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Pulpite: perché si infiamma la polpa dentale, sintomi, cure

È un’infiammazione del tessuto vivo all’interno del dente. La diagnosi si basa su sintomi riferiti, test clinici e radiografie, mentre il trattamento varia dalla gestione conservativa nelle forme reversibili alla terapia canalare nelle forme irreversibili, con farmaci e interventi mirati per alleviare il dolore e preservare la funzione dentale

Foto: iStock



Tra le problematiche che possono compromettere la salute orale, la pulpite occupa un posto di rilievo, perché rappresenta una delle condizioni più dolorose e temute dai pazienti. Non si tratta di un semplice disturbo temporaneo, ma di una vera e propria infiammazione della polpa dentale: il cuore del dente, un tessuto vivo estremamente sensibile, ricco di terminazioni nervose e vasi sanguigni.

Quando questa struttura viene attaccata da batteri o altri agenti irritativi, l’equilibrio che ne preserva la vitalità si rompe, dando origine a un dolore intenso e spesso insopportabile. Non a caso, molte donne che lo hanno provato lo descrivono come paragonabile a quello del parto: una sofferenza che rimane impressa nella memoria. È un dolore pulsante, che invade la quotidianità e rende difficile persino compiere i gesti più semplici, trasformando il dente malato in un pensiero costante e opprimente.

Che cos’è la pulpite

La pulpite è un’infiammazione che interessa la polpa dentale, ossia il tessuto molle che abita il cuore del dente. Non si tratta di una parte visibile a occhio nudo: la polpa è custodita in profondità, protetta da due strati durissimi. Il primo è lo smalto, la barriera esterna che riveste la corona dentale e rappresenta il tessuto più mineralizzato del nostro organismo; al di sotto si trova la dentina, meno compatta ma più elastica, essenziale nel trasmettere stimoli e nel difendere la camera interna.

«Sotto questi strati si trova la polpa, dove scorrono nervi e vasi sanguigni che assicurano vitalità e sensibilità al dente», spiega la dottoressa Rosanna D’Amico, responsabile del reparto di Odontoiatria presso il Centro Medico Lazzaro Spallanzani di Reggio Emilia. È proprio questa cavità nascosta, racchiusa da pareti rigide, a rendere il dente un organo vivo e reattivo.

Quando sollecitazioni di varia natura – come carie, traumi o stimoli termici – alterano la struttura di smalto e dentina, l’aggressione può raggiungere la polpa, provocandone l’infiammazione. Il risultato è un dolore forte e inconfondibile, che costituisce il sintomo cardine della pulpite.

Quali sono i sintomi della pulpite

Il dolore non si manifesta sempre nello stesso modo: la sua intensità e la durata dipendono dallo stadio dell’infiammazione. «Nella pulpite reversibile il fastidio è improvviso ma di breve durata», evidenzia la dottoressa D’Amico. «Si tratta di fitte acute, spesso scatenate dal contatto con bevande fredde o cibi zuccherati. Una volta eliminato lo stimolo, la sofferenza tende a regredire spontaneamente e la polpa può recuperare la sua condizione di normalità. È una sensazione che molti hanno provato almeno una volta nella vita: un brivido doloroso che attraversa il dente, ma che svanisce nel giro di pochi istanti».

La pulpite irreversibile, invece, rappresenta la forma più temuta. In questo caso il danno alla polpa è più profondo e stabile: il dolore diventa pulsante, continuo, capace di accompagnare il paziente durante la giornata e di intensificarsi soprattutto di notte. «Quando ci si sdraia, infatti, l’aumento del flusso sanguigno verso la zona infiammata fa crescere la pressione all’interno della camera pulpare, accentuando la sofferenza», descrive l’esperta. «Le fitte possono irradiarsi verso l’orecchio, la mandibola o persino la testa, seguendo i percorsi del nervo trigemino che innerva i denti. È un dolore che non concede tregua e che, se persiste, può compromettere la qualità del sonno e delle attività quotidiane».

Con il progredire dell’infiammazione, la polpa si gonfia e comincia a battere contro le pareti rigide che la circondano. «Nelle prime fasi il dente è particolarmente sensibile agli stimoli freddi», aggiunge la dottoressa D’Amico, «ma se il processo non viene arrestato si può arrivare alla necrosi pulpare: il tessuto nervoso, ormai compromesso, va incontro a un processo di autodistruzione. In questa fase il dolore cambia natura: da pulsante diventa più sordo e costante, spesso scatenato da stimoli caldi che, dilatando i gas prodotti dalla necrosi, amplificano la pressione interna».

Se la condizione viene trascurata, la degenerazione della polpa apre la strada a infezioni più estese che interessano l’area periapicale, cioè la zona attorno alla radice del dente. In questi casi possono svilupparsi ascessi dolorosi, ulteriori complicanze che trasformano un’infiammazione non curata in un problema ben più grave e diffuso.

Quali sono le cause della pulpite

La causa più frequente di pulpite è la carie dentale, che rappresenta il principale nemico della polpa. «Una carie si sviluppa inizialmente nello smalto, ma se non viene trattata può progredire verso la dentina, uno strato attraversato da microscopici tubuli che contengono fibre nervose», precisa la dottoressa D’Amico. «Quando i batteri raggiungono questi canali, gli stimoli dolorosi si trasmettono fino alla polpa, scatenandone l’infiammazione. Se il danno resta circoscritto, la pulpite può essere ancora reversibile: rimuovendo la carie e ripristinando l’integrità della struttura dentale, la polpa può tornare in salute». Diverso è il caso della cosiddetta carie destruente, che compromette gran parte della corona e finisce per intaccare direttamente il tessuto pulpare, aprendo la strada a una pulpite irreversibile.

