di Valeria Ghitti
Da quasi un anno è obbligatorio indicare in etichetta il tipo di grasso vegetale usato, e così si è scoperto che sono moltissimi i prodotti che contengono olio di palma. Subito è partita una raccolta firme (che ha già superato le 160 mila adesioni) per chiederne l’eliminazione «per motivi etici, ambientali e di salute» e la sostituzione con altri oli vegetali non idrogenati o burro.
Alcune aziende hanno aderito, ma quelle riunite nell’Aidepi (Associazione delle industrie della pasta e del dolce italiane) provano a difendere la scelta di questo ingrediente, perché «le soluzioni alternative hanno tutte dei limiti difficili da superare » e perché «non esistono conferme sulla sua pericolosità per la salute». Dove sta la verità e soprattutto cosa dobbiamo fare? Ecco le risposte dei nostri esperti.
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Che cos’è l’olio di palma
«Viene estratto con mezzi fisici dal frutto (la drupa), denocciolato, cotto, pressato e filtrato», spiega il tecnologo alimentare Giorgio Donegani. «Quello che si ottiene è un olio grezzo e vergine, di colore rosso, in quanto molto ricco di carotenoidi, che viene successivamente sottoposto a processi di raffinazione per ricavare un panetto giallastro privo di colesterolo (perché di origine vegetale), ma molto simile al burro».
Dove lo trovi
È l’olio vegetale più consumato al mondo. L’Italia ne importa 1 milione e 600 mila tonnellate (fonte Coeweb Istat) di cui circa il 21% è impiegato nel settore alimentare, soprattutto come olio per friggere (perché ha un alto punto di fumo, può cioè raggiungere temperature elevate senza produrre sostanze nocive) e per realizzare prodotti confezionati (snack dolci e salati, cracker, grissini, creme spalmabili).
Perché si usa
«È stato introdotto per sostituire i grassi idrogenati, quando si è scoperto che contenevano i pericolosi acidi grassi trans», spiega Donegani. «Costa relativamente poco; non ha praticamente sapore e quindi non modifica il gusto degli ingredienti ai quali viene aggiunto; è facile da lavorare anche a temperature non troppo alte consentendo di raggiungere la consistenza voluta (dalla spalmabilità alla croccantezza) e, rispetto agli altri oli, ha una buona resistenza all’irrancidimento, così i prodotti che lo contengonodurano a lungo senza la necessità di ricorrere a conservanti o antiossidanti non particolarmente salutari.
Infine, può essere miscelato con oli di semi, come quello di girasole, che essendo ricchi di grassi insaturi bilanciano la presenza di quelli saturi».
Il vero problema sono i grassi saturi
L’olio di palma è considerato nocivo per la salute per i suoi grassi saturi, sostanze presenti in tanti altri alimenti, che molti studi collegano a un maggior rischio cardiovascolare. Ne contiene infatti un’alta percentuale, circa il 50%: quasi come il burro (51%), molto meno dell’olio di cocco (92%) e di palmisto (81,5%), ma decisamente di più dell’olio di oliva (15%) e girasole (12%).
Va anche precisato che «i grassi saturi hanno lo stesso effetto qualsiasi sia la fonte da cui provengono: quelli dell’olio di palma non sono cioè migliori o peggiori di quelli del burro, delle carni o dei formaggi», spiega Laura Rossi, nutrizionista del Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Cra-Nut).
Non ci sono quindi evidenze scientifiche che confermino la tesi secondo cui l’olio di palma è responsabile dell’aumento del rischio cardiovascolare più degli altri grassi (vegetali e non). «È la conclusione cui siamo giunti anche noi, analizzando 51 studi che confrontavano una dieta comprendente l’olio di palma, con una di uguale apporto energetico, ma altri tipi di grassi», rivela Elena Fattore, responsabile dell’Unità di valutazione del rischio degli inquinanti ambientali dell’Istituto Mario Negri di Milano.
Come ci dobbiamo regolare
«Un alimento va valutato nell’insieme», dice Piretta. «Non me la sentirei di consigliare a una persona sana di eliminare i formaggi per ridurre i grassi saturi, perché, apportano anche proteine nobili e calcio».
