Trattamento farmacologico il cui obiettivo è l’eliminazione delle cellule cancerose nell’insieme dei tessuti.
Tipi di farmaco
Migliaia di sostanze naturali o sintetiche sono state testate in laboratorio, in particolare sugli animali; tuttavia, da quando fu introdotto l’uso delle mostarde azotate (nel 1942), solo un centinaio di agenti antineoplastici vengono oggi impiegati sull’uomo.
I farmaci antineoplastici agiscono sulle cellule che sono appena entrate in un ciclo cellulare, nel periodo preparatorio alla mitosi (divisione cellulare). Alcuni, che intervengono su una fase ben precisa di questo ciclo, vengono definiti fase-dipendenti. Il meccanismo d’azione di tali farmaci spesso è noto e ne rende possibile la classificazione.
Antimetaboliti Comprendono fluorouracile, metotrexato, 6-mercaptopurina, nitrosuree. Bloccano la sintesi del DNA.
Farmaci che agiscono sul DNA preformato Sono gli agenti alchilanti (ciclofosfamide, ifosfamide, melfalan, mitomicina C, sali di platino); gli agenti intercalanti (antracicline e antracenedione), che si fissano tra due filamenti di DNA e interagiscono con la topoisomerasi II, enzima necessario perché il DNA abbia struttura normale; la bleomicina, che provoca la frammentazione del DNA.
Farmaci antimitotici Comprendono alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina, vindesina, vinorelbina) e tassani (derivati del tasso), chiamati veleni del fuso mitotico, che impediscono la divisione cellulare. Altri farmaci sono i derivati della podofillotossina (teniposide, vepeside), che provocano la rottura dei filamenti di DNA e interagiscono con la topoisomerasi II; la procarbazina, che agisce sull’RNA transfer; infine, l’actinomicina D, che agisce sull’RNA messaggero.
Tipi di trattamento
Tra i criteri di scelta di un farmaco, si deve tenere conto della sensibilità e della resistenza spontanea del cancro da trattare. Il grado di sensibilità dipende soprattutto dal tipo di tessuto (polmonare, mammario). Inoltre possono intervenire altri fattori, come una scarsa irrorazione vascolare del tumore, che riduce la concentrazione dei farmaci nel sangue, o la capacità delle cellule cancerose di riparare il proprio DNA danneggiato dai farmaci. Occorre inoltre tenere conto della scarsa efficacia della monochemioterapia (trattamento con un unico farmaco): più spesso si pratica quindi una polichemioterapia, associando vari medicinali. Poiché i prodotti impiegati hanno meccanismi d’azione differenti, la loro efficacia globale è superiore a quella di ogni prodotto preso singolarmente. Di conseguenza, per evitare una tossicità cumulativa, non si prescrivono al malato molti farmaci dotati di un effetto tossico importante sullo stesso organo. Altri criteri di scelta includono l’età del paziente e le malattie, precedenti o associate al cancro, che possono costituire una controindicazione ad alcuni prodotti. Quanto alle modalità di somministrazione, i farmaci antineoplastici possono essere assunti per via generale, e in tal caso agiscono in modo diffuso nell’organismo, e per via locoregionale, circoscritta al tumore o alla regione del corpo da esso colpita.
Trattamento per via generaleLa somministrazione, per bocca o per via iniettiva, avviene sia per cicli di uno o più giorni, a intervalli regolari (per esempio tutti i mesi), sia in modo continuo per lunghi periodi. Il trattamento ha luogo generalmente in ambito ospedaliero. La chemioterapia antineoplastica può essere associata all’ormonoterapia, nelle forme di cancro ormonodipendenti (seno, utero, prostata), per agire congiuntamente sulle cellule soggette all’influenza ormonale e su quelle che non lo sono. Il trattamento per via generale può essere associato anche a una terapia locoregionale non farmacologica, consistente nella radioterapia o nell’intervento chirurgico.
L’associazione alla radioterapia permette di amplificare gli effetti tossici sulle cellule cancerose. In alcuni casi il trattamento per via generale consente di effettuare un’ablazione chirurgica ritenuta in un primo momento impraticabile o difficoltosa, in quanto diminuisce, per esempio, il volume del tumore.
Il trattamento per via generale è in ogni caso l’unico in grado di distruggere eventuali metastasi, cellule cancerose disseminate nell’organismo, talvolta a grande distanza dalla sede originaria della neoplasia.
Trattamento per via locoregionale Alcuni farmaci antineoplastici possono essere introdotti attraverso le membrane sierose (pleura, pericardio, peritoneo) o la vescica. In alcune forme di cancro di competenza otorinolaringoiatrica o localizzate agli arti, al bacino o al fegato, il farmaco può essere iniettato nell’arteria che irrora la regione interessata. Questa soluzione permette di ottenere forti concentrazioni locali senza che il prodotto si diffonda nell’organismo. Nella maggior parte dei casi il trattamento, eseguito a cicli ripetuti, è iniziato in ospedale e può essere proseguito a domicilio sotto sorveglianza medica.
