hero image

Salute, perché dimenticare è importante quanto ricordare

Non è uno scherzo: l’oblio è una funzione cognitiva autonoma, importante quanto la memoria. Un autorevole neuroscienziato ci spiega i motivi di questa “fratellanza” intelligente

Foto: iStock



Dimentichiamo. Tutti. Sempre. Anche le cose importanti. Ma come è difficile accettarlo! Spesso, spessissimo ci chiediamo, con tanta angustia e altrettanta vergogna, come abbiamo potuto smarrire quel ricordo, quella parola, quel nome che era lì sulla punta della lingua e adesso non c’è più. In che modo possiamo perdonarci le tante amnesie, involontarie, che ci fanno perdere tempo, pazienza e, talora, credibilità?

310996Ma scordarsi qualcosa è tutt’altro che una colpa, sostiene il neuroscienzato Sergio Della Sala nel suo saggio Perché dimentichiamo (Feltrinelli): in poco più di duecento pagine, prende forma un altro punto di vista che fa scappare l’oblio dal regno dei difetti e lo fa entrare nel circuito delle necessità biologiche. Nella veste di funzione nobile, indispensabile e intelligente. I motivi, inediti ma certificati dal punto di vista scientifico, ce li spiega lui stesso.


Professor Della Sala, come mai ha scritto un libro su questo tema?

Da sempre, la dimenticanza è stata considerato un errore della mente. La stessa parola “di-menticare” deriva da demens, cioè “senza mente”. Anche il termine “oblio” proviene dal latino oblivium, che significa “scolorire”, “diventare oscuro”, un’allusione diretta al lato buio della memoria. Invece, a parte condizioni patologiche in cui si dimentica troppo per colpa di danni cerebrali o per l’avanzare dell’età, non ricordare è un fenomeno naturale ed essenziale del nostro sistema mentale. Infatti, se non ci fosse l’oblio non ci sarebbe la memoria.


Che errore facciamo quando parliamo di questa funzione?

Nel linguaggio comune, si tende a considerare la memoria come un meccanismo per mantenere il passato, per riportarlo alla mente esattamente così com’era. Quest’ultima, però, non si è sviluppata per rammentare, ad esempio, il nome della maestra delle elementari, ma per aiutarci a trattenere quello che conta per la nostra sopravvivenza, cioè a prevedere ciò che verrà, a prepararci al futuro, ad anticipare i rischi e a trasformare le esperienze in conoscenza. Quindi, dal punto di vista sia evolutivo che concettuale dimenticare è utile come ricordare.


In pratica, noi memorizziamo anche perché scordiamo…

Sì, non sarebbe utile né comodo conservare ogni informazione a vita e nei dettagli. La nostra memoria continua a perdere alcuni dati, quelli che non utilizziamo più, per consentire ad altre nozioni, più recenti e rilevanti, di avere la priorità. Per esempio, se dovessimo, ricordare tutti i parcheggi che abbiamo fatto con l’auto, sarebbe impossibile recuperarla oggi; per farlo dobbiamo molto verosimilmente ignorare i posteggi precedenti! Questa perdita di accessibilità non è un fallimento della facoltà mnemonica, ma una sua caratteristica adattiva: è ciò che le consente di aggiornarsi efficacemente. Dimenticare, infatti, favorisce i processi di selezione e di filtraggio. Equivale a un’operazione di manutenzione cognitiva, in poche parole.


Quali sono gli specifici meccanismi d’azione della memoria?

La dimenticanza ci fa trarre dalla memoria quello che ci serve al momento, quando ne abbiamo bisogno. Questo fenomeno, che prende il nome di “effetto recency” (effetto di recenza), si spiega così: le informazioni acquisite da poco sono attive nel cervello perché non hanno ancora avuto il tempo di sbiadire o di essere rimpiazzate da contenuti nuovi o ancora di essere soggette a interferenze da parte di ricordi simili che potrebbero ostacolarne il recupero. Se non ci sono sovrapposizioni, quindi, la traccia mnemonica rimane più stabile. Succede, per esempio, nel momento in cui proviamo a memorizzare una lista di parole senza alcuna correlazione tra loro: ci accorgeremo che ricordiamo meglio le prime e le ultime dell’elenco, proprio perché non ci sono ingerenze nella memoria.