Non solo carie: anche i traumi meccanici possono svolgere un ruolo significativo. Un colpo improvviso – come l’urto accidentale di un bicchiere o di una posata contro un dente – può provocare microfratture o lesioni invisibili che irritano la polpa. Anche la masticazione di cibi molto duri o il bruxismo, ossia l’abitudine di digrignare i denti, esercitano una pressione costante capace di generare un’infiammazione. In questi casi, se l’intervento è tempestivo, la pulpite tende a essere reversibile, mentre il protrarsi del danno può accelerare la degenerazione del tessuto pulpare.

Un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dal colletto dentale scoperto, ossia la zona di passaggio tra dente e gengiva. «Quando le gengive si ritirano, viene esposta una porzione della radice rivestita non da smalto, ma da cemento radicolare, un tessuto molto meno resistente», aggiunge l’esperta. L’abrasione dovuta a un’igiene orale troppo aggressiva – ad esempio uno spazzolamento orizzontale con setole dure – può erodere il cemento e scoprire i tubuli dentinali. In queste condizioni, stimoli anche lievi come bevande fredde, alimenti dolci o acidi possono provocare fitte dolorose, indice di un coinvolgimento della polpa. Fortunatamente, in questi casi il dente mette in atto un meccanismo difensivo producendo dentina secondaria o terziaria, che chiude i tubuli e riduce la trasmissione degli stimoli, permettendo spesso la regressione spontanea dei sintomi.

Infine, anche alcune terapie odontoiatriche possono scatenare una pulpite, soprattutto quando le otturazioni sono molto profonde e si avvicinano eccessivamente alla camera pulpare. In questi casi il tessuto interno può reagire con un processo infiammatorio che, se non si attenua spontaneamente, rischia di evolvere in danno permanente.

Come si arriva alla diagnosi

La diagnosi di pulpite si basa innanzitutto sull’ascolto del paziente e sulla raccolta accurata della sua storia clinica. I sintomi riferiti – dolore acuto agli stimoli freddi o dolci, fitte persistenti che peggiorano durante la notte, sensibilità al caldo – costituiscono spesso il primo indizio per il dentista. È la descrizione soggettiva del dolore, infatti, a orientare la valutazione iniziale: la sua durata, la frequenza, l’intensità e le circostanze in cui compare permettono di distinguere tra una forma reversibile e una irreversibile.

A questo momento di ascolto si affiancano test clinici mirati, come il test di vitalità pulpare, che misura la reattività del dente agli stimoli termici. Applicando un batuffolo imbevuto di ghiaccio sintetico, lo specialista valuta la risposta della polpa: se il dolore è intenso ma regredisce rapidamente, si può trattare di una pulpite reversibile; se invece il dolore persiste anche dopo la rimozione dello stimolo, la diagnosi si orienta verso una pulpite irreversibile. Un’assenza totale di risposta, al contrario, indica che la polpa è già andata incontro a necrosi.

Un altro strumento è il test di percussione, che consiste nel colpire delicatamente il dente: in caso di infiammazione lieve, il dolore si attenua in breve tempo, mentre nelle forme più estese diventa acuto e profondo, segnalando il coinvolgimento delle radici e dei recettori più interni.

La radiografia endorale completa il quadro, offrendo un supporto visivo che, pur non consentendo da sola di diagnosticare la pulpite, permette di individuare carie profonde, processi infiammatori periapicali, cisti o granulomi. Integrata con la clinica, diventa uno strumento prezioso per comprendere l’estensione del danno e pianificare la terapia.

Come si cura la pulpite

Il trattamento della pulpite dipende dalla sua natura e dalla causa che l’ha determinata. Nella forma reversibile, spesso legata a carie superficiali, colletti dentali scoperti o traumi lievi, è possibile intervenire in modo conservativo: rimuovendo la carie o correggendo il fattore scatenante, la polpa torna alla normalità senza danni permanenti. In questi casi possono risultare utili anche prodotti desensibilizzanti come dentifrici e collutori specifici, arricchiti con sali di calcio o idrossiapatite, capaci di occludere i tubuli dentinali e ridurre la trasmissione degli stimoli dolorosi. Nei casi più persistenti, il dentista può ricorrere a terapie mirate come il laser, che sigilla i tubuli esposti, o addirittura a piccole otturazioni nella zona del colletto.

«La pulpite irreversibile, invece, richiede trattamenti più invasivi perché la polpa ha subito un danno permanente», specifica la dottoressa D’Amico. «In queste circostanze, l’unica soluzione efficace è la terapia canalare, che consiste nella rimozione del tessuto infiammato o necrotico e nella successiva disinfezione e sigillatura dei canali radicolari».

Dal punto di vista farmacologico, è importante distinguere tra le fasi della malattia. Nella fase infiammatoria iniziale, l’antinfiammatorio è il farmaco che garantisce il maggior sollievo: l’antibiotico può essere prescritto, ma da solo ha un ruolo limitato, perché il problema non è ancora una vera infezione diffusa. Al contrario, quando la pulpite evolve in fase necrotica, la presenza di pus e di batteri attivi rende indispensabile la terapia antibiotica, che va comunque sempre associata al trattamento odontoiatrico definitivo.

«La bocca è un organo complesso, fondamentale per la masticazione, la digestione e persino la postura», conclude la dottoressa D’Amico. «Curarla significa prendersi cura della propria salute generale e la prevenzione resta sempre la strategia più efficace: un’igiene orale quotidiana attenta, l’uso corretto di spazzolino e dentifricio, l’attenzione a traumi e abitudini scorrette, ma soprattutto i controlli regolari dal dentista possono evitare che piccoli problemi si trasformino in patologie dolorose e potenzialmente irreversibili come la pulpite».


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