Storia vera. Runner alfiere: di corsa spingendo una carrozzella

È così che viene chiamato chi, come Federica, coinvolge i bimbi disabili nelle corse spingendo carrozzine speciali. Un modo per vivere lo sport anche con il cuore



223802

«La motivazione per correre l’ho trovata solo con la joëlette. L’idea di aiutare qualcuno a “sentire il vento in faccia” mi ha dato la spinta giusta: ha trasformato un modo per ritornare in forma, dopo tre gravidanze, in un impegno che ha arricchito me e la mia famiglia».

Federica, 42 anni, impiegata di Roma, ha tanta voglia di condividere la sua esperienza come runner “alfiere”. Insieme con altri tre atleti amatoriali, corre spingendo e sostenendo una carrozzella speciale a ruota unica, studiata per dare la possibilità a chi ha una mobilità ridotta di vivere le esperienze sportive.


Il primo a cominciare è stato mio marito

«Prima la corsa era quasi “un dovere”, un modo per fare fitness e mantenermi tonica; adesso mi alleno due-tre volte alla settimana, senza far caso alla sveglia che suona alle 6», continua Federica. Con gli occhi che brillano, ci tiene a far conoscere a tutti il “potere” della joëlette.

«Il primo a diventare runner alfiere è stato mio marito, un anno e mezzo fa. I genitori di Irene, una compagna di scuola del mio secondogenito con una disabilità importante, lo avevano contattato sapendo che è un appassionato di corsa da sempre. Lui ha accettato subito la proposta di diventare runner alfiere per Irene e ha iniziato ad allenarsi con gli altri componenti del team (servono quattro persone per ogni joëlette). Per mantenere in equilibrio la carrozzella e gestirne il peso, bisogna essere ben coordinati e imparare a dosare lo sforzo. È stata una soddisfazione fin dall’inizio, perché Irene reagisce molto bene alla scarrozzata: dopo una corsa è contenta e il suo corpo si rilassa», racconta la nostra protagonista.

Affiatato e motivato, il gruppo ha deciso di partecipare ai Mondiali di jolëtte, in Normandia, e Federica li ha seguiti per tifare e sostenerli. «L’incredibile emozione che ho provato mi ha spinto a volter essere parte attiva di questo progetto», sottolinea.


223803Anch’io ho organizzato il mio equipaggio

Senza timori si è dunque messa in gioco, decidendo di organizzare un suo equipaggio, per regalare a un bambino l’emozione della corsa.

«Ho composto il team con i genitori di Irene, Anna Claudia e Fernando, e Matteo, un volontario del Sod, la onlus con cui ci siamo avvicinati al mondo della joëlette. Nessuno di loro era particolarmente in forma, come me del resto, perciò abbiamo pensato di creare un equipaggio lento. Puntiamo a partecipare più che a vincere», continua con un gran sorriso.

A giugno hanno iniziato ad allenarsi coinvolgendo Carletto, un bimbo di 6 anni che soffre di atrofia muscolare spinale (sma), una malattia rara caratterizzata dalla perdita dei neuroni che trasportano i segnali di movimento dal sistema nervoso ai muscoli.

«Vive a Padova ma, con la sua famiglia, viene spesso a Roma, per le cure. Ha una grinta invidiabile e, quando gli ho proposto di salire sulla joëlette ne era entusiasta», ricorda Federica.

Dopo un’estate intensa di training, con le scarpe da corsa anche in vacanza, per non perdere nemmeno un’occasione per fare gambe e fiato, il 28 settembre il “team Carletto” si è presentato ai Campionati europei di joëlette, a Saint-Etienne, in Francia.

«Eravamo emozionatissimi, con il fondato timore di sfinirci e non arrivare al traguardo», racconta, con un pizzico di commozione. «Invece ha funzionato tutto al meglio: il gruppo era affiatato, ci siamo sostenuti a vicenda e Carletto ci ha dato una marcia in più, tifando, emozionandosi, facendoci divertire. Eravamo talmente “esplosivi” per la nostra allegria che, pur avendo perso l’adesivo che segnalava il nostro passaggio al secondo giro del circuito, siamo stati riconosciuti dai giudici e ammessi alla classifica finale. E alla fine abbiamo fatto gran festa, tutti insieme», commenta Federica.


Un’esperienza importante anche per i miei figli

I prossimi obiettivi della nostra protagonista? «Vorrei trovare nuovi runner disposti a entrare a far parte del “progetto joëlette”, persone consapevoli che lo scambio con chi viene portato sulla joëlette è alla pari, perché si riceve tanto da loro. Voglio continuare ad allenarmi, perché mi fa bene al cuore e al fisico. Inoltre, spero che i miei figli non smettano mai di sentirsi coinvolti in questa esperienza: venire a fare il tifo alle gare, coltivare l’amicizia con ragazzini così grintosi e pieni di entusiasmo, li aiuta a dare il giusto peso a quello che succede nella vita e li arricchisce enormemente», conclude Federica.



Per diventare “alfiere”

Federica corre insieme a Sod Italia, l’Associazione displasia setto ottica e ipoplasia del nervo ottico, di Roma.

«È una delle onlus più organizzate, ma non l’unica», spiega. Pur non essendoci un elenco ufficiale di club e associazioni che gestiscono le joëlette, in Italia se ne contano una trentina.

«Non tantissime, ma il movimento sta crescendo velocemente. Tanto che anche la Fidal, la federazione dell’atletica leggera, ha deciso di finanziare l’acquisto di 2 nuovi mezzi», commenta Federica Gargiulo.

Per avere informazioni, puoi contattare soditalia.it o informarti durante le prossime gare: la Corsa di Miguel, il 19 gennaio, e la mezza maratona di Roma, il 15 giugno, nella capitale.



Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n. 50 di Starbene in edicola dal 26 novembre 2019


Leggi anche

"Quando il dolore cronico mi uccideva"

Diastasi addominale: "Con lo yoga ho evitato il bisturi"

Storia vera: "Ora la mia vita è ballare"

"Corro per mio figlio che non c'è più"

"Ho curato la psoriasi con i bagni nel bosco"

Storia vera: sono scappata dalla gabbia della violenza

Storia vera: dal dentista ho curato acufeni e vertigini

"Ho ricominciato a sentire grazie all'impianto"

Storia vera: la fibromialgia mi ha insegnato a rallentare

"Ho superato il tumore grazie allo sport"