In un certo senso, è un aiuto nella vita quotidiana…

Se noi vivessimo ricordando tutto ma proprio tutto, saremmo sommersi di particolari, notizie, suggerimenti che, di fatto, ci impedirebbero di ragionare: tale mole di dati ci renderebbe incapaci di estrarre le informazioni che servono, di fare dei riassunti concettuali, di capire il senso, di proporre un ragionamento. Noi possiamo pensare solo perché “annulliamo” i dettagli.


Perciò, il ricordo è l’esatto opposto della dimenticanza o una sua rielaborazione?

Gli unici ricordi precisi sono quelli numerici, tipo una data, o i nomi propri mentre tutti i fenomeni narrativi vengono rimaneggiati. La memoria, va sottolineato, non funziona come un pc, una videocamera: tutto quello che rievochiamo è sempre una rappresentazione del passato, nel senso che non esiste un ricordo esattamente come era stato vissuto e incamerato all’inizio. Si tratta, sempre, di una rivisitazione della mente, che passa sotto il filtro del nostro sistema di conoscenza, i nostri valori, la nostra emotività. Perciò, se il flashback non è mai esatto, la dimenticanza non può essere il contrario del ricordare. Si tratta di due sistemi cognitivi diversi, dove l’uno accompagna l’altro. Come due fratelli. Interagendo insieme, permettono di costruire il letto della nostra conoscenza, che è sempre un riassunto di quello che abbiamo sperimentato.


Ma qual è l’impatto delle emozioni sulla memoria?

L’emozione è uno dei fenomeni che ci consente di prestare attenzione a quell’attimo sperimentato e, quindi, di imprimerlo nella memoria. La sua parte principale si gioca nel momento di incamerare quel fatto, per effetto dell’attivazione di specifici circuiti cerebrali. Nel caso della paura o dell’aggressività, ad esempio, viene stimolata l’amigdala, la struttura a forma di mandorla che è parte del sistema limbico. Voglio fare una precisione, però, a riguardo. A differenza di quel si crede, è meno vero che più le emozioni sono forti più i ricordi sono vividi. Lo hanno dimostrato alcuni esprimenti fatti dopo gli attentati alle Torri Gemelle: le persone coinvolte affermavano di avere perfettamente in mente cosa stavano facendo mentre New York crollava, ma alla prova dei fatti le testimonianze si sono rivelate poco attendibili. Per farla breve, gli intervistati rammentavano solo il fatto, ma le circostanze del contesto erano state incamerate, dimenticate e ricostruite come qualsiasi altra esperienza.


Dimenticare è un atto creativo, quindi?

Avere un buon sistema di dimenticanza significa, nel finale, essere capaci di trarre il sunto di qualcosa che abbiamo ascoltato, detto, letto, visto, assaporato. A distanza di molto tempo, ci rimarrà impressa in testa una cosa soltanto, magari, ma che è l’essenziale. E la nostra memoria non si ferma qui, da questo focus rielabora nuove rappresentazioni e dà una sua versione dei fatti che cambia da persona a persona e anche nel corso del tempo. Questo è un atto creativo vero e proprio.


Il fatto di tralasciare ci permette di stare meglio nel presente?

La nostra funzione mnemonica piano piano si deteriora dal punto di vista fisiologico, però se impariamo a dimenticare i dettagli saremo più capaci di ricordare in quanto ci permette di organizzare le informazioni, di categorizzarle. E in condizioni di normalità, questa abilità rimane anche nell’età avanzata. Possibile? Sicuramente, l’arte della dimenticanza è intelligente, in fondo ciò che sappiamo del mondo è ciò che rimane dopo che abbiamo dimenticato. E, perciò, più stimoliamo il cervello ad apprendere cose nuove – leggendo, andando al cinema, coltivando hobby, condividendo e scambiando esperienze ed opinioni con gli altri – più lui è predisposto a “disperdere” le cose antiche, remote a favore di una memoria sveglia ed efficiente anche quando non si è più giovani.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

Perdita e vuoti di memoria: le cause e cosa fare

Memoria: quali metodi usare per non dimenticare più nulla

I cibi per la memoria e il cervello: 6 spezie amiche dei neuroni