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Tac, radiografie & Co. Tutto ciò che devi sapere

Alcuni esami emettono radiazioni che possono causare qualche preoccupazione per i pazienti. Scopri quali sono quelle davvero pericolose e come si può correre ai ripari

Foto: iStock



Nonostante l’appello delle società scientifiche a farne un uso più prudente, crescono i pazienti che ricorrono alle indagini radiologiche e di medicina nucleare a scopo preventivo o diagnostico, come sostiene uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association.

La ricerca fa riferimento alla situazione negli Usa e in Canada, ma la corsa agli esami di diagnostica per immagini coinvolge tutti, anche noi europei, e si traduce in una dose di radiazioni che viene spesso assorbita inutilmente.

C’è da preoccuparsi? Lo abbiamo chiesto al dottor Michele Stasi, direttore della Struttura complessa di fisica sanitaria dell’Azienda ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino, presidente dell’Associazione italiana di fisica medica.


Le radiazioni sono tutte uguali?

No, si dividono in due grandi categorie: non ionizzanti e ionizzanti. Sono entrambe onde elettromagnetiche, ma a differenziarle è la quantità di energia che trasportano e le modalità di rilascio ed effetto sull’organismo. Le prime sono sfruttate per le risonanze magnetiche o i trattamenti laser, ad esempio. Le seconde, invece, permettono di ottenere immagini statiche (radiografie, mammografie), valutare l’evoluzione dinamica nel corpo di un mezzo di contrasto (Tac, Pet, scintigrafie),
oppure esercitare un’azione terapeutica (radioterapia, adroterapia).


Sono tutte pericolose?

Quelle non ionizzanti sono prive di rischi particolari: il loro principale effetto biologicoè il riscaldamento dei tessuti, che però non risulta pericoloso; al contrario, le radiazioni ionizzanti hanno un maggiore contenuto energetico, sono in grado di penetrare attraverso i tessuti ma, a causa della loro intensità, possono rompere i legami fisici, chimici e biologici delle cellule fino ad agire sul Dna, danneggiandolo talvolta in maniera irreversibile. Si tratta di un’ipotesi remota nelle indagini mediche, ma è giusto sapere che aumentano il rischio di sviluppare un tumore, anche a distanza di 10-15 anni.

Chi è più a rischio?

Bambini e ragazzi fino a 18 anni: in questa fase della vita la divisione cellulare, cioè la scissione di una cellula in due o più cellule “figlie”, è accelerata, perché sta alla base del processo di crescita del corpo. Questo meccanismo, che diminuisce nel tempo, rende quelle stesse cellule più vulnerabili agli stimoli esterni, radiazioni comprese.


Ci sono organi più sensibili di altri?

Sì, midollo osseo e tiroide. Non a caso, alcune forme di leucemia e il cancro di questa ghiandola sono i tumori che si verificano più frequentemente nelle persone esposte alle radiazioni ionizzanti. Ma sono sensibili anche mammella, polmone, stomaco e colon.


Esiste un valore sotto il quale si può stare tranquilli?

Nessuna organizzazione internazionale ha mai indicato un limite di sicurezza per i pazienti. Ma è certo che il rischio aumenta con il salire della cosiddetta dose assorbita, la parte di radiazioni che rimane nei tessuti dopo aver “attraversato” il corpo durante l’indagine. Ripetere degli esami radiologici a distanza ravvicinata innalza quel valore.

Come ci si può difendere?

In medicina vale la regola del rapporto fra rischio e beneficio: quando una procedura è giustificata da un sospetto clinico reale e può condurre a una diagnosi o a una terapia salvavita, le radiazioni ionizzanti non vanno temute. L’importante è non eccedere: secondo la Società italiana di radiologia medica, circa il 40% delle indagini radiologiche prescritte in Italia
è parzialmente o totalmente ingiustificato. Inoltre, dopo gli esami che utilizzano radiofarmaci come Pet o scintigrafie ossee, epatiche, renali, cerebrali, cardiache oppure tiroidee, si resta debolmente radioattivi per un certo numero di ore. In quel periodo, indicato di norma dal medico che effettua l’esame, è importante evitare contatti stretti e prolungati con le altre persone.

Quindi bisogna preoccuparsi o no?

Meglio evitare di allarmarsi. Teniamo conto che la probabilità di sviluppare un tumore a causa di queste radiazioni è sicuramente inferiore rispetto ad altri fattori di rischio, come l’inquinamento atmosferico, il fumo di sigaretta o una dieta ricca di grassi.


Novità nei referti

Dal 2020, in base alla Direttiva 2013/59/Euratom, le apparecchiature che utilizzano radiazioni ionizzanti dovranno essere dotate di un dispositivo che ne misura la dose emessa. Questo valore verrà poi registrato e inserito nei referti. Una soluzione che consentirà ai medici di tagliare le prestazioni non strettamente necessarie e ai pazienti di aumentare la propria sensibilità in materia.



Le indagini più comuni

Ogni anno siamo esposti naturalmente a 3,5 mSv (milliSievert, l’unità di misura della dose di radiazioni assorbite). A essi si sommano quelle ionizzanti emesse dagli esami più comuni: ecco i valori medi della dose efficace.

0,1 - Radiografia del cranio

0,4 Mammografia

0,0001 - 0,005 - Radiografia del ginocchio o altre estremità

6 - Tac della colonna vertebrale

1-16 - Tac del torace

6-8 - Tac dell’addome

16 - Angio Tac coronarica


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Articolo pubblicato sul n. 45 di Starbene in edicola dal 22 ottobre 2019


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