Effetti indesiderati
I farmaci antineoplastici non agiscono soltanto sulle cellule tumorali, ma sono tossici anche per quelle normali a ritmo di crescita elevato (cellule del sangue o dell’apparato digerente) e per alcuni organi. Tale tossicità può essere immediata e manifestarsi al momento stesso della somministrazione, presentarsi dopo vari giorni, con un danno ai tessuti a ritmo di crescita elevato, oppure essere ritardata in funzione delle dosi, per alcuni farmaci caratterizzati da una particolare tossicità d’organo.
Tossicità ematica Tutti i farmaci antineoplastici, tranne la bleomicina, sono tossici per le cellule del sangue. Tale danno si traduce, durante la formazione del midollo osseo, nella diminuzione dei globuli bianchi e delle piastrine, responsabili rispettivamente di infezioni ed emorragie, che si manifestano a distanza di 10-14 giorni dall’inizio del trattamento.
Oggi questi inconvenienti possono essere arginati dall’assunzione di altri farmaci, i cosiddetti fattori di crescita cellulare, volti ad accelerare la formazione delle cellule ematiche nel midollo osseo. Tale trattamento stimola soprattutto la produzione di globuli bianchi, ma ha scarso effetto sulle piastrine.
I fattori di crescita, che vengono somministrati per via iniettiva, riducono comunque l’insorgenza di complicanze infettive o ne limitano la gravità; la loro efficacia, attualmente limitata, dovrebbe aumentare in un futuro piuttosto vicino.
Anche la pratica del trapianto di midollo, cui può essere associata l’assunzione di questi farmaci, permette oggi di eseguire chemioterapie a dosi più elevate. La riparazione midollare, spontanea o sostenuta dai fattori di crescita, rende possibile riprendere un trattamento antineoplastico dopo un’interruzione di 21-28 giorni, a seconda dei prodotti e delle associazioni utilizzati.
Tossicità digestiva I sali di platino sono i farmaci più tossici per l’apparato digerente. Nausea e vomito non costituiscono più uno degli effetti indesiderati della chemioterapia, poiché gli antiemetici della famiglia delle antiserotonine, se associati sistematicamente ai farmaci a più spiccata tossicità, sopprimono in parte queste reazioni nella maggioranza dei pazienti.
Altri effetti tossici Si tratta di effetti indesiderati di tipo immediato, che riguardano i tessuti a rapido rinnovamento (capelli, mucosa orodigerente, vescica) o di effetti secondari di tipo ritardato, specifici di alcuni organi.Richiedono una sorveglianza regolare e vengono presi in considerazione nella scelta dei farmaci. Possono imporre la sospensione temporanea o definitiva del trattamento in causa. Possono presentarsi anche danni neurologici. In corso di trattamenti prolungati con sali di platino, si sono osservati casi di neuropatia a carico degli arti, sia superiori sia inferiori, e la perdita del gusto e della sensibilità. Simili danni sono reversibili.
La caduta dei capelli è frequente in corso di chemioterapia antineoplastica. Ne sono responsabili le antracicline, gli alcaloidi della vinca e i derivati della podofillotossina. Pur trattandosi di un fenomeno reversibile alla fine del trattamento, si può arginare indossando un casco refrigerante per tutto il tempo della perfusione: il freddo provoca infatti una vasocostrizione al cuoio capelluto che limita l’afflusso del prodotto in quest’area. Gli effetti sul cuore consistono in alterazioni del ritmo nelle ore che seguono il trattamento con antracicline. Nei pazienti in cura con forti dosi può insorgere un’insufficienza cardiaca grave, resistente ai trattamenti abituali. Anche i malati trattati con antracicline sono sottoposti a controlli frequenti della funzionalità cardiaca. A livello delle gonadi (cellule sessuali), la chemioterapia può causare sterilità, problema che, nei soggetti in età fertile, giustifica il ricorso a tecniche di conservazione dello sperma prima dell’inizio della terapia.
I danni possibili a pelle e mucose riguardano le reazioni eritematose (arrossamenti) che il fluorouracile provoca sulla cute sana. Il metotrexato causa eritemi e ulcerazioni della bocca e della pelle; la bleomicina lesioni delle mucose o della pelle. Tutte queste patologie regrediscono spontaneamente alla fine del trattamento.
Gli effetti sui polmoni sono rappresentati da fibrosi irreversibili, provocate dalla bleomicina, in particolare negli anziani o quando il farmaco è associato alla radioterapia. I malati che assumono metotrexato rischiano uno pneumotorace (penetrazione d’aria nella cavità pleurica), curabile al di fuori del trattamento.
Gli effetti sui reni dipendono dall’assunzione di mitomicina; talvolta si osserva un aumento dei livelli ematici di creatinina, indicativo del grado di insufficienza renale. Se assunti in dosi massicce i sali di platino possono causare un danno renale (edemi, crisi di uremia). Simili disturbi sono reversibili.
Resistenza al trattamento
Può accadere anche che nel corso del trattamento chemioterapico si manifesti una resistenza del paziente a vari farmaci. Questo fenomeno si osserva con gli alcaloidi della vinca, i derivati della podofillotossina, le antracicline e i tassani.
È sufficiente che il malato sia stato trattato con una sola di queste sostanze perché sviluppi una resistenza a tutte e quattro le categorie farmacologiche. Vari prodotti possono invertire la tendenza: verapamil, tamossifene, ciclosporina. Tuttavia, quando si produce una simile resistenza è spesso necessario modificare il trattamento e fare ricorso a farmaci con meccanismi d’azione differenti.