Sindrome diMarchiafava-Micheli
Rara malattia del midollo osseo, a evoluzione cronica, caratterizzata da crisi intermittenti di emolisi (distruzione patologica dei globuli rossi) e detta anche emoglobinuria parossistica notturna. Le cellule mieloidi sono un tipo particolare di cellule staminali ematopoietiche che si moltiplica regolarmente, da una parte al fine di autoreplicarsi, dall’altra per dare origine alle cellule del sangue, in particolare ai globuli rossi. La sindrome di Marchiafava-Micheli è provocata da una mutazione acquisita, cioè non ereditata dai genitori alla nascita, che interviene al momento della replicazione di una cellula mieloide. Tale mutazione colpisce un gene codificante per una proteina della membrana, supporto delle molecole che proteggono la cellula dall’azione distruttrice del complemento (sistema di proteine sieriche implicato nella difesa immunitaria). La cellula staminale così mutata dà origine a globuli rossi sprovvisti di questa protezione, che quindi vengono facilmente distrutti dal complemento (emolisi); la sua autoreplicazione moltiplica inoltre le cellule staminali portatrici della mutazione, e di conseguenza i globuli rossi fragili.
Sintomi e segni
Il principale sintomo della sindrome di Marchiafava-Micheli è un’emolisi intravascolare che si scatena in occasione di un’infezione o di una trasfusione e si accompagna spesso a trombosi (occlusione provocata da coaguli) delle arterie o delle vene e a una diminuzione delle altre cellule del sangue (piastrine, globuli bianchi).
Trattamento
Consiste nella trasfusione di globuli rossi lavati (prelevati, messi in soluzione fisiologica una volta eliminato il plasma e quindi reiniettati), per ridurre il rischio di emolisi, nei casi in cui l’anemia è di entità tale da richiedere una trasfusione. In caso di carenza può essere necessario un apporto di ferro. Quando la malattia evolve verso l’aplasia (scomparsa delle cellule ematopoietiche del midollo osseo), se si trova un donatore compatibile e se l’età del paziente lo consente si deve prendere in considerazione l’ipotesi di un trapianto di midollo. La malattia migliora spontaneamente soltanto in 1 caso su 10.
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