Infarto del miocardio

Il cuore è un potente muscolo che consente al sangue di circolare nel nostro organismo, contraendosi migliaia di volte all’ora e quindi “pompando” sangue in tutto l’apparato circolatorio, per tutta la nostra vita, al fine di far giungere il nutrimento e l’ossigeno necessario alla vita a tutto il corpo. In occasione di sforzi fisici, per […]



Il cuore è un potente muscolo che consente al sangue di circolare nel nostro organismo, contraendosi migliaia di volte all’ora e quindi “pompando” sangue in tutto l’apparato circolatorio, per tutta la nostra vita, al fine di far giungere il nutrimento e l’ossigeno necessario alla vita a tutto il corpo.

In occasione di sforzi fisici, per svolgere correttamente la sua funzione, il cuore può variare la frequenza con cui pulsa fino a triplicare le contrazioni al minuto e soddisfare così le necessità dell’organismo. Ovviamente tutto questo lavoro richiede che anche il cuore riceva nutrimento dal sangue: in effetti le due prime arterie che prendono origine dall’aorta, cioè le coronarie destra e sinistra, sono deputate a fornire sangue al cuore; le due arterie coronarie si suddividono poi in rami via via più sottili, in modo da assicurare il nutrimento a ogni segmento del muscolo cardiaco.

Da quanto detto consegue che se una coronaria o, più frequentemente, un suo ramo minore si occlude, la parte di muscolo cardiaco che dipende per la sua sopravvivenza dal sangue proveniente dal vaso sanguigno occluso non riceve più nutrimento: se questa situazione dura per un tempo sufficientemente lungo, il muscolo “muore”; la morte (in termine tecnico necrosi) di una parte, anche molto piccola, di muscolo cardiaco costituisce l’infarto.

Se la zona interessata è molto limitata, la diagnosi di infarto può essere possibile solo al momento in cui si manifesta l’evento, rilevando con un esame del sangue i fugaci segni della morte di cellule cardiache; se invece la parte interessata è più ampia, i segni possono essere visibili anche a distanza di molti anni, con esami quali l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma.

Anche se è possibile avere un infarto in assenza di qualsiasi disturbo (il cosiddetto infarto silente), nella maggior parte dei casi sono presenti sintomi che portano all’intervento del medico o, meglio, dei mezzi di primo soccorso (118).

Le manifestazioni tipiche dell’infarto sono decisamente note: dolore avvertito nella zona centrale del petto che si irradia lungo l’arto superiore sinistro. In molti casi però i disturbi hanno caratteristiche che possono far pensare a un problema di origine non cardiaca. Capita allora che non compaia il dolore all’arto superiore, oppure che la sensazione avvertita non sia di vero e proprio dolore ma di “peso” o “costrizione”. Inoltre la zona del corpo interessata potrebbe essere non il centro del petto, ma la base del collo o la parte alta dell’addome, tanto da poter simulare un dolore allo stomaco che, specie quando è associato a nausea (o, più raramente, a vomito), rende difficile distinguere un infarto da un problema digestivo. È infine abbastanza comune che questi disturbi siano accompagnati da sudorazione fredda e da malessere generale.

In presenza dei disturbi appena citati, e anche se si tratta di manifestazioni non eclatanti, è dunque buona regola prendere in considerazione la possibilità di un infarto, specie se si sa di essere portatori di fattori che possono predisporre a questa evenienza: fumo di tabacco, elevata pressione arteriosa, diabete, malattie cardiocircolatorie in generali, obesità, sedentarietà, elevati livelli di colesterolemia ecc.


Cosa comporta un infarto

È evidente che dalla morte di parte del nostro cuore possono risultare conseguenze diverse a seconda delle dimensioni della zona interessata: così, la perdita di un numero molto limitato di cellule può non comportare (almeno nell’immediato) alcuna conseguenza, mentre l’improvvisa cessazione di attività di una parte consistente del muscolo può rendere impossibile il funzionamento della pompa cardiaca e causare la morte del soggetto colpito.

Nel caso si sopravviva, ma la funzione di pompa sia compromessa, compariranno limitazioni nella possibilità di svolgere le proprie attività, con debolezza o mancanza di respiro per sforzi prima ben sopportati: si parla in questo caso di scompenso cardiaco, una situazione che può anche manifestarsi gradualmente, a distanza di mesi o anni dall’evento acuto.

Oltre a incidere sulla possibilità di svolgere correttamente la funzione di pompare il sangue, un’improvvisa mancanza di sangue in una zona del muscolo cardiaco può provocare la comparsa di alterazioni del normale ritmo del cuore (aritmie), anche potenzialmente mortali. Superata la fase iniziale dell’infarto, il pericolo di aritmie è comunque presente, soprattutto in presenza di dilatazione della cavità cardiaca colpita da infarto e scompenso.


