Corsa, i dolori del runner: cause, consigli e rimedi

Un dolore sotto il tallone oppure una fitta al polpaccio o dietro la coscia. Ecco i vari fastidi che possono presentarsi se correre è la tua passione. E come intervenire subito a seconda della zona che fa male



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La corsa è una vera e propria miniera di benefici per corpo e mente. A volte però, fitte, indolenzimenti e crampi rendono l’allenamento una gara a ostacoli. Scopri, con l’aiuto dei nostri esperti, come intervenire subito a seconda della zona che fa male.

  • Fianco

Sulla causa del dolore al fianco ci sono diverse ipotesi: «Secondo il mio parere nasce dal diaframma, muscolo che divide il torace dall’addome, e dai legamenti diaframmatici», spiega il dottor Sergio Migliorini, specialista in medicina dello sport, medicina fisica e riabilitazione, presidente della commissione medica della Federazione Mondiale di Triathlon.

«Interessa il fianco destro ed è dovuto al non essere abituati a respirare in modo corretto sotto sforzo e a sopportare allenamenti impegnativi. Quando colpisce occorre fermarsi, fare degli esercizi di mobilità della colonna e di respirazione, quindi riprendere a correre lentamente. Ma se non scompare è consigliabile sottoporsi anche a un’ecografia dell’addome superiore, per valutare fegato e colecisti».

  • Lato esterno del ginocchio

Il dolore sul lato esterno del ginocchio è il sintomo della sindrome della bandelletta ileotibiale: «Si presenta con un dolore acuto, che impedisce di correre», afferma il dottor Sergio Migliorini.

«Occorre applicare del ghiaccio per 3 volte al giorno e interrompere la corsa per almeno 15 giorni, ma è possibile mantenersi attivi con il ciclismo. Per intervenire risultano utili onde d’urto, massaggi manuali profondi svolti dal fisioterapista ed esercizi con il foam roller, eseguiti facendo scorrere sul “rullo” la parte laterale della coscia. Se la terapia non dà risultati sono indicate 1-2 infiltrazioni di cortisone; inoltre, lo specialista può richiedere un’ecografia e/o una risonanza magnetica del ginocchio, per valutare anche il menisco esterno».

  • Schiena

«Il mal di schiena è molto comune nei runner “over 50”, che hanno già una colonna vertebrale artrosica, con protrusioni e faccette articolari infiammate», spiega Migliorini. «Gran parte delle persone passa molto tempo seduta, questo non fa bene e spesso la corsa “sveglia” il mal di schiena, problema che nasce dalla quotidianità. Quando la lombalgia si presenta bisogna sospendere gli allenamenti, assumere un antinfiammatorio per almeno una settimana e affidarsi al fisiatra. Lo specialista suggerirà degli esercizi di rinforzo della muscolatura del tronco, come quelli di core stability (fra cui il plank), ma anche crunch ed esercizi di stretching, che inserirà a seconda del quadro clinico; utili, inoltre, delle sedute di massaggio manuale decontratturante.

Se il problema non si risolve, oppure si ripresenta, bisogna eseguire una radiografia o, in caso di dolori simili a una scossa elettrica e accompagnati da formicolii, una risonanza magnetica. Io consiglio sempre ai runner di verificare se seguono un allenamento sbagliato, se le scarpe indossate sono corrette ma, soprattutto, di controllare alcuni aspetti della vita quotidiana, come l’uso di una sedia ergonomica in ufficio e da quanto tempo non sostituiscono il materasso: molti hanno il mal di schiena perché dormono sullo stesso da più di vent’anni».

  • Inguine

Quando il dolore all'inguine compare nelle runner over 50, magari dopo un allenamento più impegnativo del solito, attenzione: non è detto che si tratti di una pubalgia come si potrebbe pensare. «Se impedisce di rimanere in equilibrio su una gamba, spesso la causa è una frattura da stress della branca ischio pubica, l’osso su cui ci poggiamo quando siamo seduti», avverte il dottor Sergio Migliorini.

«Nel caso, se dopo aver seguito per una settimana le terapie per la pubalgia (applicazioni di ghiaccio, massaggi dell’adduttore ed esercizi di stretching) non ci sono miglioramenti, è consigliabile sottoporsi a una radiografia del bacino. Se però l’esito è negativo, è bene avere una conferma con una risonanza magnetica». La terapia prevista: «Stop alla corsa per almeno 4-6 settimane e cicli di campi elettromagnetici pulsati», chiarisce l’esperto.

  • Intorno alla rotula

La causa del dolore intorno alla rotula potrebbe essere l’usura della cartilagine della rotula.

