Salmonellosi

Con il termine salmonellosi si intende un’in­fezione provocata dal batterio Salmonellaenterica. Di questo batterio, che può infettare sia l’uomo sia molti animali, sono stati sinora descritti in natura più di 2500 sierotipi, che presentano piccole differenze gli uni dagli altri e possono causare malattie differenti. Per esempio, nell’uomo i sierotipi typhi e paratyphi provocano il […]



Con il termine salmonellosi si intende un’in­fezione provocata dal batterio Salmonellaenterica. Di questo batterio, che può infettare sia l’uomo sia molti animali, sono stati sinora descritti in natura più di 2500 sierotipi, che presentano piccole differenze gli uni dagli altri e possono causare malattie differenti. Per esempio, nell’uomo i sierotipi typhi e paratyphi provocano il tifo, mentre gli altri sierotipi (in particolare typhimurium, enteritidis, newport e heidelberg) provocano solamente un’infezione intestinale (enterocolite). Il contagio da salmonella avviene tipicamente attraverso l’ingestione di cibi o acqua contaminati dal batterio: in particolare, risultano spesso infettati il pollame e le uova (si stima che circa il 20% dei tacchini e dei polli allevati negli Stati Uniti sia infetta), mentre favoriscono il diffondersi dell’infezione l’utilizzo di scarti di macellazione (per esempio la pelle) per l’alimentazione degli animali, l’allevamento in gabbie di piccole dimensioni o in batteria con una scarsa igiene degli impianti. Le uova vengono contaminate durante il loro sviluppo, prima che sia formato il guscio; l’infezione è solitamente legata al consumo di uova crude o poco cotte (per esempio utilizzate per preparare maionese, gelati, meringhe). L’in­fezione può originare anche dal consumo di altre carni crude (per esempio quelle bovine o suine) oppure di prodotti caseari; negli ultimi anni, inoltre, anche alimenti vegetali come mandorle, meloni, pomodori e germogli sono stati correlati alla salmonellosi. La contaminazione, in quest’ultimo caso, può originare dal contatto con feci di animali infetti, dall’uso di acqua contaminata per irrigare o lavare gli ortaggi o dall’impiego di ghiaccio infetto durante il trasporto.

La trasmissione interumana si verifica in condizioni di scarsa igiene o in seguito a contaminazione dell’acqua pulita con acqua di scarico; in particolare, è stato recentemente osservato che la maggior parte dei pazienti infettati da Salmonellatiphi diventa portatore cronico, quindi continua a liberare il batterio nelle feci per periodi molto lunghi (o anche per tutta la vita), pur senza segni evidenti di malattia; anche alcuni sierotipi che causano l’enterite non tifoide (come il typhimurium) possono determinare uno stato di portatore cronico nei pazienti infettati, per esempio annidandosi tra gli strati dei calcoli biliari in formazione; un’altra sede in cui la salmonella può annidarsi e rimanere a lungo, senza poter essere eliminata dal sistema immunitario, è costituita da un tipo particolare di cellule dell’organismo denominate fi­broblasti. È possibile infettarsi anche nel corso di viaggi in paesi in cui la salmonellosi è molto diffusa; in particolare sembrano maggiormente esposti al rischio i viaggiatori “non turistici” (per esempio quelli in visita a parenti o amici), che spesso sottostimano il pericolo. Un’ulteriore fonte di infezione, che sta assumendo sempre più importanza, è costituita dai rettili o dagli anfibi utilizzati come animali da compagnia. Questi animali, infatti, non sviluppano malattie da salmonella ma sono spesso portatori “sani” di infezione e possono liberare il batterio in maniera intermittente con le feci. Secondo alcune stime, fino al 90% dei rettili e degli anfibi potrebbe albergare la salmonellanel suo intestino.

Come già accennato, i due tipi di malattia provocati dai diversi sierotipi di salmonella nell’uomo sono il tifo e l’enterocolite. Il primo colpisce 17-20 milioni di persone all’anno nel mondo, provocando circa 400.000 morti; la maggior parte di questi casi si verifica nei paesi in via di sviluppo, mentre questa malattia è diventata abbastanza rara nei paesi industrializzati grazie al miglioramento generale delle condizioni igieniche; si stima comunque che negli Stati Uniti si verifichino circa 500 casi all’anno di tifo, legati soprattutto a viaggi in paesi in via di sviluppo (in particolare alcuni paesi del Sud-Est asiatico, dell’Africa e del Sudamerica). La salmonellosi non tifoide colpisce circa 1,4 milioni di persone al­l’anno negli Stati Uniti, causando 400-600 morti; la fascia di età maggiormente colpita è quella infantile (circa 117 casi all’anno ogni 100.000 bambini con età inferiore a 12 mesi). La maggior parte dei casi di salmonellosi non tifoide si verifica nel corso di epidemie dovute al consumo di alimenti contaminati (specie in ristoranti o mense), ma sono in aumento i casi dovuti al contatto con animali infetti come i rettili o gli anfibi (circa il 6%) oppure a viaggi all’estero. È da rilevare che la maggior parte delle infezioni da rettili e anfibi avviene nei bambini piccoli e che in molti di questi casi si sviluppa una malattia invasiva (cioè non limitata al solo intestino).


