Angioplastica coronarica con palloni medicati: vantaggi e utilizzo

In caso di angioplastica coronarica, si può ricorrere a uno speciale “palloncino” che riapre il tratto vascolare occluso e rilascia un farmaco che contrasta le recidive



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Un coagulo di sangue o una placca di colesterolo possono restringere le arterie coronariche, cioè i vasi sanguigni che conducono al cuore il sangue, l’ossigeno e le sostanze nutritive. A quel punto, il cuore smette di ricevere un adeguato apporto di sangue ossigenato, soprattutto nelle condizioni in cui ne occorrono maggiori quantità, per esempio durante l’esercizio fisico oppure in caso di stress emotivo, quando il muscolo cardiaco deve contrarsi più rapidamente. Così, compare il tipico dolore al petto (angina pectoris), che può trasformarsi in un evento grave – o addirittura fatale – quando si verifica una chiusura completa di una o più arterie coronariche, sfociando nell’infarto miocardico.

«Per riaprire la coronaria occlusa, si ricorre normalmente all’angioplastica coronarica, che prevede l’impianto di uno stent, un tubicino metallico in grado di ricostituire un passaggio per il flusso sanguigno», spiega il professor Bernardo Cortese, cardiologo interventista e presidente del Comitato scientifico della Fondazione Ricerca e Innovazione Cardiovascolare. «Da qualche anno, un’alternativa agli stent è rappresentata dai palloni medicati, che rilasciano farmaci e tengono aperte le arterie occluse».

Cosa sono i palloni medicati

Apparsi sul mercato europeo della cardiologia interventistica nel 2007, i palloni medicati (drug-coated balloons, DCB) sono dispositivi che agiscono in due modi: dilatano il restringimento coronarico, ripristinando la circolazione del sangue, e rilasciano un particolare farmaco sulla parete del vaso, che riduce la possibilità di formazione di nuove placche aterosclerotiche.

«A differenza degli stent, però, i palloni medicati non lasciano alcun corpo estraneo permanente all’interno dell’arteria, perché vengono sfilati al termine della procedura», descrive il professor Cortese. «Soprattutto negli ultimi due anni, questa tecnica si è diffusa in maniera esponenziale in tutto il mondo grazie a una serie di vantaggi».

Come funzionano i palloni medicati

Attraverso l’arteria radiale del polso, si inserisce una cannula di materiale plastico (catetere) che viene fatta scorrere fino al punto in cui origina la coronaria: si avanza, poi, con un filo “guida” metallico microscopico, fino a raggiungere e oltrepassare l’ostruzione, individuata mediante un controllo radiologico. Su questo filo viene fatto passare uno speciale palloncino dalla forma cilindrica (lungo dai 10 ai 40 millimetri), che – una volta gonfiato a pressione controllata – “schiaccia” la placca contro la parete dell’arteria e ripristina in modo più o meno completo il lume del vaso, che diventa più ampio.

«In più, rilascia un particolare farmaco che blocca le cellule e contrasta nuove occlusioni, prima di essere sfilato dall’arteria», aggiunge il professor Cortese. Il principio attivo si chiama Paclitaxel, un agente antineoplastico (infatti è indicato anche per il trattamento iniziale del cancro della mammella localmente avanzato o metastatico) che, grazie alle sue proprietà anti-proliferative, fa in modo che la placca aterosclerotica non si riformi più.

Più recentemente, poi, è stato approvato un pallone medicato a rilascio di Sirolimus, un farmaco immunosoppressore usato per prevenire il rigetto nei trapianti d’organo: grazie all’effetto antinfiammatorio e citostatico (inibisce la crescita e la moltiplicazione delle cellule), sembra più rispettoso nei confronti della parete vasale. «La particolarità è che questi farmaci restano in sede per alcune settimane grazie a uno speciale eccipiente, che consente al principio attivo di penetrare nella parete vascolare e di restarvi all’interno», spiega l’esperto.

