Stashing: perché il partner tiene la relazione nascosta a famiglia e social?

Cos’è lo stashing e perché intacca l’autostima di chi lo subisce? Scopri il fenomeno psicologico, approfondendo le paure e le insicurezze che portano a vivere un amore in clandestinità



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Sei in una relazione fantastica, fatta di risate, intesa e un legame profondo. Eppure, sembra che la tua vita di coppia esista solo tra le quattro mura di casa. Non un incontro con gli amici, non una cena con i parenti e, sui social, nessuna traccia. Ti senti nascosta, come se la vostra storia fosse un segreto da custodire gelosamente. Questa dinamica viene definita stashing e sta diventando sempre più diffusa e discussa online.

Ma perché un partner arriva a tenere la persona amata ai margini della sua vita sociale? Quali sono le motivazioni psicologiche alla base di questo comportamento? Abbiamo chiesto alla psicologa e psicoterapeuta Laura Calosso di far luce sul fenomeno dello stashing, per entrare nei meccanismi che trasformano la semplice riservatezza in una dinamica tossica.

Dottoressa, qual è la definizione psicologica di questa pratica e quali sono le principali motivazioni che spingono un partner a tenere nascosta la relazione a famiglia e cerchia social?

«Ognuno vive portando con sé la propria storia e questo inevitabilmente influenza anche il modo in cui ci si muove nelle relazioni. Lo stashing può nascere da motivazioni anche molto differenti tra loro: in alcune persone prevale la paura di perdere la propria libertà o di sentirsi troppo coinvolte; in altre c’è il bisogno di mantenere un certo controllo sulla relazione, come se rendere pubblico il legame significasse fare un passo che non si sentono ancora pronti a compiere. A volte non si tratta di un’intenzione deliberata, ma più di un momento di confusione interiore, in cui una parte della persona non si sente ancora sufficientemente stabile o sicura per coinvolgersi pienamente in quella relazione.

In altri casi entrano in gioco il timore del giudizio, la difficoltà ad assumersi responsabilità affettive, l’ambivalenza nei sentimenti o più semplicemente la paura dell’intimità. Ecco che mantenere compartimenti separati consente di controllare l’esposizione emotiva, rimandare decisioni importanti e, in situazioni più rare, diventa un modo per non rinunciare ad altre relazioni parallele nascoste. In qualunque forma si presenti, lo stashing è un fenomeno che mette in luce la fragilità e le insicurezze di chi fatica a mostrarsi davvero in una relazione».

Quali sono le conseguenze psicologiche più comuni su chi subisce lo stashing?

«Vivere una relazione in cui si viene sistematicamente tenuti ai margini genera un profondo senso di disvalore nel tempo. Questa mancanza di riconoscimento può tradursi in un progressivo indebolimento dell’autostima. È così che l’ambiguità alimenta insicurezza, ansia relazionale e il dubbio di non essere “abbastanza”, come se si dovesse continuamente dimostrare il proprio valore per ottenere un ruolo più chiaro. Questa incertezza può portare a sviluppare forme di iper-vigilanza emotiva: si analizzano gesti, parole, silenzi, nel tentativo di capire se la relazione sia “reale” o se si stia investendo da soli.

In alcuni casi, soprattutto quando sono presenti ferite affettive pregresse in chi lo subisce, il bisogno di rassicurazione può alimentare dinamiche di dipendenza affettiva o paure di essere “abbandonati” che portano la persona a evitare la separazione nonostante il mantenerla viva sia doloroso. Lo stashing non ferisce solo perché “non si è presentati” agli altri, ma perché mette la persona in una posizione di invisibilità che mina nel tempo il suo senso di autostima e valore in senso più ampio».

Questa dinamica come influenza la fiducia nella coppia e quali segnali di allarme dovrebbero cogliere coloro che vivono una relazione clandestina?

«I segnali di allarme, per chi si trova in questa condizione, sono abbastanza chiari: un evitamento sistematico dei contesti sociali, giustificazioni vaghe o incoerenti, la tendenza a vivere la relazione solo in momenti e luoghi privati e una difficoltà persistente ad affrontare apertamente il tema. Quando ogni tentativo di dialogo viene rimandato, minimizzato o trasformato in conflitto, significa che non si è di fronte a una semplice preferenza per la privacy, ma a una dinamica di chiusura che merita attenzione.

