Metodo First Step: «Enrico non camminava e non parlava. Oggi sa due lingue»

Un nuovo metodo fisioterapico, ideato a Tel Aviv, aiuta i bambini con ritardi psicomotori a rimettersi al passo con le tappe dello sviluppo. Ce ne parla Francesca, che lo ha sperimentato con suo figlio



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Gioco, sfida con se stessi, partecipazione attiva della famiglia sono le tre componenti fondamentali di un innovativo metodo fisioterapico israeliano, chiamato First Step, arrivato da poco in Italia.

La terapia è sempre più conosciuta anche grazie all’impegno di Francesca Seggy Bohner, che ne è divenuta instancabile promotrice dopo averne sperimentato l’efficacia sul suo bambino, Enrico, nato con un ritardo psicomotorio.


C’era qualcosa di strano

«Sin dai primi giorni di vita, avvertii subito che qualcosa non andava per il verso giusto. Avevo già un figlio di due anni e mezzo e mi sembrava che Enrico facesse molta più fatica ad attaccarsi al seno e fosse meno reattivo. Il mio sesto senso di mamma mi spinse a farlo visitare dal primario di neonatologia che riscontrò una lieve ipotonia. Nulla di grave, se non una non ben definita “debolezza muscolare”», racconta Francesca.

La sua è la storia di tante mamme che nel contatto pelle a pelle con il loro piccolo sentono che qualcosa non funziona ma non capiscono cosa.

«Da piccolo Enrico piangeva molto (e fin qui nulla di strano), tagliava con lentezza le tappe dello sviluppo e girava gli occhi all’indietro, mostrando la sclera bianca dell’occhio», continua la nostra protagonista.

«A otto mesi non riusciva a stare seduto e non si cimentava con i vocalizzi tipici dei bebè. A un anno e mezzo, decidemmo di farlo visitare all’Ospedale di Zurigo, la città dove abitiamo. A spaventarci era soprattutto quello strano movimento degli occhi, che ripeteva più volte al giorno. E infatti, attraverso l’elettroencefalogramma, gli diagnosticarono una forma di epilessia. Ogni volta che mostrava il bianco degli occhi, Enrico aveva delle piccole crisi epilettiche, senza perdita di coscienza, che si ripetevano a distanza di pochi minuti».

A due anni il piccolo inizia a stare in piedi (quando già i suoi coetanei corrono spediti) e cammina solo tenuto per mano: per stimolare il suo sviluppo la mamma lo porta dalla logopedista, dalla fisioterapista e nelle ludoteche piene di palline, scivoli, cubi e pareti da scalare.


L’incontro fortunato

È proprio in ludoteca che Francesca incontra casualmente Shai Silberbusch, un terapista israeliano che ha elaborato un suo metodo riabilitativo a partire dal Feldenkrais. Decide di far visitare Enrico dall’esperto, il quale non solo riscontra un’ipotonia muscolare ma anche problemi di equilibrio a carico del sistema vestibolare.

È per questo che il bimbo passa ore a giocare con il trenino sdraiato sul pavimento e non ha ancora imparato a parlare. Ma, secondo Silberbusch recuperare si può, anzi si deve.

«Il terapista mi spiegò che il suo approccio era diverso rispetto alle altre tecniche di riabilitazione. Faceva leva sull’intensità del lavoro svolto, coinvolgeva tutta la famiglia, e ripercorreva le tappe evolutive del bambino per colmare eventuali gap di apprendimento attraverso il gioco, la motivazione, le esperienze senso-motorie. Per esempio avrebbe creato situazioni di difficoltà per indurre il bambino a trovare con il corpo strategie per risolvere il problema», racconta la mamma.


Il viaggio in Israele

214567Entusiasta per le previsioni ottimistiche del terapista, Francesca parte con la famiglia alla volta di Tel Aviv dove Shai Silberbusch dirige il First Step Center che in dieci anni ha trattato 400 bambini italiani con sindromi rare, autismo o deficit di attenzione e iperattività.

«Già dopo sei giorni ebbi la prova che il metodo stava funzionando: mentre eravamo seduti in cerchio per il “telefono senza fili”, Enrico iniziò a ripetere le sillabe: ba-ba, ma-ma, pi-pi… Fu un’emozione incredibile sentirlo parlare per la prima volta a tre anni!». La terapia procede anche con qualche momento di ansia.

«La prima volta che Shai mise mio figlio a testa in giù e lo fece cadere dentro una montagna di cuscini da cui doveva liberarsi, ebbi paura. Ma per Enrico era un’esperienza nuova e stimolante. Riuscendo pian piano a sgattaiolare fuori, acquisì forza e fiducia in se stesso. Altalene, cubi, tubi in cui infilarsi… tutto diventava gioco, esercizio, terapia», dice Francesca.


La situazione oggi

Enrico ora ha 13 anni, fa la scuola Montessori, parla due lingue (tedesco e inglese), suona il piano, nuota e gioca a tennis.

E mamma Francesca, che vive in Svizzera ma è di origine milanese, si dedica a far conoscere il metodo in Italia, organizzando cicli di terapia a Milano e, a richiesta, in altre città (per info: [email protected]).



A Torino, nelle scuole d’infanzia 

Raccogliendo l’entusiasmo di mamme e bambini, il metodo First Step è stato introdotto, a livello sperimentale, al nido d’infanzia comunale Piccolo Principe e alla scuola materna Polo del Dialogo di Torino. Ciò grazie a un progetto educativo chiamato Thub06 e sostenuto dall’impresa sociale Con i bambini.

Un’iniziativa riuscita, mirata a favorire un armonico sviluppo psicomotorio non di un solo bambino, ma di tutto il gruppo-classe. A breve, il metodo arriverà anche in alcune scuole milanesi.



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Articolo pubblicato nel n° 27 di Starbene in edicola dal 18 giugno 2019


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