«In generale, è bene ridurre i prodotti con l’olio di palma se si prevede di mangiare grana, uova o carni rosse durante il giorno», consiglia Laura Rossi. Infine, «snack dolci e salati, vanno consumati in piccole quantità, indipendentemente dal tipo di grassi che contengono.Non serve però toglierli del tutto: una gratificazione ogni tanto fa bene anche alla mente», conclude Piretta.
La giusta dose di grassi amici/nemici
«Se sono troppi, i grassi saturi possono effettivamente rappresentare un rischio per la salute, ma alle dosi ok sono preziosi: funzionano come ”messaggeri” dell’organismo, sono importanti per la formazione delle membrane cellulari e, come tutti i grassi, consentono l’assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K)», afferma Luca Piretta, specialista in scienze della nutrizione umana dell’Università La Sapienza di Roma.
Quali sono le quantità giuste? «I grassi non devono rappresentare più del 25-30% delle calorie giornaliere e quelli saturi non più del 7-10%», spiega Laura Rossi. Questo significa che in un regime da 2000 calorie al giorno non più di 140-200 pari a circa 15-22 g (1 g apporta circa 9 calorie) dovrebbero derivare dai saturi.
«In Italia superiamo leggermente il livello soglia: questi grassi arrivano a fornirci il 12-13% delle calorie che assumiamo mediamente», sottolinea Piretta. «Ma la colpa non è solo dell’olio di palma: l’acido palmitico è presente persino in quello di oliva e gli acidi grassi saturi li troviamo in latticini, uova, carni e in altri oli vegetali». Secondo una valutazione del Mario Negri, in media il 30% dei grassi saturi che mangiamo è fornito dai formaggi, il 19% dall’olio di oliva, il 13% da carne e insaccati, il 12% da latte e yogurt, il 10% dai prodotti dolciari, l’8% da burro e panna, il 2% da altri oli vegetali e l’1% dal pesce e dai prodotti della pesca.
Solo il 18% è ecosostenibile
Un ettaro di terreno coltivato a palma permette di ottenere ben 3,47 tonnellate di olio (solo 0,58 tonnellate se seminato a girasoli e 0,37 tonnellate se a soia). Il problema è che la gran parte della produzione, concentrata soprattutto in Indonesia e Malesia, sta causando una deforestazione selvaggia.
«Gli importatori possono però pretendere di acquistare olio di palma sostenibile», spiega Donegani. Nel 2004 è nata un’organizzazione no profit (Roundtableon Sustainable Palm Oil) per promuovere un tipo di coltivazione che difenda l’ambiente e i diritti dei lavoratori locali: al momento certifica solo il 18% di tutto l’olio di palma mondiale. Le aziende che scelgono un prodotto certificato in genere lo segnalano sui propri siti (vedi barillagroup.it).
Se non sai rinunciare a biscotti e brioche, ecco 3 menu per non superare la quota ok di “saturi”
1 Colazione: 3-5 biscotti* (max 90 cal).
Spuntino: 1 frutto.
Pranzo: carboidrati e verdura (pasta al pomodoro e insalata mista) e 1 frutto.
Merenda: 1 brioche* (o una merendina* o uno snack dolce*).
Cena: proteine e pochi grassi saturi (minestrone con legumi) e 1 frutto.
2 Colazione: caffè, 1 yogurt e 1 frutto.
Spuntino: 1 pacchetto di cracker*.
Pranzo: un pasto proteico (insalata caprese o 2 uova con gli spinaci).
Merenda: 1 frutto.
Cena: carboidrati e verdura (come un risotto con la zucca) e 1 frutto.
3 Colazione: cappuccino e cornetto ripieno* (o 2 fette biscottate* e max 15 g di crema spalmabile*).
Spuntino: 1 frutto.
Pranzo: 1 panino con verdura e pochi grassi (magari con melanzane e ricotta) e 1 frutto.
Merenda: 1 frutto.
Cena: proteine “magre” (pollo o pesce), verdure (finocchi) e 1 frutto.
* Cibi che possono contenere olio di palma
Con la consulenza della nutrizionista Laura Rossi
Articolo pubblicato sul n. 46 di Starbene in edicola dal 3/11/2015