Incontinenza: le terapie dolci

Le piccole perdite involontarie di pipì possono essere curate anche con metodi non invasivi. Ecco i trattamenti soft consigliati dagli esperti



Se è lieve, ti propongono gli esercizi di riabilitazione del pavimento pelvico, con o senza biofeedback: il sistema elettronico che, grazie a dei segnali sonori e visivi, ti guida alla corretta rieducazione muscolare.

Se, invece, soffri di incontinenza urinaria grave, ti prescrivono i farmaci anticolinergici, che devono essere assunti tutti i giorni e, per di più, sono a pagamento. Eppure esistono altri metodi non invasivi per dire stop alle perdite involontarie che ti gettano nell’imbarazzo.

Con l’aiuto dei nostri esperti scopri quali sono le alternative dolci per riuscire a controllare la vescica iperattiva.

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PRP SE I TESSUTI INTORNO ALL'URETRA HANNO PERSO TONO

Si chiama prp (plasma rich platelet) la tecnica di medicina rigenerativa che mira a restituire tono, spessore ed elasticità ai tessuti che circondano l’uretra: nella post-menopausa queste fibre tendono ad assottigliarsi e rilassarsi, non offrendo più un adeguato sostegno alla vescica.

«Già utilizzata con successo in diversi ambiti clinici (ginecologico, ortopedico, angiologico e dermatologico), la prp come trattamento d’elezione contro l’incontinenza vanta diversi studi scientifici, tra cui quelli del professor Kiriakos Nikolopoulos che nel marzo 2016 sulla rivista Urogynaecologia International Journal ha dimostrato come riesca a “ristrutturare” i legamenti pubo-uretrali», spiega il professor Giuseppe Sito, specialista in urologia e chirurgo plastico a Napoli, Torino e Milano.

«Consiste nel prelevare un piccolo campione di sangue e centrifugarlo con un apposito apparecchio certificato per separare la parte bianca (il plasma) dai globuli rossi.

Dopo aver lasciato agire per 20 minuti una crema anestetica, il plasma viene quindi iniettato con un sottilissimo ago nell’area intorno all’uretra. Bastano 3-4 microinfiltrazioni per attivare i meccanismi di rigenerazione tissutale e ringiovanire tutta la zona».

Il plasma sanguigno è infatti naturalmente ricco di piastrine, che contengono sia cellule staminali pluripotenti (pronte a differenziarsi in nuove cellule uretrali e vescical) sia fattori di crescita che rendono elastico il tessuto, combattendo secchezza e atrofia.

E se i tessuti sono tonici, anche la vescica “tiene”. Per apprezzare i risultati bastano due sedute, distanziate un mese l’una dall’altra e un richiamo annuale. Il costo di ogni trattamento è circa 400 €.

CARBOSSITERAPIA SE LA PARETE VAGINALE SI È “ABBASSATA”

Sovrappeso e obesità, sedentarietà, carenza di estrogeni e numero di gravidanze, specie se accompagnate da un parto con un travaglio lungo e laborioso: «Sono tutte condizioni che favoriscono, dopo i 50 anni, il prolasso della parete vaginale anteriore che sostiene la vescica», premette il dottor Paolo Conserva, ginecologo presso l’ospedale di Varese e la Salutati Clinic di Milano.

«Così, in maniera progressiva ma inesorabile, anch’essa comincia a scivolare verso il basso, mentre l’angolo tra la vescica e l’uretra si modifica favorendo il ristagno di pipì». Non svuotandosi mai del tutto, l’organo si riempie velocemente e la donna avverte un continuo stimolo, andando incontro a piccole (e incontrollabili) perdite.

Il primo consiglio? Bere molta acqua e imporsi di andare alla toilette più volte al giorno, anche se non “scappa”. Il secondo? Fare degli esercizi di ginnastica vescicale, provando a interrompere e riprendere il flusso urinario.

«La terza strategia consiste nel programmare un ciclo di carbossiterapia, microiniezioni di anidride carbonica riscaldata da effettuare, previa pomata anestetica, a livello dei genitali esterni, dei tessuti posti all’entrata della vagina e della parete vaginale anteriore. Da lì il benefico gas si diffonde esercitando diverse funzioni.

Restituisce tono, turgore e idratazione ai tessuti di sostegno della vescica, blocca le sostanze infiammatorie che favoriscono le infezioni urinarie e rinforza le pareti dei capillari».

Uno studio compiuto su 72 donne tra i 34 e i 68 anni dall’università di Città del Capo dimostra che questo prezioso gas attiva l’angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono e ossigenano le delicate parti intime.

Si consiglia un ciclo di 3 sedute, distanziate 15 giorni l’una dall’altra, e poi una al mese per tre mesi (100-120 € l’una). Informazioni su: carbossiterapia.it.

OSSIGENO-OZONOTERAPIA SE LA COLPA È DELLE CISTITI RICORRENTI

Spesso l’incontinenza urinaria è la diretta conseguenza di infezioni alle vie urinarie. Le cistiti recidivanti, infatti, diventano resistenti agli antibiotici a largo spettro causando l’infiammazione della vescica e del canale uretrale.

«L’ossigeno-ozonoterapia vanta proprietà disinfettanti contro virus, funghi e batteri. Fatto molto importante se si pensa che oltre l’80% delle cistiti sono dovute all’Escherichia Coli, un batterio di origine intestinale», esordisce la dottoressa Angela Maio, ginecologa esperta di terapie naturali presso il Centro Postura di Milano.

«La miscela di ossigeno e ozono viene somministrata in maniera indolore attraverso una coppa di vetro appoggiata sul pube, dal quale fuoriesce un sottilissimo catatere che eroga i gas all’interno della vagina.

Volendo, è possibile utilizzare anche un cateterino vescicale o rettale per un’azione più mirata. La seduta, che dura 10 minuti in tutto, dà subito i suoi benefici, anche se è consigliabile un ciclo di sei, a cadenza bisettimanale (60 € l’una)».

E per le infezioni urinarie più ostinate? «Si può ricorrere alla cosiddetta grande autoemoinfusione», risponde il professor Marianno Franzini, presidente della Società Italiana di ossigeno-ozonoterapia.

«È il prelievo e la reinfusione, nella stessa seduta, di un campione di sangue arricchito della miscela di ossigenoozono. Tre sedute e addio disturbi urinari».

BOTULINO: OK ANCHE PER LE FORME LIEVI

Fino a ieri la tossina botulinica veniva utilizzata solo in ambito ospedaliero, per combattere l’incontinenza urinaria di chi aveva lesioni neurologiche. «Oggi, invece, è possibile iniettare microdosi di tossina botulinica di tipo A anche per curare le piccole perdite di pazienti sostanzialmente sani», spiega il professor Pietro Saccucci, primario di ginecologia presso l’ospedale San Filippo Neri di Roma.

«L’iniezione è veloce, indolore e mira a paralizzare le vie di trasmissione nervosa che consentono al detrusore (il muscoletto interno alla vescica) di contrarsi. In questo modo si indebolisce e lo stimolo a fare la pipì diventa meno impellente». Il trattamento può essere eseguito con il SSN e va ripetuto ogni 5-6 mesi».

Articolo pubblicato sul n.46 di Starbene in edicola dall'1/11/2016

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