I nostri ragazzi non praticano sport. Come smuoverli?

Il 91,7% dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni è sedentario. Molti abbandonano lo sport all’inizio della scuola media. C’entra l’adolescenza, certo, ma anche il modo in cui lo sport in Italia è concepito e fruito



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Più sportivi che in passato ma non tanto quanto basta a fare dell'Italia un Paese "attivo". I dati sullo sport diffusi dall'Osservatorio Valore Sport 2025 di The European House Ambrosetti, in collaborazione con il Coni, il Comitato Italiano Paralimpico, l’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale e Sport e Salute, fotografano un'Italia ancora sedentaria.

Siamo al quarto posto tra i Paesi meno attivi dell'area Ocse, con oltre 8 persone su 10 che non praticano un livello sufficiente di attività fisica, cioè almeno due ore e mezza alla settimana.

Il quadro peggiora se guardiamo la fascia di età 11-15 anni, proprio quella in cui lo sport, oltre a garantire il benessere fisico, getta le basi per una vita sana e promuove valori come le competenze sociali e la fiducia in sé stessi. Eppure, proprio qui il nostro Paese risulta il peggiore dell’area Ocse: il 91,7% dei nostri adolescenti è fisicamente inattivo. La ragione? Il drop out, cioè la rinuncia una volta varcata la soglia delle scuole medie.

Tanta competizione, poco divertimento

Impegni scolastici e mancanza di tempo, perdita di interesse per lo sport ed emergere di nuove passioni, stanchezza, pigrizia, difficoltà economiche: sono queste, nell’ordine, le principali motivazioni per le quali i nostri ragazzi intorno agli 11 anni smettono di frequentare palestre e campetti.

«Proprio la prima, cioè la perdita di interesse, è quella che più fa male se consideriamo che lo sport, a queste età, dovrebbe essere soprattutto divertimento», commentano Rossana Ciuffetti, direttore del centro studi Area Sport Impact, di Sport e Salute, la società statale che promuove lo sport, l’attività fisica e i corretti stili di vita.

Ma forse è proprio qui la ragione nascosta del drop out: l’attività sportiva non risulta così interessante e divertente da calamitare i più grandicelli. «Spesso è estremamente focalizzata sulla performance e punta sulla competizione più che sulla partecipazione», continua Ciuffetti.

«Il messaggio che passa ai bambini non è cioè quello di fare sport per stare bene e divertirsi insieme, ma di farlo per competere, per emergere, per avere successo. La pressione psicologica e la sovraesposizione mediatica, a questa età non lasciano spazio ad altre accezioni di sport: se riesci e vai avanti sei un campione. Così, visto che proprio intorno agli 11 anni comincia il percorso agonistico e il gioco si fa duro, molti lasciano perdere».

La multidisciplinarietà può aiutare

Il drop out non ha una sola causa: la perdita di motivazione e di interesse è rinfocolata da altri fattori, come i maggiori impegni scolastici e i cambiamenti insiti nell’adolescenza per cui quello che piaceva da bambini adesso non piace più e viene quasi rinnegato.

A questo, si aggiunge l’abitudine, tutta italiana, di frequentare solo un tipo di sport: perso interesse per quello, addio attività fisica, almeno fino all’età adulta, quando spesso sono i chili di troppo che ci costringono a tornare in palestra. «Su quest’ultimo aspetto c’è tanto da fare: in Italia lo sport è storicamente vissuto come attività associativa ed esclusiva, l’idea di appartenenza a una singola disciplina affonda nella storia delle corporazioni» spiega l’esperta.

«Ragione in più per lavorare sulla multidisciplinarietà, a cominciare dalle scuole: da qualche anno portiamo le federazioni sportive nelle scuole, affiancando tecnici di varie discipline agli insegnanti di educazione motoria. Un approccio che permette non solo di trovare, tra tanti sport, quello che appassiona di più, ma anche di conoscere un ventaglio di possibilità da esplorare poi nel corso della vita».

Nuovi spazi sportivi urbani per attrarre i ragazzi

La multidisciplinarietà è anche alla base dei nuovi spazi dello sport che stanno nascendo nelle nostre città e che strizzano l’occhio ai ragazzi: impianti variegati e destrutturati dove, oltre al classico playground, ci sono spazi studiati per gli urban sport come lo skateboard e parkour, il campetto da basket e quello da calcio, la parete per l’arrampicata. Dove si può stare insieme e mettersi alla prova sul piano dell’attività fisica, ma nella maniera flessibile più congeniale ai ragazzi.

«Si chiamano spazi Illumina e sono luoghi dove l'aggregazione avviene senza bisogno di un'organizzazione formale, riprendono lo spirito aggregativo degli oratori. Sono un ritorno all’idea più pura dello sport, inteso come spazio di libertà, incontro e crescita».

I Giochi della gioventù come antidoto al drop out

Multidisciplinari per eccellenza sono anche i Giochi della Gioventù, la principale manifestazione sportiva italiana dedicata agli studenti delle scuole primarie e secondarie. Nati nel 1949 su iniziativa del Coni, hanno coinvolto generazioni di studenti in gare scolastiche regionali e nazionali e, dalla scorsa stagione, sono tornati per riaffermarsi come uno dei principali strumenti di promozione dello sport giovanile in Italia.

«I Giochi sono lo strumento più potente che abbiamo per promuovere la cultura dello sport come divertimento e benessere già da piccoli e contrastare il fenomeno del drop out» afferma Ciuffetti. «Prima di tutto perché permettono a tutti di conoscere e frequentare più sport da piccoli, evitando che la perdita di interesse per uno sport specifico porti all’abbandono completo. Poi, perché non servono livelli di preparazione avanzati e invitano al confronto più che alla competizione. A differenza di molte attività agonistiche, enfatizzano il gioco e la partecipazione più che la vittoria».

Praticare sport in modo divertente e inclusivo durante la preadolescenza crea routine fisiche piacevoli che tendono a consolidarsi negli anni successivi.


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