Cause

L’infarto è provocato dall’improvvisa ostruzione di un ramo, più o meno importante, di un’arteria coronaria. Questo evento può, a sua volta, avere cause differenti di cui la più frequente in senso assoluto è l’aterosclerosi, che danneggia le pareti delle arterie, ne provoca il restringimento e determina la formazione delle placche aterosclerotiche. Queste ultime possono rompersi, rilasciando materiale che attiva la formazione di trombi i quali, a loro volta, possono occludere rapidamente l’arteria, impedendo il flusso di sangue e il nutrimento della zona a valle dell’ostruzione.

L’aterosclerosi viene favorita dal fumo di sigaretta, dall’inattività fisica, dall’ipertensione arteriosa e dall’eccesso di colesterolo; poiché il danno aterosclerotico richiede anni per svilupparsi, mettere in atto provvedimenti a scopo preventivo porta a buoni risultati.

Il sesso maschile è a maggior rischio per infarto miocardico, ma, dopo la menopausa, le donne perdono il loro “vantaggio” e raggiungono lo stesso livello di rischio degli uomini, con un ritardo di circa dieci anni. Il fattore età rimane comunque importante e spiega perché la maggior parte degli infarti miocardici si verifichino in età avanzata.

Molto più raramente l’occlusione dell’arteria coronaria o di uno dei suoi rami è provocata da malattie specifiche delle arterie (arteriti), da emboli (trombi che si staccano dalla parete del vaso e vengono trasportati altrove fino a bloccare un’arteria), da eventi traumatici o da malformazioni cardiache.


Cure

Nel campo delle cure per l’infarto miocardico sono stati fatti grandi progressi. Per semplicità si possono distinguere due circostanze: la cura dell’infarto acuto e le cure dopo il superamento dell’episodio acuto. Nella fase acuta la priorità è rappresentata dal ripristino della pervietà dell’arteria che si è chiusa. Quanto più rapidamente si interviene tanto maggiori risultano le possibilità di successo, prima che la mancanza di flusso sanguigno causi danni irreversibili al muscolo cardiaco. Le tecniche disponibili sono:

  1. infusione endovenosa di farmaci che “sciolgono” il trombo che ha occluso il vaso (trombolisi);
  2. riapertura meccanica del vaso mediante catetere (angioplastica);
  3. bypass aortocoronarico.

La trombolisi è stata la prima terapia farmacologica in grado di “riaprire” un vaso occluso. Sono disponibili più farmaci in gradi di sciogliere (in termine tecnico lisare) il trombo che impedisce il flusso del sangue. L’infusione deve essere eseguita il più precocemente possibile, possibilmente entro 3 ore dall’evento acuto.

L’angioplastica è una tecnica che data circa vent’anni e che, in questo periodo, si è evoluta continuamente. In sintesi: un catetere viene introdotto attraverso una grossa arteria (della coscia o del braccio) e avanza lungo l’aorta fino alle coronarie e attraverso l’occlusione; una volta posizionato nella zona occlusa, viene gonfiato un palloncino all’interno del catetere, in modo da dilatare il tratto ristretto e ripristinare il flusso. La tecnica è stata ulteriormente perfezionata: dopo aver dilatato l’arteria può essere posizionata una rete elastica (in inglese stent), sempre contenuta nel catetere, che espandendosi mantiene pervio il vaso appena dilatato; gli stent di ultima generazione sono medicati, presentano cioè un farmaco che riduce il rischio che lo stent stesso possa essere occluso da un nuovo trombo.

Il bypass aortocoronarico, infine, è in sostanza una tecnica chirurgica tramite la quale un pezzetto di vaso sanguigno (solitamente un tratto di vena) viene innestato tra l’aorta (a monte dell’occlusione) e il ramo coronarico occluso (a valle dell’occlusione); questa tecnica viene utilizzata ormai molto raramente nel momento acuto e limitata ai casi in cui le altre tecniche abbiano fallito.

Dopo l’infarto è importante ridurre il rischio di un nuovo episodio e preservare al meglio la contrattilità del cuore. I farmaci che proteggono il cuore e favoriscono la sua corretta funzione sono i b-bloccanti e i farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina (due classi: ACE-inibitori e bloccanti del recettore della renina, o sartani). Questi farmaci, in assenza di controindicazioni, dovrebbero essere utilizzati costantemente; sempre in assenza di controindicazioni, andrebbe avviata una terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici (rendono più difficile la formazione di trombi). Anche le statine, farmaci che riducono il colesterolo, debbono essere utilizzati, a meno che i livelli di colesterolo siano estremamente bassi. Naturalmente, anche il miglioramento dello stile di vita è una misura preventiva molto importante. [A.F.]