Storia vera: “Ho scoperto a 21 anni di avere un rene solo”

Prima la dialisi, poi il trapianto e la salute ritrovata. E con essa la felicità di diventare madre. Storia di Francesca, rinata grazie alla donazione di uno sconosciuto



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È il 2003 e Francesca Campo, 21 anni, impiegata in una banca di Sondrio, non sospetta che una malformazione nel suo corpo le stia per presentare un pesante conto da pagare. Da un po’ le sue gambe sono gonfie, doloranti, al punto che, un giorno, deve rivolgersi al pronto soccorso. Ed è lì che riceve, per la prima volta, una diagnosi che le piomba addosso come una condanna: ha un solo rene che, per di più, è ormai malandato.

L’organo ha dovuto lavorare da sempre per due, fino ad atrofizzarsi silenziosamente, perdendo alla fine la sua funzionalità. Ma c’è dell’altro: il rene malato ha sballato i valori della pressione arteriosa che, sempre alta, in modo altrettanto subdolo ha sfiancato il cuore, tanto che «l’atrio sinistro è ingrossato e i valori degli esami del sangue sono paragonabili a quelli di una persona in coma», racconta Francesca.

Il ricovero è immediato, ma il rene è ormai irrimediabilmente perso. L’unica cura per sopravvivere è la dialisi: per evitare un accumulo di tossine e sostanze di rifiuto che avvelenerebbero l’organismo.


Dalla dialisi alla speranza

Inizia così il suo lungo calvario: «Cinque anni, 1 mese e 4 giorni, declinati nella sofferenza», puntualizza Francesca. «Un giorno sì e uno no, ero in ospedale, per affidare la mia vita a una macchina che, attraverso una fitta rete di tubicini, mi depurava il sangue».

Per uscire da quella schiavitù e tornare a vivere c’era una sola speranza: il trapianto. Glielo propongono al centro di nefrologia degli Ospedali riuniti di Bergamo, dove è in cura, spiegandole che, se c’è compatibilità, il donatore può essere un famigliare o un amico, in caso contrario deve mettersi in lista d’attesa e aspettare il rene di un donatore esterno ai consanguinei. I tempi non sono però brevi: possono trascorrere anni.

Francesca sceglie la seconda strada: «Non me la sento di chiedere ai miei cari un sacrificio così grande, e la sola idea che possano vivere un’esperienza dolorosa come la mia mi terrorizza».


Una sera squilla il telefono

E così Francesca aspetta, sinché dopo ben 3 anni una sera arriva la chiamata che le ha cambiato la vita. Dall’altro capo del filo del telefono una voce pronuncia le parole tanto attese: “C’è un rene compatibile, si presenti in reparto domani alle 7. Operiamo”.

La paura per l’intervento e la felicità per quel miraggio finalmente raggiunto si accavallano freneticamente nella mente di Francesca. Per tutta la sera, mentre prepara la valigia per il ricovero, le lacrime le sgorgano ogni tanto dagli occhi, senza che riesca a far nulla per bloccarle. Poi dalle labbra le esce un “grazie” rivolto all’anonimo donatore che le sta regalando una seconda vita.


Un corpo di nuovo vivo

Francesca è nata la seconda volta il 17 ottobre 2008, un venerdì che, come ama dire quando racconta la sua storia, «è il giorno della fine di un incubo e, in barba alla superstizione, il 17 è il mio numero fortunato».

La portano nel blocco operatorio alle 12 e, in attesa dell’organo da impiantare, per 3 ore e mezza rimane nella sala d’attesa preoperatoria, cullata dal ticchettio dell’orologio che intravvede su una parete e che a ogni battito sembra far magicamente scomparire ogni paura. Si sente pronta e, quando finalmente arriva il momento fatidico e viene sistemata sul lettino operatorio, l’anestesia la fa scivolare velocemente nel sonno. Si risveglia alle 8 di sera. “È andato tutto alla perfezione e il rene impiantato ha già preso a funzionare”: sono le prime parole che Francesca ricorda di quel momento.

È felice, ma soprattutto ha una nuova percezione del suo corpo che la sorprende: «Emanava un calore diverso che non avevo mai sentito prima, come se la vita avesse ripreso a scorrere dentro le mie vene». I due mesi successivi sono fitti di appuntamenti in ospedale, per mettere a punto la terapia antirigetto più idonea. Accanto a lei ci sono i suoi famigliari e Luca, il suo compagno e oggi suo marito. Già, perché dopo quel fatidico 17 ottobre, la vita di Francesca ha imboccato un nuovo binario, regalandole la salute e la felicità che pensava le fossero ormai negate.

