hero image

Atleti paralimpici: Alex Zanardi ci racconta la sua ultima impresa automobilistica

Il pilota e campione paralimpico ha gareggiato sul circuito di Misano senza protesi, con tutti i comandi sul volante. L’ennesima sfida vinta. Ma solo per averne presto un’altra

Ansa/EPA/JENS BUTTNER



di Giovanni Capuano


L’ultima sfida vinta da Alex Zanardi è stata guidare un bolide da 300 km/h solo con le mani, senza l’ausilio delle protesi  che lo sorreggono da 17 anni, ovvero dal giorno dell’incidente in Germania in cui rischiò la vita e si trovò amputato degli arti inferiori.

L’impresa del cinquantunenne pilota e campione paralimpico è avvenuta sul circuito di Misano in una gara di DTM (supercompetitiva serie automobilistica) che l’ha visto chiudere quinto con la sua Bmw.


Puoi spiegarci in cosa è consistita la particolarità della tua ultima performance?

«In pratica, sono state portate sul volante le funzioni della pedaliera: il freno, con una leva manovrata dalla destra; il sistema di frizione (automatica); e quindi il cambio, posizionato sempre sul volante al pari della leva dell’acceleratore, azionabile sia con la mano destra sia con la sinistra».


Da cosa è nata l’idea di guidare rinunciando alle protesi?

«Tutto è partito da una necessità personale: le protesi non disperdono il calore come avviene per il resto del corpo e così, per effetto del caldo che si crea all’interno dell’abitacolo, si surriscaldano fino a 55 °C, mettendo a dura prova la mia resistenza. Da qui il progetto di guidare solo con le mani: più complicato, ma ci siamo subito accorti che riuscivo a essere veloce e soprattutto potevo restare più a lungo in macchina».


Poche ore dopo aver tagliato il traguardo hai scritto un tweet sulla non normalità di trovarsi a più di 50 anni a non riuscire a prendere sonno per l’emozione di... pensare già alla gara successiva. Per te le sfide non hanno proprio mai fine?

«Sfida è solo un modo di definire quello che faccio e che farò. Ognuno di noi nel cimentarsi in qualunque cosa ne trae soddisfazione non solo per il risultato, ma per quanto riesce ad avvicinarsi al proprio limite. E tra l’altro con l’età affronto tutto con maggiore serenità: mi metto alla prova senza l’ossessione della vittoria. L’ambizione non sparisce, ma la materia prima è la passione».


In tutto questo, ti senti anche uno sperimentatore di soluzioni che un giorno potranno aiutare altri disabili?

«Onestamente, l’obiettivo diretto non è mai stato questo. Però è indubbio: i comandi che ho sperimentato possono consentire di guidare anche ad altre persone con disabilità alle gambe».


In generale, come consideri il contributo della tecnologia nel quotidiano?

«Se aiuta a soddisfare delle esigenze, a risolvere dei problemi, è una benedizione. Ma la trovo anche insidiosa, perché a volte crea falsi bisogni: a volte mi chiedo cosa me ne faccio di tutti questi aggeggi...».


Quali sono però quelli ai quali non potresti mai rinunciare?

«Macchinetta del caffè e lavastoviglie, ma solo perché in casa è compito mio caricarla. Poi il computer, perché scrivo molto e mi consente di fare cose importanti, e un tornio che ho nel capannone di casa: è un regalo di Natale di mia moglie Daniela, con il quale realizzo molti accessori per la mia handbike. Quando ci riesco, è una vera soddisfazione».


Ripresentarti ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020 è un sogno o un progetto?

«Un obiettivo, anche se le cose possono cambiare. Ci sta che passati i 50 anni ci sia un crollo fisico. E io voglio partecipare essendo competitivo».


Abituato a vincere, all’ultimo Mondiale sei finito terzo: come l’hai presa?

«La sera dopo mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto: “Se questo è il mio massimo risultato sportivo mi interessa ancora?”. La risposta è stata sì. E poi mi sono domandato se il 3° posto fosse il massimo risultato cui poter ambire e la risposta mi ha aperto la strada verso un orizzonte con un sacco di lavoro per migliorare. La strada per Tokyo e per fortuna ancora lunga».


Si dice che il fine di un viaggio è il viaggiare stesso e non la meta...

«Vale di sicuro anche per me. Londra 2012 è stato uno dei capitoli più belli della mia vita. Ma nel tagliare il traguardo che mi dava la seconda medaglia d’oro di quei Giochi, l’unico sentimento era di malinconia, perché già mi mancava tutto ciò che era stato fatto per arrivarci».


E cosa fai oggi per rimanere al top della forma fisica?

«Non ho una giornata-tipo di allenamento e il training varia a seconda che debba lavorare sulla forza o sulla resistenza. In una settimana prevedo sempre uno o due giorni di riposo e suddivido il programma negli altri momenti per tipologia di sforzo. Quando devo allenare la base, posso star fuori anche cinque ore e percorrere 130-140 km con l’handbike».


Segui un regime alimentare particolare?

«Faccio attenzione a quello che mangio, ma non sono un maniaco o uno schiavo dei programmi alimentari. In ogni caso, per me non è un sacrificio mangiare sano, vario ed equilibrato. Senza farmi mancare ogni tanto una bella frittura di pesce».


Chi cucina in casa?

«Il 99% delle volte mia moglie. Ma io sono capace di sbrigarmela ai fornelli e se Daniela dovesse andare via per un mese, non morirei di fame».


Dove ti immagini tra dieci anni?

«Certamente a impegnarmi in qualcos’altro, perché non posso gareggiare in eterno. Tra l’altro, sono anche un gran pantofolaio, che sta bene a casa sua con un libro in mano o a fare due chiacchiere con gli amici o ancora una partita a burraco con mia moglie».


UN PROGETTO PER TROVARE I SUOI EREDI

Dal 2016 Alex Zanardi ha messo a disposizione la propria esperienza e notorietà nel progetto Obiettivo3 per aiutare giovani atleti disabili a intraprendere un percorso agonistico nello sport.

«Per tanti di loro c’è la necessità di dotarsi di strumenti particolari, con costi importanti», spiega lo stesso Alex, che sogna di portarne tre alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. «Qualche podio inizia ad arrivare, ma questi ragazzi ripagano l’aiuto non solo come risultati. È bello vedere come stanno sfruttando questa opportunità che gli è stata data per costruirci sopra qualcosa. Stiamo creando una squadra di atleti molto motivati, che stanno diventando a loro volta ambasciatori del progetto e ispirano altri disabili, spingendoli a mettersi in gioco».

Per saperne di più sull’iniziativa, consultate il sito obiettivo3.com.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n. 39 di Starbene in edicola dall'11/9/2018

Leggi anche

Disabili e diritti: a che punto siamo in Italia

Fisioterapia e riabilitazione: ora il fisioterapista è un robot

I disabili e il sesso, qualcosa sta cambiando

Il nuovo robot per il trapianto di capelli

Malattie reumatiche e disabilità