«In alcuni casi colpisce i runner “over 40” che in passato hanno subìto traumi sportivi al ginocchio e, dopo anni di corsa, si ritrovano con l’articolazione che fa male e un po’ gonfia. Per intervenire bisogna fermarsi, applicare del ghiaccio, sottoporsi a cicli di fisioterapia e infiltrazioni di acido ialuronico (da 1 a 3), che sulla cartilagine ha un effetto protettivo, antidolorifico e antinfiammatorio; inoltre, in alcuni casi sono utili anche quelle di PRP (plasma ricco di piastrine). Occorre pure eseguire degli esercizi di rinforzo del vasto mediale obliquo (muscolo che si trova all’interno del ginocchio) in modo da rendere stabile la rotula e, per mantenersi attivi, praticare nuoto e ciclismo, quest’ultimo solo in pianura e con rapporti agili», spiega Migliorini.

  • Sopra il calcagno

Un dolore sopra il calcagno è il segnale della tendinopatia achillea. «Il problema potrebbe essere l’usura del tendine d’Achille a circa 2-3 cm sopra il calcagno, dovuta a un brusco aumento delle distanze percorse, agli allenamenti molto veloci e alle corse in collina», spiega il dottor Sergio Migliorini.

«Se provi un dolore acuto niente running (ma puoi tenerti in movimento con la bicicletta), applicazioni di ghiaccio (10’ minuti per 3 volte al giorno) ed esercizi di stretching del polpaccio. Inoltre, bisogna evitare di camminare a piedi nudi e indossare ciabatte e scarpe con un drop (la differenza di altezza fra la parte anteriore e quella posteriore della calzatura) di almeno 10 millimetri. Nel caso è importante affidarsi allo specialista e sottoporsi almeno a un’ecografia, mentre la terapia prevede cicli di Tecar o laser».

  • Gambe

L’indolenzimento della gambe potrebbe essere dovuto al cosiddetto Doms (acronimo di “Delayed Onset Muscle Soreness”): «Interessa i runner che affrontano allenamenti impegnativi lungo percorsi che presentano soprattutto tratti in discesa», spiega Francesco Munna, personal trainer e preparatore atletico a Milano.

Non solo: «Colpisce anche chi effettua un training più intenso rispetto ai propri standard», afferma il dottor Roberto Sala, specialista in medicina dello sport a Milano. «Sono dolori muscolari che generalmente compaiono entro 24 ore dal termine dello sforzo fisico e iniziano a regredire dopo 72 ore. Il fenomeno può essere causato sia dai microtraumi dovuti alle contrazioni muscolari durante la performance sia al sovraccarico dettato dalla dinamica della corsa. Evita analgesici e riposo assoluto: meglio fare un’attività diversa dal running e a un’intensità soft, come camminate, aquagym, nuoto e bicicletta. Questo aiuta a tenere in movimento i muscoli senza stimolarli in maniera eccessiva e può favorire la riduzione dei dolori», conclude il medico.

  • Caviglia

Dolore e gonfiore sulla parte esterna della caviglia sono i segnali di una distorsione: «Occorre fare un bendaggio compressivo, applicare del ghiaccio per 3-4 volte al giorno (non oltre 10-15’), tenere il piede sollevato e rivolgersi al traumatologo. In caso di distorsione di primo grado (la più leggera), si può tornare ad appoggiare il piede nel giro di una settimana, mentre per quelle di secondo e terzo potrebbe essere necessario immobilizzare la caviglia con un tutore e tenere l’arto sollevato anche per 20 giorni», spiega il dottor Daniele Casalini, responsabile dell’UO di ortopedia II degli Istituti Clinici Zucchi di Monza e traumatologo della Pallacanestro Olimpia Milano.

La riabilitazione prevede terapie come Tecar, ultrasuoni o laser e manovre manuali. Dopo la fase acuta si punta al rinforzo muscolare con il lavoro in acqua (nuoto, camminata, balzi) ed esercizi dinamici, utili anche per riacquistare senso della posizione e del movimento. I tempi di recupero vanno da 10-15 giorni a 4-6 settimane.

  • Polpaccio o dietro la coscia (fitte)

«Se durante la corsa avverti una fitta al polpaccio o dietro la coscia, le probabilità che non sia una contrattura ma una lesione muscolare sono altissime», avverte il dottor Sergio Migliorini. «Certo, negli amatori che si allenano a un’andatura blanda è facile che sia di dimensioni limitate (1 centimetro o pochi millimetri), ma è comunque dolorosa».

