È un tumore poco considerato, nonostante sia al quinto posto come stima della popolazione generale e al quarto posto tra i vari tipi di cancro maschili. È il tumore alla vescica, termine che in realtà comprende anche quello che colpisce l’uretere, l’uretra e le pelvi renali.
E proprio per il carcinoma uroteliale, la forma più frequente che attacca il tessuto ricoprente le vie urinarie (chiamato, appunto, urotelio), c’è un’importante novità tepaeutica, pronta ad aprire nuove speranze e prospettive di vita per tutti i pazienti. Uomini, per la maggioranza, anche se negli ultimi cinque anni l’incidenza di questo carcinoma tra il gentil sesso è aumentata dell’11 per cento.
Basti pensare che in Italia si registrano ogni anno circa 29.000 nuove diagnosi, mentre si stima che siano oltre 300.000 gli italiani in lotta contro questo insidioso nemico, che non dà sintomi della sua presenza se non in fase tardiva.
Il campanello d’allarme a cui prestare attenzione? L'ematuria, cioè la presenza di sangue nelle urine che diventano scure e torbide, color coca-cola, anche in assenza di fastidi a urinare. Ma vediamo in cosa consiste questa nuova opzione terapeutica che sta rivoluzionando il panorama delle terapie contro il tumore alla vescica.
La nuova terapia per il tumore alla vescica
È arrivata la prima target therapy. «Quando si parla di medicina di precisione, altamente personalizzata, occorre sapere che la ricerca in campo oncologico si sta muovendo in un’unica direnzione: quella di poter arrivare ad avere una specie di carta d’identità del tumore, un identikit più preciso, con tutte le caratteristiche genetiche e molecolari che lo contraddistinguono da un altro carcinoma che ha lo stesso nome ma peculiarità differenti», esordisce la dottoressa Patrizia Giannatempo, oncologo medica presso l’Istituto Nazionale dei Tumori I.R.C.C.S di Milano.
«Nel costante tentativo di riuscire a tracciare un profilo dettagliato del tumore alla vescica, abbiamo individuato un bersaglio molecolare, ovvero un “motore” fondamentale nella replicazione accelerata delle cellule tumorali. Questo bersaglio si chiama FGFR3, ed è un fattore di crescita dei fibroblasti che, appunto, porta alla crescita incontrollata delle cellule. Il nuovo farmaco messo a punto da Johnson & Johnson, che ha appena ottenuto la rimborsabilità da parte del nostro Sistema Sanitario Nazionale, si chiama erdafitinib e agisce in modo da inibire il recettore, denominato tirosin-chinasi, che attiva il FGFR3, questo importante fattore di crescita cellulare.
In un caso su 5, infatti, i pazienti affetti da carcinoma uroteliale presentano una mutazione genetica che fa sì che questo delicato meccanismo di regolazione non funzioni a dovere, con una conseguente proliferazione cellulare fuori controllo. L’aver trovato una molecola che agisce selettivamente su questo “interruttore” dello sviluppo cellulare rappresenta un traguardo importante, direi quasi una svolta epocale».
A chi è indirizzato il nuovo farmaco
Erdafitinib, il nuovo farmaco a target molecolare, è però indirizzato a una classe di pazienti ben definita. Ovvero quei pazienti affetti da tumore alla vescica in stadio avanzato, come quello muscolo-infiltrante (particolarmente aggressivo), metastatico o non operabile. Ovvero quei pazienti per i quali fino a ieri c’erano davvero poche opzioni terapeutiche.
«Per la precisione, erdafitinib è indicato per i pazienti con tumore vescicale avanzato, che abbiano registrato una progressione dello stesso nonostante siano stati sottoposti a terapie, e siano già stati trattati con almeno un farmaco immunoterapico appartenente alla famiglia degli anti-PD-1 o anti-PD-L-1 (come, per esempio, pembrolizumab e atezolizumab)», puntualizza il dottor Fabio Calabrò, direttore dell’Oncologia Medica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena di Roma.
«Quindi, prima di prescrivere la terapia viene fatta una “doppia selezione”: la prima è che erdafitinib funziona soltanto con quei pazienti i cui test molecolari/genomici abbiano individuato la suddetta mutazione genetica. In seconda battuta, tali pazienti “mutati” (il 20 per cento di tutti i casi) devono aver dimostrato di essere poco responsivi alle terapie di prima linea».
I risultati del nuovo farmaco
Come tutti i nuovi farmaci mirati a bloccare o a rallentare la crecita di un tumore, anche erdafitinib ha dovuto superare diverse prove di efficacia e sicurezza prima di venire commercializzato. «Mi riferisco, in particolare, a uno studio randomizzato su 266 pazienti affetti da carcinoma uroteliale in fase avanzata, la cui efficacia è stata messa a confronto con la chemioterapia», precisa la dottoressa Patrizia Giannatempo.
«I risultati sono stati molto incoraggianti, mostrando un significativo aumento della sopravvivenza libera da progressione della malattia, che si traduce in un incremento della sopravvivenza globale. Guardando i numeri, si evince una riduzione complessiva del rischio di morte del 40 per cento, con una diminuzione della massa tumorale riscontrata in circa il 46% dei pazienti arruolati nello studio internazionale. Il che significa minor dolore e, di conseguenza, minor ricorso ai farmaci antidolorifici, disturbi della minzione dimezzati e un miglioramento sensibile della qualità della vita».
Non solo: oltre a vincere il confronto con la chemioterapia sotto diversi aspetti, erdafitinib ha il vantaggio di poter essere sommistrato per via orale, tramite l’assunzione di una compressa al giorno, senza bisogno di doversi recare in ospedale per sottoporsi a terapie endovenose, chemioterapiche o immunoterapiche. Un piccolo-grande beneficio che permette ai pazienti di sentirsi un po’ meno “malati”, potendo gestire la terapia a casa propria, senza inutili, lunghi o scomodi spostamenti».
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