Irene Fornaciari: “Ho vinto gli attacchi di panico parlandone”

La cantante ha sofferto del disturbo proprio come il padre, il bluesman Zucchero. Ed è riuscita a superare le crisi solo quando ha smesso di temere il giudizio degli altri. La chiave di tutto: chiedere aiuto



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“Questo boato che ho sotto il respiro”: così recita il ritornello di una sua celebre canzone, presentata a Sanremo qualche anno fa. Irene Fornaciari, che dal padre Zucchero ha ereditato il talento per la musica, lasciava trasparire così con un disturbo che, per anni, le ha condizionato l’esistenza: gli attacchi di panico.

Oggi, ritrovati energia ed entusiasmo, l'artista vuole condividere la sua storia, per far sapere a tutti che vincere questa battaglia si può. Finalmente serena, sta lavorando a un nuovo progetto musicale per la prossima estate, in collaborazione con il musicista Megahertz. «Ne sono uscita grazie a una brava dottoressa che mi ha aiutata e continua a farlo. Sto seguendo un percorso di psicoterapia e, in passato, ho seguito una cura farmacologica. Prima non volevo parlarne, temevo che la gente pensasse che volessi sfruttare questa mia debolezza per avere visibilità. Invece, confrontarsi con gli altri può solo far bene. So che siamo in tanti a soffrirne ed è un modo per aiutare anche chi si vergogna di questa fragilità», ci dice la cantante.


Il primo a capire il problema è stato proprio il padre Zucchero
«Sono diciassette anni che combatto con gli attacchi di panico. La prima avvisaglia nel 2003, durante il mio primo lavoro importante: una parte nel musical “I dieci comandamenti”. Ero sul palco e, improvvisamente, ho cominciato ad avvertire dei capogiri; fortunatamente il mio ruolo, in quel momento, non era così importante e ho potuto, lentamente, uscire di scena. Non capivo cosa mi stesse succedendo e ho dato la colpa alla stanchezza; dopo qualche anno, però, l’episodio si è ripetuto. Stavolta ero a letto: tutto ha iniziato a girarmi intorno, mentre avvertivo prima un formicolio alle mani e ai piedi e poi un calore fortissimo, che partiva dai talloni e arrivava alla schiena. Ho pensato a una congestione, perché avevo pure mal di stomaco. Mi sbagliavo», spiega Irene.

Spaventata, si rivolge al suo medico di famiglia per capire le possibili cause ma senza risultato. Gli attacchi di panico continuano: «Tutte le sere andavo a dormire e iniziava l’incubo», sottolinea. Non sapendo come uscirne, ha iniziato a parlare con i suoi genitori. «A intuire che poteva trattarsi di crisi di panico è stato proprio mio padre, perché ne soffre e mi è stato molto vicino. Ho saputo, in seguito, che può esserci una predisposizione genetica e psicologica, ma non la si può scindere dalla componente ambientale. Nel mio caso, la causa scatenante è stata un brutto lutto in famiglia e un incidente in auto sulla Serravalle, mentre raggiungevo la mia band per una serata. Per fortuna senza conseguenze, ma con tanto tanto spavento. Questi due eventi mi hanno destabilizzato e hanno scatenato le crisi ma, in realtà, si trattava della classica “goccia che fa traboccare il vaso”: dentro di me, avevo parecchi fantasmi che non mi permettevano di vivere serenamente», ammette l’artista.


Il passo giusto per guarire: esserne consapevoli
Non sapeva però come uscirne, perché in quel periodo non credeva nella psicoterapia e rifiutava di curarsi. «Mi dicevo che ce l’avrei fatta da sola, ma stavo sempre peggio. Ora ne sono consapevole: questo disturbo dipende dai nodi che ognuno di noi si porta dentro e che da soli difficilmente riusciamo a sciogliere.

Io non ero più in grado di fare le cose più semplici come la spesa: spesso abbandonavo il carrello in mezzo al supermercato e fuggivo via. Mi davano fastidio le luci forti, gli spazi chiusi. A volte gli attacchi mi prendevano in auto. Iniziavo a tremare e sudare, ancora di più se mi trovavo in galleria, ed era una sensazione tremenda, oltre che un rischio. Dovevo fermarmi sulla corsia di emergenza, riprendere fiato e aspettare che passasse».

Tutto questo era frustrante perché si sentiva limitata: «Essere indipendente negli spostamenti era ed è fondamentale per la mia professione. Così provavo a distrarre il cervello con alcuni “trucchi”: accendere il navigatore e visualizzare il percorso, per esempio, mi tranquillizzava», prosegue. Ma, è stata la musica l’aiuto più prezioso, fin dai primi attacchi. «Scrivere di getto i testi delle canzoni così come salire sul palco per cantare mi ha sempre dato sollievo. Sento una sorta di obbligo morale nei confronti del mio pubblico, per questo anche se prima di andare in scena avevo un po’ di ansia, mi buttavo lasciandomi andare. Grazie alla psicoterapia poi ho capito che i problemi non si aggirano. Bisogna combattere, ma si può vincere», conclude Irene sorridendo.


La terapia “con gli occhi”

Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi di intensa paura, in assenza di pericolo o di minacce, e raggiungono l’apice in pochi minuti. A monte, ci sono stress o eventi traumatici come incidenti, lutti, separazioni. «Si caratterizzano dalla comparsa di almeno quattro di questi sintomi: palpitazioni, tremori, sudorazione, senso di soffocamento, senso di morire o impazzire, derealizzazione o depersonalizzazione (sentirsi distaccati dal mondo o da se stessi) formicolii, brividi», spiega Laura Ceccarelli, psicoterapeuta del Centro Co.Me.Te. e Istituto di Terapia Familiare di Massa Carrara. «Noi interveniamo con l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), un trattamento che va a elaborare, attraverso
i movimenti oculari, quelle memorie traumatiche che possono generare il problema, efficace già dopo 6-12 sedute. Non bisogna spaventarsi durante le crisi: sono emozioni intense che passano sempre e non sono pericolose.


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Articolo pubblicato sul n. 11 di Starbene in edicola dal 25 febbraio 2020

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