono infatti avere un'azione proinfiammatoria», mette in guardia la dottoressa Giulia Sturabotti.

In cucina

L’olio di semi di girasole viene impiegato dall’industria alimentare soprattutto per la produzione di salse come la maionese: «È termolabile (punto di fumo a 130 °C), quindi va usato preferibilmente a crudo, a meno che non si opti per il tipo “altoleico”, che ha una composizione simile a quella dell’olio d’oliva, dunque un contenuto decisamente superiore di grassi monoinsaturi e una maggiore resistenza alle alte temperature (225 °C).

L’olio di girasole ha quantità elevate di vitamina E ed è costituito per oltre il 50% da acidi polinsaturi (in alcuni casi arrivano al 75%)», nota l’esperta. Non va bene per friggere neppure quello di mais, anch’esso presente in tanti prodotti industriali: «Ha una composizione simile all’olio di girasole, infatti è molto ricco di acido linoleico e di vitamina E, e un punto di fumo intorno ai 160 °C.

Diverso è il caso dell’olio di arachide: i grassi monoinsaturi sono prevalenti (52%) e la loro caratteristica è proprio quella di resistere bene al calore, quindi è ok pure per friggere (punto di fumo: 180 °C se non raffinato, 230 °C se raffinato). Quest’olio poi è molto utile per regolare i livelli di colesterolo, grazie alla particolare composizione lipidica».

Di canapa, lino, soia...

... e ancora di sesamo e di zucca: da qualche tempo al supermercato puoi trovare nuovi oli, sfiziosi e saporiti. Ma fanno anche bene? «Hanno diverse proprietà. Il top è quello di lino, ricchissimo di acido alfalinolenico, precursore degli Omega 3 (53,36 g su 67,85 g totali di polinsaturi, a fronte di appena 0,7 g nell’extravergine di oliva), quindi ideale per fare scorta di questi grassi, soprattutto negli allergici al pesce.

L’olio di soia ha tante proteine, vitamine e acido folico e un rapporto ottimale fra Omega 3 e 6: è molto nutriente e possiede proprietà antinfiammatorie. Quello di sesamo sazia e aiuta a tenere sotto controllo pressione e colesterolo, per via del suo contenuto in fitoestrogeni.

L’olio di semi di canapa è fonte di vitamine, tra cui la A e alcune del gruppo B, e ha un buon equilibrio fra Omega 3 e 6: stimola il sistema immunitario e difende dalle malattie cardiovascolari.  Quello di semi di zucca, che  contiene tanti acidi grassi insaturi, è particolarmentebenefico per il cuore.

In generale, a meno che non siano arricchiti con vitamina E, che protegge gli acidi polinsaturi dall’ossidazione, sono oli molto sensibili al calore ed è bene usarli a crudo o per cotture veloci e non eccessivamente aggressive», spiega l’esperta.

Oli tropicali

Si ordinano online, nei siti dei negozi che vendono prodotti esteri, perché da noi quasi non si trovano, se non in alcuni discount a marchio straniero e nei punti vendita all’ingrosso riservati alla ristorazione.

Li utilizza l’industria alimentare, soprattutto per la preparazione di salse e prodotti da forno, ma non sono certo all’altezza degli altri oli perché ricchissimi di grassi saturi.

«Tempo fa si era diffusa la moda dell’olio di cocco, molto usato in Asia: si riteneva che i suoi trigliceridi a catena media fossero in grado di stimolare il metabolismo senza far aumentare il colesterolo cattivo.

Ma questo è vero solo per il prodotto vergine, molto difficile da reperire: la quasi totalità di quello che trovi in commercio è olio raffinato nel quale la qualità dei lipidi è decisamente bassa. Per non parlare degli altri oli tropicali, come palma e palmisto, anch’essi pieni zeppi di grassi saturi», conclude la dottoressa Sturabotti.

Quello di palma fa male al Pianeta

Per piantare le palme da olio, nel solo Sud-Est asiatico si deforesta ogni ora l’equivalente di 300 campi di calcio. Da anni, in difesa dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori locali, opera l’organizzazione no profit Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo), che promuove un tipo di coltivazione non dannosa per il Pianeta.

«Gli importatori possono pretendere di acquistare olio di palma sostenibile. Il problema, però, è che al momento solo il 18% della produzione mondiale è certificato Rspo», afferma il dottor Giorgio Donegani, tecnologo alimentare


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Articolo pubblicato sul n. 41 di Starbene in edicola dal 26/9/2017

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