Anemia sideropenica (da carenza di ferro): chi è a rischio e come curarla

L’anemia da carenza di ferro ha effetti importanti sulla salute. Scopri quando si è più a rischio e come fare per ritrovare il benessere



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Pallore, fatica e, in alcuni casi, punte di irritabilità: un copione ben noto alle donne che, complici le mestruazioni molto abbondanti, soffrono di anemia sideropenica. Non sono però i soli sintomi tipici di un deficit di ferro. Inoltre la carenza del minerale non dipende esclusivamente da un flusso extra. «È in agguato anche durante la gravidanza e può farsi strada con la complicità di alcune malattie infiammatorie croniche dell’intestino come la colite ulcerosa, il morbo di Crohn o la celiachia che riducono l’assorbimento del ferro», spiega la dottoressa Elisa Nescis, ematologa all’ospedale Cardinale Panico di Tricase, Lecce. E le conseguenze pesano su tutta la salute.


Durante l’età fertile

Almeno 1 donna su 3 in età fertile ha una carenza di ferro e sintetizza nuovi globuli rossi poveri di emoglobina, meno efficienti nel trasportare ossigeno a tutte le cellule. «A farne le spese sono soprattutto cuore e muscoli, ma anche i livelli di energia e le normali funzioni cerebrali vanno a terra», spiega la nostra esperta.

«In agguato: mal di testa, sonno discontinuo, fiato corto, vertigini e capogiri, mani e piedi immancabilmente freddi, unghie e capelli fragili, il battito del cuore che accelera senza un perché». Ma è soprattutto la fatica a farla da padrona perché, stando ai dati dell’Oms, con poco ferro, le capacità fisiche si riducono di ben il 30%. Anche il desiderio sessuale scende ai minimi storici: il minerale entra nella sintesi della dopamina, sostanza fondamentale per il movimento, la memoria e il pensiero logico, ma importante pure per aumentare la voglia di fare e di amare.


Più attenzione in gravidanza

Particolarmente delicati i 9 mesi d’attesa, durante i quali il fabbisogno di ferro sale dai circa 18 mg al giorno suggeriti in età fertile a 27 mg.

«Se la dieta pre-concepimento garantisce quantità sufficienti del minerale, l’organismo della donna ha risorse adeguate per far fronte alla gravidanza. Ma se si parte già in deficit, è molto probabile che le riserve terminino fra la 12a e la 25a settimana», avverte l’esperta.

Di conseguenza aumentano i rischi anche per il piccolo: «Se l’anemia è importante e prolungata, l’eventualità che il bebè nasca prima del tempo raddoppia, mentre quella che abbia un peso basso alla nascita triplica. Ed è a rischio anche il corretto sviluppo del suo sistema nervoso centrale, con la possibilità che il bambino, una volta più grande, possa avere ritardi nell’apprendimento. Senza dimenticare che se lo stato anemico persiste o si instaura anche dopo la nascita del piccolo, situazione più facile in caso di gravidanze multiple, parti gemellari o cesarei, aumentano i rischi che la neo mamma rimanga vittima di ansia o depressione post partum», mette in guardia l’ematologa.


Tieni d’occhio i valori nel sangue

In caso di flusso abbondante, prima e durante la gravidanza o se si soffre di malattie che riducono l’assorbimento del ferro, è importante mettere in nota alcuni esami del sangue. «Come un dosaggio di emoglobina, sideremia (il ferro circolante), transferrina e ferritina (cioè quello di deposito)», suggerisce Nescis.

«Se i loro valori sono sotto i livelli di guardia, il primo rimedio è mettere in tavola ogni giorno almeno uno degli alimenti che sono più ricchi di ferro: carne di manzo e di vitello, fagioli, ceci, frutta secca, radicchio, rucola e spinaci, sapendo che per coprire il normale fabbisogno quotidiano bastano per esempio 200 g di radicchio, o poco più di 150 g di fagioli freschi. Il ferro più assimilabile, però, è quello contenuto nelle carni, mentre quello d’origine vegetale lo diventa con la collaborazione della vitamina C. Importante, perciò, spruzzare le verdure con qualche goccia di limone, prima di consumarle.

«Se l’alimentazione non basta, si può ricorrere a un integratore, meglio se arricchito con vitamina C, B12 e acido folico», suggerisce Nescis.


Nei casi più gravi largo ai farmaci

Quando l’anemia dovuta alla carenza da ferro è importante, si ricorre ai farmaci per bocca, prescritti dal medico: da 100 a 200 mg al giorno utilizzando prodotti a basso rilascio, che interferiscono meno con le funzioni intestinali. Se questi non bastano, diventa necessaria una cura per via endovenosa, da eseguire negli ambulatori di terapia marziale, attivi in molti ospedali o affiancati ai centri trasfusionali. Da proseguire sotto controllo medico sino ad avere reintegrato i depositi del minerale.


A rischio anche i cardiopatici

Circa la metà dei pazienti cardiopatici ha un’anemia. La colpa? È dello stato infiammatorio legato alla malattia, ma anche di medicinali anticoagulanti e antiaggreganti (tipo l’aspirinetta, per esempio), che facilitano la riduzione del minerale. Una situazione aggravata dal fatto che bassi livelli di ferro possono ridurre la capacità di esercizio fisico, fra le abitudini utili per mantenere in buone condizioni la funzionalità cardiaca. Proprio per queste ragioni chi soffre di patologie cardiovascolari deve fare maggiore attenzione all’integrazione di ferro.


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