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Autismo: tre centri specializzati

Sono piccole comunità in cui si possono far emergere le potenzialità dei ragazzi. Scopri dove sono e cosa propongono

credits: iStock




Chissà perché la sindrome dello spettro autistico è ancora circondata da un alone di mistero. Eppure, secondo gli ultimi dati della Spi (Societa italiana di psichiatra) sono più di 200 mila le persone che ne soffrono. In forme più o meno gravi. 

Bambini e adolescenti, soprattutto, che poi crescono e rischiano di essere emarginati da una società sempre più esigente in termini di performances intellettuali. Per offrire a loro un’opportunità di riscatto, sono sorte delle comunità che non trattano gli autistici come degli enigmi umani.

Ma come persone che, se guidate, sono in grado di far emergere le proprie potenzialità inesplorate. Per lavorare, socializzare e, perché no, divertirsi a una festa. Ecco tre “fari” nel panorama italiano.


Nell'Oltrepò pavese tra orto, stalla e laboratori

Non “agganciano” quasi mai lo sguardo degli altri. Però interagiscono nelle varie attività di gruppo studiate per sviluppare la socialità: ortocultura, ceramica, tessitura, laboratori artistici e artiginali, persino giochi di squadra come il basket.

Siamo alla Cascina Rossago, un’ex azienda agricola ristrutturata situata a San Ponzo Semola, sulle verdi colline dell’Oltrepò Pavese che strizzano l’occhio a quelle emiliane. Qui risedono 24 adulti affetti da un disturbo autistico grave, che altrove non troverebbero un futuro né un presente.

La cascina è diventata la loro casa, e al contempo un luogo di cura e di lavoro dove possono beneficiare di un percorso di integrazione che li rende in grado di realizzare oggetti vendibili al mercato.

«Tenendo presente che il tempo di attenzione, come nei bambini, è molto breve abbiamo studiato delle attività basate su movimenti stereotipati e ripetitivi, intervellati da pause», spiega Stefania Ucelli, psichiatra e direttrice della Cascina Rossago.

«Ripetere la stessa sequenza di movimenti rassicura, così come tutte le routine quotidiane: tessere una coperta al telaio, forgiare e dipingere vasi, raccogliere fragole o patate, accudire gli alpaca, suonare le percussioni o passeggiare tutti i giorni tra boschi e filari di viti.

Per aiutare i nostri ospiti a rompere l’isolamento in cui si autoconfinano abbiamo creato il gruppo degli stallieri, quello della ceramica, quello dei musicisti e altri ancora». Non tutti, però, sono sempre in vena di partecipare. Può capitare che Marco resti in un angolo con le braccia alzate davanti al viso come per proteggersi da nemici. O che Lorenzo continui ad avvolgere un’invisibile matassa, mentre Giorgio parla solo di auto, la sua passione/ossessione. Casi isolati di momenti “no”, che non inficiano il successo del metodo basato sullo stare insieme.

«Anni fa è arrivata una donna di 35 anni, prigioniera del suo mutisimo», dice Ucelli. «Nell’istituto religioso dove era ricoverata non parlava con nessuno e passava le giornate nell’inerzia. Ricordando le jam session del padre, ha rispolverato il pianoforte e ora suona, compone e si esibisce in teatro».


Ad Arezzo la carta vincente sono le cooperative

Coltivazioni di frutta ed ortaggi, rivenduti in cassetta, assemblaggio e imbustamento di bigiotteria e monili d’argento... E poi tanto movimento: dal basket al nuoto, dalla pallavolo ai balli caraibici. E c’è persino un bar interno dove gli ospiti si alternano a prendere ordinazioni e mixare cocktail colorati.

«Cerchiamo di sviluppare l’autonomia e la competenza linguistica, cioè la capacità di usare il linguaggio in modo appropriato per comunicare», spiega la Roberta Ghiglioni, psicologa responsabile dell’Istituto di riabilitazione Agassi, situato in collina a due chilometri da Arezzo.

«La nostra carta vincente? Avere contattato le cooperative sociali di tipo B (quelle con l’obbligo di inserire una certa percentuale di persone disabili) più vicine a noi. E così, i nostri ospiti giocano e si allenano nelle palestre delle cooperative sportive, mentre alcuni ragazzi hanno trovato lavoro nei ristoranti in zona: sono inseriti, integrati e percepiscono regolare stipendio».


Nel centro di Roma, s'impara a dialogare con i cavalli 

Il progetto d’inserimento lavorativo anima anche l’Emozione non ha voce, onlus nata nel 2012 per iniziativa di un gruppo di genitori. Ha sede a Roma, ai Parioli, dentro il maneggio di Villa Glori, dove i ragazzi autistici si dedicano dell’accudimento dei cavalli, vanno al trotto, fanno lavori di cantieristica: riparare una staccionata o tinteggiare una stalla.

«Alcuni, invece, si dilettano in cucina e diventano bravi cuochi, mentre altri coltivano frutta e verdura o confezionano e spediscono l’olio, il vino o l’aceto balsamico di aziende agricole doc», spiega Laura Traina, psicologa e tecnico della riabilitazione equestre del Centro.

«Il rapporto con i cavalli è terapeutico: prendersi cura di qualcuno quando tutti pensano che siano loro a dover essere curati ha risvolti positivi sull’autostima. L’importante è aiutarli a tirare fuori le proprie attitudini, a esprimersi al meglio in vista di un lavoro capace di regalare loro un’identità». Alla sera, però, tornano a casa. «A nostro avviso, non devono essere sradicati dalle loro famiglie», dice Traina. L’amore di un padre o una madre non ha pari. 


Questo grande sconosciuto

Gli esperti sono tutti d’accordo: non esiste una sola causa della malattia, ma tante cause e  altrettante ipotesi ancora allo studio. «Spesso a monte si riscontrano delle alterazioni genetiche, ma così disparate da non poter essere di norma indagate a fini diagnostici», spiega il dottor Paolo Orsi, psichiatra presso la Cascina Rossago.

«Può presentarsi, inoltre, associata a malattie quali la sclerosi tuberosa, la sindrome di Down e varie forme di encefalopatie. In alcuni casi, le indagini strumentali hanno anche evidenziato un alterato funzionamento e coinvolgimento delle diverse aree cerebrali, come svelano le moderne tecniche di neuroimaging. Ma in molti altri casi non si è evidenziato niente di patologico».

Tra le ipotesi al vaglio, c’è l’esposizione della madre a sostanze tossiche durante la gravidanza. Scagionate, invece, le vaccinazioni: non c’entrano nulla. 


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Articolo pubblicato sul n. 29 di Starbene in edicola dal 4/7/2017


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