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Vedersi belle? Il diritto di apprezzarti per come sei

Quello che ti distingue dagli altri è la tua unicità. Fatta di difetti e pregi a tutto tondo. Un nuovo pensiero regala alle donne il diritto di apprezzarsi per come sono

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Piacersi è una scelta? Sembrerebbe di sì, alla luce delle riflessioni più aggiornate in fatto di corpo, bellezza e (inevitabili) imperfezioni. Una testimonianza dell’ultima ora arriva dall’attrice Francesca Inaudi, presente alla recente settima edizione del festival “Il tempo delle donne” e dedicata proprio al tema del corpo a 360 gradi: «Per molti anni, mi sono considerata brutta, poi ho fatto pace con la mia immagine», ha raccontato.

«E anche quando sono stata scartata a un provino per il mio aspetto, non ho mai pensato di ricorrere al bisturi. Non ho una bellezza classica, ma con il tempo ho imparato a piacermi». Il messaggio è chiaro: quello che ci distingue dagli altri è la nostra unicità. Perché rinunciare ad apprezzarla? «In fondo, il difetto è stato funzionale all’evoluzione dell’uomo. Siamo il risultato di una serie di imperfezioni che hanno avuto successo», scrive Telmo Pievani, filosofo ed evoluzionista, nel suo nuovo libro Imperfezione (Raffaello Cortina editore, 14 €). E se questo vale per l’umanità nel suo complesso, perché non pensare che valga anche per le singole persone?


Non è così semplice
A sentire voci autorevoli, sembra finita l’era della bellezza a senso unico, eccessiva, implacabile nei confronti del tempo. Solo che il mondo femminile è ancora incatenato a questo giogo. Un sondaggio della società di consulenza Sòno, condotto su mille donne tra i 18 e i 69 anni, rivela che quattro italiane su cinque si stimano poco o niente allo specchio. «È ovvio», sottolinea la sociologa Saveria Capecchi, autrice del manuale La comunicazione di genere (Carocci editore, 16 €). «Piacersi non è mai un fatto oggettivo, ma avviene sempre sulla base di modelli ideali con cui confrontiamo e misuriamo la nostra adeguatezza. E questo succede soprattutto alle donne: il loro valore e la loro identità, da secoli, sono stati associati più alla bellezza fisica che alla forza delle loro idee. Per questo l’aspetto diventa così importante».


Attivare la consapevolezza
Però, qualche spiraglio che gli stereotipi hanno perso di potenza c’è. E, neppure tanto risicato: è quel 15% d’intervistate che si dichiarano “soddisfatte attente” di se stesse. Non tanto perché sanno accettare i propri difetti, ma perché li vivono con affetto. Non perché si prendono cura del corpo, ma perché sono più brave ad ascoltarne i messaggi (fisici e psicologici) che manda.

«Tutte abbiamo la possibilità di optare per questa strada. È un potenziale che possiamo attivare, è dentro di noi», afferma la psicoterapeuta Viviana Morelli. «Scegliere di piacersi significa, innanzitutto, avviare un processo di conoscenza di noi stesse.

Gli step? Elaborare i condizionamenti sociali che ci portiamo dietro, cioè capire cosa e chi ci fa sentire brutte; andare oltre la fisicità stretta, contando sulle qualità che abbiamo e sull’abitudine femminile a vedere il corpo che si trasforma a seconda delle fasi della vita; puntare sull’espressività, sull’empatia perché il contatto con gli altri ha un potere enorme nella percezione più o meno positiva della nostra immagine. Tutte risorse di cui siamo, per fortuna, sempre più consapevoli».

In poche parole, bisogna dare al corpo una declinazione al plurale e farlo esprimere a più voci. Sotto questa prospettiva, piacersi diventa un concetto filosofico ben diverso dal narcisistico “io mi piaccio” che si concentra su un dettaglio di perfezione estetica escludendo tutto il resto. «È un salto esistenziale che consente di progredire, apprezzando e integrando ogni parte di noi. Pregi e difetti. E, forti di consapevole maturità, facciamo arrivare agli altri bellezza e luminosità», aggiunge la dottoressa Morelli. «Al contrario, la negazione di ciò che non ci piace può essere un dramma: quello che non vogliamo vedere torna continuamente a invadere pensieri e azioni. E ci rende infelici».


La possibilità è aperta a tutte
Sono tanti gli studi che dimostrano la correlazione strettissima tra esteriorità e affermazione, personale e professionale. Amarci, dunque, è la forza propulsiva delle nostre aspirazioni e, di conseguenza, della nostra felicità. Un’energia democratica e concreta, peraltro, in quanto ognuna può coltivare questa possibilità. «Sì, piacersi è una valutazione personale, per realizzarla dobbiamo sentire che ne abbiamo diritto», ribadisce Laura Campanello, filosofa e life coach. «Smettiamola di riferirci a canoni estetici omologati e statici. In questo modo, non capiremo mai che il nostro corpo è un “elemento” vivo, che cambia, reagisce agli stimoli, lancia segnali. Dobbiamo capire che la bellezza è la conseguenza dello stare bene. Solo così diventa vera potenza».


Il ritorno alla naturalità

Dalla California arriva un rimedio per i “pentiti del bisturi”. Si tratta della “de-construction surgery”, la chirurgia che toglie da viso e corpo la perfezione falsa e fa riemergere quel difetto che rende autentici e unici. Insomma, un ritorno alla naturalità che ha già le sue “eroine”. Una di queste è Yolanda Hadid, madre delle due top Gigi e Bella, che alla soglia dei 55 anni ha detto addio a protesi in silicone, filler e botox. «Voglio tornare alla mia versione originale. Dobbiamo imparare ad amarci e a celebrare la nostra bellezza unica», ha detto l’ex modella. E se lo dice lei, c’è da crederci...



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Articolo pubblicato sul n. 41 di Starbene in edicola dal 24 settembre 2019


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