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Ipoparatiroidismo: cos’è, sintomi, cause, diagnosi, cure

Si stima che questa condizione endocrina, spesso sottovalutata, interessi circa 10.000 persone in Italia, che possono sperimentare una serie di complicazioni a breve e lungo termine. Ne parliamo qui

Foto: iStock



Fra i tanti meccanismi raffinati che regolano il nostro benessere, c’è un equilibrio biochimico spesso dato per scontato: quello tra calcio e fosforo, due minerali essenziali per molte funzioni vitali. A custodirlo sono le ghiandole paratiroidi, piccole ma essenziali, posizionate ai “quattro angoli” della tiroide. Quando la loro attività si riduce o si interrompe, il corpo perde una delle sue regolazioni più fini, dando origine all’ipoparatiroidismo, una malattia endocrina rara, ma con effetti potenzialmente molto seri.

Il risultato è uno squilibrio metabolico che può coinvolgere il sistema nervoso, i muscoli e il cuore. In Italia si stima che siano circa 10.000 le persone colpite, in prevalenza donne, spesso nel pieno della loro vita lavorativa e familiare. Ma che cosa sappiamo di questa malattia? Quali sono le sue cause, come si manifesta e, soprattutto, quali sono le terapie oggi disponibili?

Cos'è l'ipoparatiroidismo

Si tratta di una malattia che coinvolge il sistema endocrino, quello che regola i nostri ormoni. In particolare riguarda le ghiandole paratiroidi, che si trovano nel collo, dietro la tiroide. Queste piccole ghiandole producono il paratormone (PTH), una sostanza fondamentale per tenere in equilibrio il calcio e il fosforo nel sangue.

«Il paratormone ha il compito principale di mantenere stabile la quantità di calcio nel sangue», spiega Giovanna Mantovani, professoressa di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Milano e direttrice della Struttura complessa di Endocrinologia presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «Per riuscirci, attiva diversi meccanismi: a livello renale, riduce l’eliminazione del calcio attraverso le urine, aiutando il corpo a trattenere questo minerale prezioso; a livello osseo, stimola il rilascio di calcio dalle riserve contenute nelle ossa; infine, favorisce l’assorbimento del calcio introdotto con l’alimentazione, ma lo fa in modo indiretto, attivando la vitamina D, che a sua volta consente all’intestino di assorbire efficacemente il calcio presente nei cibi».

Se questo sistema non funziona correttamente, come accade nell’ipoparatiroidismo, la produzione di paratormone si riduce o si interrompe del tutto. Di conseguenza, viene meno la regolazione dei livelli di calcio, che iniziano a scendere, mentre il fosforo nel sangue tende ad aumentare. È soprattutto la riduzione del calcio (ipocalcemia) a generare i sintomi più evidenti e a influire sul benessere generale.

«Molti associano il calcio esclusivamente alla salute delle ossa, ma in realtà questo minerale è indispensabile anche per il corretto funzionamento del cuore, dei muscoli, del sistema nervoso e, in generale, di tutte le cellule dell’organismo», evidenzia l’esperta. «Quando la calcemia si abbassa in modo significativo, si manifestano sintomi che riguardano in particolare la trasmissione neuromuscolare. Le persone possono avvertire formicolii, crampi, debolezza muscolare, spasmi e nei casi più gravi possono presentarsi disturbi del ritmo cardiaco o persino crisi convulsive».

Quali sono le cause dell'ipoparatiroidismo 

Nel 75% dei casi, l'ipoparatiroidismo deriva da interventi chirurgici nella regione del collo. «Durante l’operazione, può capitare che le paratiroidi vengano rimosse o danneggiate accidentalmente», evidenzia la professoressa Mantovani. «Visto che le donne sono più frequentemente colpite da disturbi tiroidei, come l’ipertiroidismo, il gozzo o i tumori, è naturale che le complicanze post-operatorie, tra cui l’ipoparatiroidismo, interessino soprattutto questa popolazione».

Altre volte, invece, c’è un'origine genetica, dovuta a mutazioni di uno dei geni associati a questa patologia. «Esistono forme isolate, dove l’unica manifestazione clinica è proprio l’ipoparatiroidismo», racconta l’esperta, «e forme sindromiche, in cui la carenza di PTH si accompagna ad altri disturbi, come malformazioni cardiache, sordità, insufficienza renale o disfunzioni di altri organi. La varietà del quadro clinico dipende dal gene coinvolto». Anche se la mutazione genetica è presente sin dalla nascita, i sintomi non sempre si manifestano subito: alcune forme esordiscono più avanti nel tempo, con un’espressione clinica tardiva.

Un’altra possibile causa dell’ipoparatiroidismo è l’autoimmunità, cioè una risposta anomala del sistema immunitario, che attacca per errore le paratiroidi. Questo meccanismo è comune anche ad altre malattie endocrine autoimmuni, come quelle della tiroide o il diabete di tipo 1. «A differenza di altre patologie autoimmuni in cui è possibile identificare gli autoanticorpi specifici, come gli anticorpi antitiroidei, qui non esiste ancora un test clinico affidabile», ammette la professoressa Mantovani. «Anche se si sospetta il coinvolgimento immunitario, manca un marcatore diagnostico preciso e questo rende più difficile una diagnosi certa».

Infine, ci sono casi in cui non è possibile risalire a una causa precisa. Si parla allora di ipoparatiroidismo idiopatico. «È probabile che almeno alcune di queste forme siano in realtà di natura autoimmune, semplicemente non ancora diagnosticabili con gli strumenti attuali», aggiunge l’esperta. «Per questo motivo si parla di diagnosi per esclusione: quando tutte le altre cause note vengono escluse, la condizione viene definita idiopatica».

