Intervista ad Arianna Fontana, campionessa di short track

A 15 anni ha vinto la sua prima medaglia olimpica (di 8): dopo un anno sabbatico torna in pista la campionessa di short track, la gara speedy su pattini



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Quando a quattro anni è salita barcollante sulle lame (per poi scendere subito infilando una serie di capitomboli), l’insegnante di pattinaggio ha preso da parte la mamma e con delicatezza le ha comunicato: «Penso che questo non sia lo sport per Arianna». Mai profezia fu meno azzeccata. Arianna Fontana, classe ’90, è oggi il nostro fiore all’occhiello dello short track, il pattinaggio di velocità con cui si arriva a toccare i 50 chilometri orari.

Un fiore d’acciaio con un palmarès che rifulge: a soli 15 anni vince la sua prima medaglia alle Olimpiadi di Torino. Seguono altri podi a Vancouver (Canada), passando per Soči (Russia) e tagliando tre volte il traguardo, lo scorso anno, ai Giochi Invernali di Pyeongchang (Corea del Sud). Per un totale di un oro, due argenti e di cinque bronzi olimpici.

Una ragazza da record: non solo è la nostra atleta più giovane ad aver vinto una medaglia alle Olimpiadi invernali ma anche la seconda più titolata di sempre. Mica male per una ventinovenne di Sondrio, che sembra la fotocopia di Michelle Pfeiffer di qualche anno fa e che per una giornata si è improvvisata modella sul set di Starbene, rinunciando alle lame per gli (amatissimi) tacchi e alla divisa (è finanziere scelto della Guardia di Finanza) per gli abiti più glam.


Arianna, come si passa dai capitomboli al podio a Torino?
«All’inizio era un gioco. Stare sul ghiaccio mi piaceva soprattutto perché mi divertivo con il gruppo, di cui faceva parte anche mio fratello maggiore. I miei genitori ci tenevano molto che noi avessimo un’educazione sportiva e hanno continuato a proporci mille attività. Siccome vivevamo in Valtellina, gli sport di montagna erano la prima scelta. Arrivata al pattinaggio ho capito presto che non ero una da piroette, mi entusiasmava la velocità. Non so neanche spiegare bene cosa ho provato a Torino nel 2006 quando ho sentito il nostro inno, ma a quel traguardo non ero arrivata per caso: mi allenavo con impegno da quando avevo 12 anni. Forse il termine che mi descrive quel giorno è frastornata. Ero lì nel mio Paese, con la mia famiglia intorno e tutti che mi acclamavano. Ci ho messo qualche tempo per realizzare cosa avevo combinato».


Qual è la qualità che ha fatto di te una campionessa?
«La caparbietà. Fin da piccola mia mamma si dannava per la mia testardaggine ma, alla fine, quel difetto si è rivelato un dono. Dietro i risultati atletici spesso non si nasconde una dote sovrannaturale che rende possibile ciò che ad altri non riesce ma una gran testa dura. E io ce l’ho».


Qualche tempo hai preso un anno sabbatico lontana dal ghiaccio. Come mai questa decisione?
«La verità è che avevo perso motivazione. Nessuna cocente sconfitta, anzi, arrivavo proprio da un periodo di successi agonistici. Ma non mi divertivo più, detto in altre parole, non c’ero con la testa, non riuscivo a concentrarmi. Così in accordo con mio marito (Anthony Lobello, ex-pattinatore americano e attuale coach di Arianna) ci siamo presi una vacanza da tutti e da tutto. Avevo bisogno di disintossicarmi. Ho persino disattivato i miei account social, volevo staccare e cambiare totalmente vita».


Farlo nel pieno della carriera agonistica è una scelta molto forte. Com’è andata?
«Benissimo. Con Anthony ci siamo trasferiti in Florida dove abbiamo una casa e dove ci siamo goduti la sua famiglia, nipotini in prima linea. Non siamo rimasti con le mani in mano: avevamo dei lavori di ristrutturazione da seguire e abbiamo fatto un bel po’ di viaggetti su e giù per gli States. Anche senza lo sport è stato un anno intenso che mi ha regalato un’eccezionale ricarica. Nessun impegno ma il piacere di avere tempo per leggere un thriller o per andare al cinema con mio marito. Ho anche imparato a pescare!».


Difficile immaginare una saetta del ghiaccio come te aspettare ore e ore che il pesce abbocchi…
«Incredibile, eh? Eppure è un’attività che mi piace da impazzire, forse proprio perché è (apparentemente) così lontana dal mio sport. In una c’è l’attesa, nell’altro lo scatto, in una l’immobilità, nell’altro la velocità. Eppure, se ci si pensa, entrambi hanno bisogno di una lunga preparazione e di strategia: non basta buttare l’amo e aspettare che abbocchi, bisogna scegliere il posto dove farlo, l’esca migliore, il pescaggio, l’ora giusta. Anthony mi ha portato a fare anche pesca d’altura (il bottino è stato un tonno più alto di me) ma mi piacciono anche i piccoli moli della Florida, dove andare da sola la mattina presto e buttare la lenza per acchiappare, più che pesci, pensieri».


Com’è dividere la vita con il proprio coach?
«Molto pratico (ride). Cerchiamo comunque di separare agonismo e vita familiare. Si parla di “lavoro” finché siamo fuori poi, una volta tornati a casa, ci immergiamo nella nostra intimità. Che significa imbastire la cena (a volte cucino io, a volte lui, in casa i compiti sono equamente divisi) e dedicare un po’ di tempo a Zeus, il nostro delizioso cucciolo di alano. Piccolo d’età, quattro mesi, ma non di stazza: per il momento pesa “soltanto” 35 chili».


Come si mangia in casa di una campionessa?
«Bene e sano. Anthony e io siamo molto attenti agli ingredienti però, abitando in montagna, siamo anche fortunati perché molta frutta e verdura le abbiamo a chilometro zero».


Qualche strappo?
«Confesso: ho una passione smodata per il cioccolato ma anche per la pizza, che ogni tanto mi concedo con pochi sensi di colpa. Naturalmente quando mi alleno devo fare più attenzione a ciò che mangio. Ho bisogno di pasti che mi diano potenza ma, nello stesso tempo, non mi appesantiscano. Per non parlare delle volte che sono in trasferta: i menù degli alberghi non sono il massimo per prepararsi a una gara. La soluzione per me è sostituire il pasto con Herbalife Formula 1, che mi mette subito a disposizione i giusti nutrienti senza complicare la digestione. Dopo lo sforzo, invece, scelgo Herbalife Rebuild Strength, il sostituto (ricco di proteine) ideale per far recuperare i muscoli affaticati».


Che rapporto hai con i profili social?
«Dopo la “pausa di riflessione” li ho riaperti ma il mio preferito resta Instagram: adoro fare le foto e ritoccarle, un lavoro di concentrazione. Forse ricorda la pesca? Non so, mio marito mi prende in giro quando mi vede immersa nello schermo. Che ci posso fare, sono anch’io una millennial!».


Progetti futuri?
«Nell’immediato mi aspettano due appuntamenti importanti: le Coppe del Mondo di Salt Lake City (Usa) e quella canadese di Montreal. Ma più che gare li considero due test per valutare la mia forma dopo la ripresa degli allenamenti. Però, lo ammetto, sento che la fame sta tornando».


Di pizza e cioccolato?
«No, di vittoria».


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Articolo pubblicato sul n. 41 di Starbene in edicola dal 24 settembre 2019



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