Si è sposata e 4 anni fa è diventata mamma: una gravidanza desiderata, avvenuta per via naturale anche se, come trapiantata (e quindi gravidanza considerata a rischio), ha dovuto partorire con il cesareo. Marco, il suo bimbo, è sano, e un motivo in più che oggi la spinge a non disertare i controlli, a seguire alla lettera le cure antirigetto, che dovrà proseguire per tutta la vita, ma soprattutto a prendersi cura di se stessa.

«Gli immunosoppressori mi rendono più esposta alle infezioni e anche se non devo vivere sotto una campana di vetro, so che la salute è un bene prezioso e faccio di tutto per conservarla: per me, ma soprattutto per mio figlio».


Il cambiamento è radicale

Oggi Francesca si sente una donna emotivamente più ricca, felice delle cose più semplici che la vita le regala e, anche se non sa nulla del suo donatore, è come se ne percepisse ogni giorno l’impalpabile presenza.

Dopo quel fatidico 17 ottobre, qualcosa è cambiato dentro di lei: «I miei gusti a tavola non sono più quelli di prima e ho iniziato mangiare cibi che prima detestavo. Forse è solo una coincidenza. O forse un segno. Quel che è certo è che chi mi ha regalato il suo rene è nelle mie preghiere e nei miei pensieri, insomma un fratello o una sorella biologici».

Francesca avrebbe voluto conoscere anche la sua famiglia, «per dir loro per lo meno grazie: oggi che sono mamma, mi rendo conto ancor di più di come donare gli organi di un proprio caro che ci lascia, magari un figlio, non debba essere facile. Ci vuole un grande coraggio e una grandissima dose di altruismo».


La scelta del volontariato

La legge sulla privacy prevede però per la donazione un anonimato rigidissimo e i nomi dei donatori e dei riceventi non vengono mai resi pubblici: è vietato per legge, anche se poi, in alcuni casi, le famiglie si incontrano percorrendo strade alternative, fatte di “indagini” e di appelli.

Francesca non l’ha fatto, ma è diventata una sostenitrice dell’Aido, l’associazione italiana donazione di organi, invitando amici e conoscenti a iscriversi: «Esprimere il proprio consenso alla donazione è un grande atto di civiltà, un gesto pieno di vita, un dono per dare speranza a migliaia di persone malate, di ogni età».



LA SITUAZIONE IN ITALIA

«Il trapianto di rene è necessario in caso di insufficienza renale cronica e, come nella vicenda di Francesca, dopo la dialisi è l’ultima spiaggia», spiega il professor Giuseppe Remuzzi, uno dei più grandi esperti italiani in questo campo. «Nel nostro Paese quello del rene è tra i trapianti più richiesti e, fortunatamente, le liste d’attesa stanno calando: nel 2017 i pazienti in attesa di chiamata erano 6683, nel 2018 sono diventati 6521.

Il fenomeno è legato al maggior numero di italiani che sono disposti a donare, ma c’è ancora molta strada da fare perché solo 1 su 5 dei malati che potrebbero tornare a una vita normale con il trapianto di fatto ci arriva.

È importante, perciò, sapere che oggi ci sono nuove possibilità di donazione. Quella samaritana, per esempio, procedura rigidamente regolamentata, che permette di offrire un proprio organo per salvare la vita di un malato con il quale non si ha alcun legame. E poi, è possibile donare anche se si è over 70 e 80. La sopravvivenza di questi organi nel ricevente non è diversa da quella di organi di donatori giovani: è una scoperta della medicina tutta italiana».


14 MARZO, GIORNATA MONDIALE DEL RENE

Il 14 marzo si celebra la giornata mondiale del rene e la Società italiana di nefrologia (Sin), d’intesa con la Fondazione Italiana del Rene Onlus (Fir) organizza in tutta Italia la “Settimana della prevenzione sulle malattie renali”, campagna divulgativa per informare la popolazione sul corretto stile di vita per la salute dei reni e sul “chi-fa-cosa” in caso di malattia renale cronica.

Le iniziative le trovi anche su worldkidneyday.org.



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Articolo pubblicato nel n° 11 di Starbene in edicola dal 26 febbraio 2019

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