Quali sono i sintomi dell'ipoparatiroidismo

Uno degli effetti più immediati dell’ipoparatiroidismo è la riduzione dei livelli di calcio nel sangue, una condizione nota come ipocalcemia. Quando il calcio diminuisce, il corpo inizia a inviare segnali ben riconoscibili, che variano in intensità ma che, già nei casi più lievi, possono compromettere in modo significativo la qualità della vita.

Tra i sintomi più comuni ci sono le parestesie, ovvero i formicolii, che possono interessare mani, piedi o volto. «Anche se a prima vista possono sembrare un disturbo minore, in realtà questi fastidi possono diventare invalidanti se presenti quotidianamente», assicura l’esperta. «Per esempio, il continuo formicolio può rendere difficile compiere gesti semplici, come scrivere, digitare sulla tastiera o eseguire movimenti di precisione con le mani».

Quando l’ipocalcemia è più marcata, i sintomi si aggravano. Si possono presentare crampi muscolari dolorosi e, nei casi più severi, si manifesta una condizione chiamata tetania, che consiste in contrazioni muscolari involontarie, localizzate oppure estese a gran parte del corpo. Oltre a essere dolorosa e invalidante, la tetania è uno dei motivi più frequenti per cui i pazienti si recano al pronto soccorso.

«Un altro segnale allarmante è il laringospasmo, una contrazione improvvisa e incontrollata dei muscoli della laringe», dice la professoressa Mantovani. «Questo fenomeno può causare una sensazione di soffocamento e rendere difficoltosa la respirazione, costituendo un’emergenza medica». Nei casi più gravi, l’ipocalcemia può portare a convulsioni generalizzate, simili a crisi epilettiche, che richiedono un intervento tempestivo.

L’insieme dei sintomi dell’ipoparatiroidismo copre dunque un ampio spettro, che va dal disagio quotidiano fino a manifestazioni potenzialmente pericolose per la vita. Anche i disturbi apparentemente “minori” non devono essere sottovalutati, perché hanno un impatto reale e profondo sulla vita delle persone che convivono con questa condizione.


Come si cura l'ipoparatiroidismo 

Affrontare l’ipoparatiroidismo significa convivere con una malattia cronica che, pur non disponendo ancora di una cura definitiva, può essere tenuta sotto controllo. L’obiettivo principale è mantenere l’equilibrio tra calcio e fosforo nel sangue e nelle urine, essenziale per garantire una buona qualità di vita.

«Fino a oggi, il trattamento si è basato su quella che viene definita terapia convenzionale, ovvero una combinazione di integratori di calcio e vitamina D attiva», illustra l’esperta. È un approccio un po’ anomalo per gli endocrinologi, che di solito – di fronte a un deficit ormonale – somministrano direttamente l’ormone mancante. «Nel caso dell’ipoparatiroidismo, invece, non si sostituisce il paratormone, ma si agisce più a valle, cercando di reintegrare il calcio che l’organismo non riesce ad assorbire e regolare autonomamente».

Anche se imperfetta, questa terapia è stata per lungo tempo l’unica disponibile: in molti pazienti consente un buon controllo dei sintomi, ma richiede continui aggiustamenti, perché i livelli di calcio e fosforo nel sangue tendono a fluttuare. «Proprio per questa instabilità, è importante che il trattamento sia seguito in centri specializzati, dove si possa monitorare attentamente l’evoluzione della malattia», raccomanda la professoressa Mantovani. «Se mal gestita, infatti, la terapia convenzionale può causare complicanze, in particolare a carico dei reni, dove un’eccessiva eliminazione di calcio attraverso le urine può portare, nel tempo, a danni significativi».

Per anni si è cercato di sviluppare un trattamento più mirato, che agisse direttamente sulla causa del disturbo, cioè la mancanza di paratormone. «Dopo una lunga alternanza di promesse e delusioni, oggi ci troviamo in una fase di rinnovata speranza», riferisce l’esperta. «Una nuova molecola, il palopegteriparatide, ha superato tutte le fasi di sperimentazione clinica, ottenendo l’approvazione sia da parte della FDA negli Stati Uniti che dell’EMA in Europa. In molti Paesi è già in uso, mentre in Italia si è ancora in attesa della decisione dell’AIFA in merito alla rimborsabilità».

Nel frattempo, in alcuni casi selezionati viene utilizzata anche la teriparatide, un farmaco nato per il trattamento dell’osteoporosi, che rappresenta solo un frammento dell’ormone naturale. «Purtroppo la sua azione è molto breve e l’impiego a dosaggi superiori rispetto a quelli previsti per l’osteoporosi solleva dubbi sulla sicurezza, perché non è stato studiato specificamente per questa condizione», tiene a precisare l’esperta. «Viene quindi riservato solo ai casi più difficili, quando non ci sono altre alternative disponibili».

In definitiva, la gestione dell’ipoparatiroidismo è una sfida continua. Non si può parlare di guarigione, ma si può puntare a un buon controllo dei sintomi e, soprattutto, alla prevenzione delle complicanze a lungo termine. «Questo aspetto è fondamentale, perché si tratta di una malattia cronica, che accompagna il paziente per tutta la vita», conclude la professoressa Mantovani. «Le terapie devono essere efficaci non solo nel breve periodo, ma anche sicure nel lungo corso. È proprio per questo che l’attesa di nuove opzioni terapeutiche rappresenta non solo una speranza, ma una necessità concreta per migliorare la qualità di vita di chi convive con questa patologia».


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