Manifestazioni cliniche

I batteri, dopo l’ingestione, passano nello stomaco e colonizzano l’intestino, invadendo e talvolta oltrepassandone la parete. Ciò provoca solitamente lo sviluppo di una risposta immunitaria da parte dell’organismo, che cerca di eliminare l’infezione.

Le salmonelle provocano due tipi principali di malattia: il tifo (o febbre tifoide) e l’enterocolite. Il primo è caratterizzato da un’infezione sistemica (cioè che interessa tutto l’organismo) con febbre e talvolta sintomi gastrointestinali come la diarrea; è una malattia severa, che può complicarsi con uno stato tossico e con la coagulazione diffusa del sangue all’interno dei vasi sanguigni (la cosiddetta coagulazione intravascolare disseminata, in sigla CID). L’enterocolite insorge invece 6-24 ore dopo l’ingestione degli alimenti contaminati ed è caratterizzata da diarrea, vomito, dolori addominali crampiformi e febbre; i sintomi in genere durano 4-7 giorni; in alcuni casi (specie in presenza di infezione da HIV o immunodepressione da altre cause) l’infezione può estendersi al di fuori dell’intestino oppure diventare persistente o ricorrente, non risolvendosi quindi completamente e protraendosi a lungo.


Diagnosi

La diagnosi del tifo può essere clinica, ma numerose variabili (età del paziente, precedente vaccinazione, virulenza del ceppo batterico coinvolto) possono modificare il quadro clinico classico, con la febbre che sale lentamente e a gradini. La metodica di laboratorio più utile per confermare la diagnosi è l’emocoltura, cioè la messa in evidenza del batterio su colture in laboratorio del sangue del paziente; questo test risulta comunque positivo solo nel 40-60% dei casi di tifo. Dopo la prima settimana di infezione possono diventare positive anche le colture su feci (coprocoltura) e urine (urocoltura). È più affidabile la coltura su prelievo di midollo osseo, ma si tratta di una metodica invasiva, che non viene in genere utilizzata nei casi comuni. Negli adulti si osserva spesso una diminuzione dei globuli bianchi, che nei bambini tendono invece a essere molto elevati. Il test classico per la diagnosi di infezione da Salmonella tiphi è quello di Widal, ideato più di 100 anni fa, ma la sua affidabilità è piuttosto scarsa ed è stato quindi oggi sostituito da metodiche di laboratorio più raffinate, come la ricerca degli anticorpi di tipo IgM specifici o la reazione polimerasica a catena (PCR), che permette di evidenziare il DNA batterico. Di fatto, comunque, nei paesi in via di sviluppo la diagnosi rimane soprattutto clinica, nonostante il tifo si manifesti spesso in una febbre senza altri evidenti segni distintivi, che quindi può essere confusa con molte altre infezioni (per esempio malaria, tubercolosi o brucellosi).

Anche la diagnosi di salmonellosi non tifoide è per lo più clinica, e spesso è difficile differenziare questa enterocolite da quelle provocate da altri batteri. La coltura sulle feci può confermare la diagnosi, ma quando il suo risultato è disponibile (occorrono alcuni giorni per avere la crescita del batterio) in genere il paziente sta già guarendo.


Terapia

Il trattamento del tifo prevede la somministrazione di liquidi e la correzione degli squilibri degli elettroliti nel sangue, il riposo, l’uso di antipiretici (per esempio il paracetamolo), la somministrazione di una dieta leggera e morbida. Nei casi più severi sono necessari il ricovero in ospedale e la somministrazione di liquidi e alimenti per via endovenosa. È inoltre necessario iniziare rapidamente una terapia antibiotica con preparati idonei, come i chinolonici o le cefalosporine di terza generazione.

Per il trattamento dell’enterocolite non tifoide non è invece necessario l’u­ti­lizzo degli antibiotici, che non riducono la durata dei sintomi e paiono inoltre aumentare il rischio di ricadute. La terapia antibiotica può rendersi necessaria se l’infezione si estende al di fuori dell’intestino. È importante un’adeguata assunzione di liquidi e sali minerali per compensare le perdite dovute alla diarrea, mentre sono in genere da evitare i farmaci antidiarroici e va evitato il contagio delle persone che assistono i malati, soprattutto se costretti a letto o incontinenti. I bambini possono rientrare a scuola o all’asilo dopo la risoluzione dei sintomi.

Un problema molto rilevante è la selezione di ceppi di salmonella resistenti agli antibiotici. Ciò riguarda sia i sierotipi che causano il tifo, sia quelli che causano l’enterocolite non tifoide. Nel caso dei primi, i ceppi resistenti agli antibiotici determinano spesso una malattia più aggressiva e severa, con un aumento delle complicanze e della mortalità; sono stati recentemente evidenziati anche ceppi resistenti ai chinolonici (che fino a qualche anno fa rappresentavano una terapia efficace in tutti i casi), originatisi probabilmente in seguito al­l’im­piego indiscriminato di questi farmaci; al momento, quindi, si consiglia di limitare il loro utilizzo ai casi di effettiva necessità per non estendere il fenomeno delle resistenze. Nel caso dei ceppi che causano l’enterocolite non tifoide, il fenomeno della resistenza pare essere aggravato dal­l’u­ti­lizzo degli antibiotici negli allevamenti per stimolare la crescita degli animali.[E.G.]