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Tumori dell’ovaio e delle cervice uterina: le novità dal congresso

Le novità che arrivano dall’ultimo congresso mondiale di oncologia dell’ASCO, che si è tenuto a Chicago, fanno ben sperare per la terapia dei tumori dell’ovaio e della cervice uterina. Le nuove terapie che possono cambiare la qualità di vita

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Sono proprio belle le novità che arrivano dall’ultimo congresso mondiale di oncologia dell'ASCO, American Society of Clinical Oncology, che si è tenuto a Chicago, dal 3 al 7 giugno 2022. E fanno ben sperare per la terapia dei tumori dell’ovaio e della cervice uterina. Dati alla mano, le nuove diagnosi ogni anno in Italia sono rispettivamente circa 5.200 e 2.400. «La ricerca sta facendo passi da gigante e oggi abbiamo a disposizione terapie che cambiano la qualità di vita delle pazienti», sottolinea Domenica Lorusso, professore associato di ostetricia e ginecologia all’Università Cattolica e Responsabile della Ricerca Clinica del Policlinico Gemelli di Roma. «Ma, rimane fondamentale per la cura di queste malattie la necessità di affidarsi a un Centro specialistico dove si ha esperienza nella gestione di questi tumori».


Le novità per il tumore ovarico

La cura del tumore ovarico è cambiata in positivo qualche anno fa con l’arrivo di una classe di farmaci chiamati PARP inibitori, olaparib e niraparib, che hanno dimostrato di ridurre il rischio di recidiva di malattia sia nelle pazienti portatrici della mutazione BRCA sia in tutte le forme di tumore ovarico di alto grado, in stadio avanzato. Ma la ricerca è andata avanti e ora è arrivata una nuova molecola della stessa famiglia, il rucaparib che nello studio Athena-mono ha dimostrato la capacità di ridurre il rischio di recidiva in maniera significativa nel tumore ovarico allo stadio III-IV. «Funziona in tutte le pazienti, indipendentemente dal profilo molecolare della malattia», chiarisce la professoressa Lorusso. «La terapia inoltre, ha un tasso di risposta del 50% sulla malattia residua, cioè sulle cellule tumorali ancora presenti nonostante il trattamento chemioterapico».

Apre invece nuove prospettive di ricerca e cura, lo studio che ha come oggetto un anticorpo monoclonale di ultima generazione, al momento sviluppato per il tumore ovarico. «Relacorilant blocca un particolare recettore attivato dal cortisolo, l’ormone dello stress», chiarisce la professoressa Lorusso. «Quando attivato, questo recettore si associa a una maggiore aggressività della malattia e resistenza alla chemioterapia. Ora sta per iniziare un nuovo studio europeo che coordinerò insieme al mio gruppo di ricerca: il farmaco è per il carcinoma ovarico, ma la mia supposizione è che in futuro possa esserne ampliato l’utilizzo anche ad altre forme tumorali».


Nuove speranze per il tuomore della cervice uterina

Qui al centro dell’interesse c’è tisotumab vedotin, un farmaco dal nome complicato che fa parte di una generazione di molecole molto innovative. È infatti un ADC, cioè un anticorpo monoclonale che grazie a una nuova tecnologia sofisticata, raggiunge in modo mirato le cellule tumorali e le uccide. «Sentiremo parlare molto di questa terapia perché sta fornendo risultati promettenti», sottolinea la professoressa Lorusso. «Oggi per le pazienti con il tumore alla cervice in fase avanzata, non abbiamo molte armi a disposizione quando l’immunoterapia non dà risultati positivi. Con questa terapia, invece, apriamo a nuove possibilità. Inoltre, ha la peculiarità di agire bene in combinazione con altri farmaci come il carboplatino o il pembrolizumab con percentuali di risposta, a seconda della molecola utilizzata in associazione, che vanno dal 38 al 55%». È un farmaco che può causare problemi di tossicità di tipo oculare e neurologico. «La paziente deve essere seguita con molta attenzione con esami mirati e in centri competenti, in modo da cogliere tempestivamente i primi segni di tossicita’ e intervenire subito», dice la professoressa Lorusso.


Più a rischio di trombosi con le neoplasie ginecologiche

Riflettori puntati infine anche sull’eparina a basso peso molecolare. Questo farmaco ha un ruolo importante. «Gli studi ci hanno dimostrato che in caso di neoplasia, il rischio di trombosi aumenta di quattro volte rispetto a una persona sana e peggiora ulteriormente in caso di interventi chirurgici, chemioterapia, ormonoterapia, farmaci biologici e in presenza di cateteri venosi centrali», chiarisce la professoressa Lorusso.

«Per questo, la nostra attenzione deve essere massima, soprattutto per le neoplasie ginecologiche, che espongono a un rischio elevato di trombosi. Ma già possiamo fare molto per la prevenzione degli eventi tromboembolici. Sappiamo ad esempio che l’età avanzata della paziente, il peso corporeo eccessivo, il tumore stesso, sono fattori da tenere in considerazione in caso di intervento chirurgico ginecologico, in modo da prescrivere la terapia eparinica più corretta».


La prevenzione

Ancora oggi, si parla poco delle forme di tumore ginecologico. Eppure colpiscono donne di ogni età, portando con sé problemi e cambiamenti radicali nella vita. «Va indubbiamente potenziata l’informazione, la prima arma per agire di anticipo», sottolinea la professoressa Lorusso.  «Intanto, chiedere che venga fatta anche l’ecografia insieme alla visita ginecologica, perché l’esplorazione manuale non è mai altrettanto dettagliata. È un esame importante, ma ancora sottovalutato: spesso, le mie pazienti mi dicono che l’ultima ecografia risale alla gravidanza. L’altro esame fondamentale è il pap-test perché è l’unico modo per diagnosticare precocemente le lesioni precancerose.

Il tempo gioca da padrone: l’impossibilità a proseguire con i controlli, a causa del periodo difficile che tutti abbiamo vissuto e il timore più che naturale a entrare in un ambiente ospedaliero, hanno determinato un ritardo diagnostico che dobbiamo recuperare in fretta. Ultima, ma non meno importante, potenziare le informazioni relative alla vaccinazione anti-papilloma virus che protegge dal rischio di carcinoma uterino. Purtroppo, in Italia hanno completato il ciclo vaccinale anti-HPV il 63,84% delle ragazze, numeri bassi e ben lontani dagli obiettivi del 95%, previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019».


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