In queste situazioni non è l’assenza del “post” pubblicato sui social a compromettere la fiducia, ma l’impossibilità di sentirsi riconosciuti e inclusi nel progetto di vita dell’altro. È questa mancanza di trasparenza e di libertà nel poter condividere pienamente la vita insieme che, nel tempo, corrode la base su cui ogni relazione sana dovrebbe fondarsi».

Nell’era della condivisione social, il dover mostrare la relazione è diventato un indicatore di successo?

«Mentre il coinvolgimento di una coppia nella società - fatta di relazioni con amici, colleghi e famiglia allargata - è un fattore protettivo per il benessere familiare e quindi predittivo anche del successo relazionale, la visibilità sui social non è un indicatore affidabile della qualità di una relazione. Ci sono coppie solide che scelgono di esporsi sui social e coppie altrettanto solide che preferiscono preservare la propria intimità.

Il punto non è quanto si mostri, ma la radice alla base di questa scelta. Una scelta di riservatezza può essere del tutto sana se è condivisa, consapevole e soprattutto se nasce dal bisogno di proteggere i singoli o la relazione stessa da sguardi indiscreti per motivi lavorativi o personali. Lo stashing è qualcosa di diverso: non si parla di privacy, ma di un’esclusione non condivisa. La relazione viene tenuta nascosta in modo unilaterale e, spesso, senza offrire all’altro un reale spazio di confronto».

Qual è il confine tra il diritto alla privacy in una relazione nascente e il vero e proprio stashing tossico? Ci può spiegare le dinamiche psicologiche che trasformano una scelta di riservatezza in un meccanismo di evitamento o manipolazione?

«Il confine si gioca soprattutto sull’intenzione e sulla qualità del legame. La privacy è sana quando nasce da una scelta reciproca e permette alla relazione di crescere senza pressioni esterne. Possiamo visualizzarla come una bolla protettiva che permette la nascita del “noi” senza interferenze, più che come un modo per tenere l’altro a distanza e restare fermi entrambi all’”io”. Il problema nasce quando la riservatezza non è più condivisa, ma diventa una strategia per non assumersi responsabilità affettive o per evitare un coinvolgimento più profondo. In queste situazioni entra spesso in gioco il sistema di attaccamento.

Le persone con una tendenza evitante possono usare il “non mostrarsi” come difesa, così da non sentirsi vincolate o dipendenti emotivamente. Altre, con dinamiche più manipolatorie, mantengono volutamente l’ambiguità per conservare una posizione di controllo nella relazione. In entrambi i casi, la radice è simile: la paura di un’intimità autentica, quella che richiede invece di farsi vedere davvero. Lo stashing si riconosce quando manca trasparenza e non esiste disponibilità a trovare un equilibrio che permetta a entrambi di sentirsi riconosciuti in un “noi”. Quando la riservatezza genera un senso di incertezza invece che di protezione, siamo già oltre il limite della privacy e dentro questa dinamica di disequilibrio».

Quali strategie di comunicazione e approcci psicologici consiglia per affrontare il partner evitando così la dinamica dello stashing?

«Il primo passo è nominare e comunicare ciò che si sente: dire “provo dispiacere e dolore per questa situazione in cui…”. È importante non puntare il dito contro l’altro colpevolizzandolo dicendo cose come “tu mi fai soffrire”, ma portando le proprie emozioni e desideri rispetto alla relazione. A questo punto è fondamentale ascoltare la risposta: se il partner è aperto al confronto e si mostra empatico ma soprattutto si apre nel condividere anche il proprio vissuto, la relazione può evolvere; se invece si chiude o minimizza, è un segnale importante. Se non è la prima volta che ci si trova a vivere queste dinamiche con partner diversi è importante chiedersi: “cosa mi fa attrarre e rimanere con partner non disponibili ad impegnarsi?”.

Questo permette di riassumersi una parte di responsabilità e quindi anche di potere sulla propria vita. Potremmo dire che sia un vero e proprio atto d’amore verso sé stessi che ci porti sempre più a scegliere di stare dove ci sentiamo valorizzati e riconosciuti, piuttosto che in relazioni “clandestine” in cui l’altro non sia disposto a dare il livello di relazione che desideriamo. Sul piano personale, lavorare sulle proprie paure permette di non trovarsi ad accettare relazioni ambigue per timore di perdere l’altro o di entrare in conflitto. Un percorso terapeutico può sostenere nel recuperare la sicurezza interna e nel costruire relazioni future più chiare e trasparenti».


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