Che fare? «Applica il ghiaccio, mettiti a riposo, indossa una calza compressiva e assumi un antinfiammatorio (per un giorno o due al massimo). Quindi rivolgiti allo specialista, che per fare chiarezza prescriverà un’ecografia. Poi, sarà il turno del fisioterapista, che interverrà con un ciclo di tecarterapia o laserterapia. I tempi di recupero: almeno 15-20 giorni», conclude l’esperto.

  • Bordo esterno del piede

Se macini chilometri il dolore al bordo esterno del piede potrebbe essere una frattura da stress: «La causa sono tanti piccoli traumi ripetuti, determinati dall’impatto dei piedi con il suolo durante la corsa. Il problema colpisce soprattutto i metatarsi (lo scheletro della parte centrale del piede), in modo particolare il quinto. Nel caso stop immediato dell’attività e immobilizzazione dell’arto con un tutore a stivaletto, da tenere per 4 settimane», spiega il dottor Daniele Casalini.

Quindi, dopo la radiografia di controllo entra in campo il fisioterapista, con sedute di tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni e manovre manuali. Poi, in seconda battuta, si passa alla fase di rinforzo muscolare, che prevede esercizi in acqua e “a secco”. Per riprendere a correre sono necessarie almeno 6-8 settimane.

  • Sotto il tallone

Il dolore sotto il tallone è la fascite plantare. «Capita ai podisti che si allenano indossando scarpe usurate, ma è più facile che colpisca i corridori “occasionali” che camminano a piedi nudi a casa o, nel tempo libero, utilizzano sneakers piatte. Il dolore, localizzato sotto il tallone, spesso si irradia 4-5 cm più avanti e a volte dura per tutta la giornata», spiega il dottor Migliorini.

Il primo step: «Riposo, ghiaccio per 2 o 3 volte al giorno e, eventualmente, un bendaggio di supporto per la fascia plantare. Inoltre, occorre eseguire degli automassaggi facendo scivolare una pallina da golf sotto la pianta del piede per alcuni minuti ed esercizi di stretching». Un esempio: sostenendovi a un appoggio, salite su un gradino con gli avampiedi e lasciate cadere i talloni, lentamente. Quando sentite “tirare” i polpacci, mantenete per 15”, poi ritornate nella posizione di partenza e ripetete, per 10 volte.

«Completa la terapia il ciclismo, da praticare anche quotidianamente: pedalare genera un movimento di stretching molto utile per la fascia plantare. Quindi, dopo circa 15-20 giorni, lo specialista può intervenire con un ciclo di onde d’urto, fibrolisi diacutanea (terapia che tramite dei ganci curvi rilassa le zone rigide e fibrotiche di muscoli e tendini) e, in alcuni casi, 1-2 infiltrazioni di cortisone o PRP», aggiunge l’esperto.

  • Polpaccio (crampi)

«I crami al polpaccio sono legati a un'insufficiente preparazione del muscolo che, a un certo punto della prestazione, “rifiuta” lo sforzo e si contrae», spiega il dottor Daniele Casalini. «Ad andare incontro a questo tipo di problema, di solito, sono i gemelli, due muscoli del polpaccio. I crampi si risolvono velocemente, ma non vanno sottovalutati perché potrebbero evolversi in una lesione muscolare».

Come intervenire? «Al primo accenno di fastidio bisogna fermarsi, sdraiarsi e sollevare la gamba (se corri in compagnia puoi farti aiutare da chi si allena con te), in modo da lasciar sciogliere la contrattura. Di solito bastano 5‘». Inoltre, meglio evitare manovre che hanno l’obiettivo di distendere il polpaccio: «Se è presente una lesione muscolare c’è il rischio che possa peggiorare», avverte lo specialista.

  • Ginocchio (con gonfiore e instabilità)


Gonfiore e instabilità del ginocchio: si tratta di una distorsione. L’approccio è quello previsto quando il problema interessa la caviglia: occorre mettersi a riposo, bendare la zona, applicare il ghiaccio, evitare di appoggiare a terra la gamba infortunata e rivolgersi allo specialista. «In questo caso, però, non è raro che si arrivi a una soluzione chirurgica, perché potrebbe esserci una lesione: la più frequente è quella del menisco», spiega il dottor Casalini.

Durante l’intervento il chirurgo asporta solo la porzione di menisco lesionata. Quindi ci si affida al fisioterapista, che già dal giorno dopo l’operazione aiuta a recuperare la mobilità articolare tramite delle manovre manuali, per poi passare alla fase di rinforzo muscolare. «In media, nel giro di 2 settimane si riprende la vita normale (camminare, fare le scale, guidare) e in 3-4 si torna all’attività sportiva», afferma l’esperto.



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