Quali sono i vantaggi dei palloni medicati

In linea generale, dopo l’inserimento di uno stent, possono verificarsi due eventi avversi: può svilupparsi una trombosi (lo stent si richiude perché si forma del materiale trombotico che va a otturare il tubicino) oppure può insorgere la cosiddetta restenosi (il tessuto di rivestimento interno del vaso sanguigno ricresce intorno allo stent, richiudendo la protesi metallica).

«Stando agli studi scientifici, il tasso di occlusione post intervento si attesta intorno al 2-3 per cento negli anni successivo al primo, quando il pericolo è ancora maggiore, pari circa al 5-8 per cento», avverte l’esperto. Quello che si vuole ottenere con i palloni medicati è conquistare una quiescenza di questi eventi. «A tal proposito, nello studio Piccoleto II pubblicato nel 2023, abbiamo dimostrato un aspetto interessante: trascorsi i primi 18 mesi dall’intervento, durante i quali si equivale il tasso di eventi avversi sia nel caso degli stent sia dei palloni medicati, con i secondi si assiste a un appiattimento di questa curva nel periodo successivo».

Peraltro, un ulteriore vantaggio dei palloni medicati è legato al fatto che, qualora si debba reintervenire, è più facile agire chirurgicamente senza la presenza di uno stent, formato da maglie che creano una vera e propria impalcatura all’interno del vaso, non così facile da attraversare.

Cosa dice la scienza

Sul tema del pallone medicato come valida e più moderna alternativa allo stent, uno degli studi internazionali più importanti è Transform II, gestito dalla Fondazione Ricerca e Innovazione Cardiovascolare, per cui sono stati arruolati pazienti tra Europa, Asia e, di recente, anche Sud America. L’estensione, ormai mondiale, dello studio – attualmente in corso – punta a confermare la validità della metodica.

Un altro studio, pubblicato nel 2023 sul Journal of the American Heart Association, ha dimostrato nel frattempo un ulteriore vantaggio. «Mentre l’angioplastica tradizionale impone al paziente di seguire una duplice terapia antiaggregante piastrinica per prevenire lo sviluppo di una trombosi di stent e preservare il normale flusso di sangue al cuore post-intervento, con il pallone medicato è possibile utilizzare un solo antiaggregante», riferisce il professor Cortese. «E questo diventa fondamentale per un’ampia platea di pazienti, per esempio oncologici, anemici o emorragici».

Nel mese di marzo 2024, inoltre, il professor Cortese presenterà in anteprima mondiale, a Washington, i risultati dello studio Andromeda, che raggruppa tutti gli studi mai pubblicati sul confronto tra palloni medicati e stent con follow-up a tre anni.

Le altre applicazioni

I palloni medicati sono una delle principali alternative terapeutiche anche per l’arteriopatia obliterante periferica, nota anche come Pad, dall’inglese Peripheral artery disease, dove chi ne soffre manifesta la cosiddetta claudicatio intermittens (zoppicamento discontinuo), che obbliga a fermarsi spesso, talvolta dopo pochi metri di camminata, a causa di un dolore crampiforme che solitamente esordisce dal polpaccio e poi prosegue, salendo, lungo tutta la gamba: in questo caso, l’angioplastica va eseguita sull’arteria femorale superficiale, dove gli stent hanno dimostrato invece diverse limitazioni.

«Con il tempo cercheremo di esplorare nuove potenzialità, per esempio nelle lesioni a carico del tronco comune, la parte più grossa delle arterie coronariche: al momento non esistono dati scientifici a riguardo, per cui si sconsiglia l’utilizzo dei palloni medicati su quei tratti», conclude il professor Cortese. «Lo stesso vale per le occlusioni croniche totali, dove la completa chiusura del lume è presente da almeno tre mesi, per cui l’alternativa agli stent viene utilizzata solamente dai chirurghi più esperti. In questa direzione sta andando il nostro studio Piccoleto III, che di certo fornirà dati scientifici solidi anche su queste condizioni».


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