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Disturbo post traumatico da stress: che cos’è il ptsd e cosa fare

È un disturbo “collettivo”, che colpisce l’equilibrio mentale e l’emotività delle persone che hanno subito un incidente, disastro ambientale, una guerra. E colpisce anche i loro famigliari e i conoscenti. Ecco cosa fare

Foto: iStock




Si chiama Ptsd, Post traumatic stress desorder, in italiano disturbo post traumatico da stress e sale prepotentemente alla ribalta ogni volta che si verifica una tragedia collettiva.

Come la caduta del ponte Morandi di Genova, oppure la piena del torrente al Parco del Pollino in Calabria, per citare i due fatti drammatici accaduti nel mese di agosto 2018 nel nostro Paese.

«Questi eventi hanno ripercussioni sulla salute mentale di chi è sopravvissuto, sui familiari delle vittime e sui conoscenti», spiega Bernardo Carpiniello, Presidente SIP, Società Italiana di Psichiatria. «A differenza degli altri disturbi psichiatrici come la depressione e l'ansia, infatti, il disturbo da stress post traumatico coinvolge più persone che soffrono in contemporanea degli stessi sintomi».


Quando è stato identificato il Ptsd

La storia del Ptsd è recente. I primi casi si sono riscontrati stato durante la guerra in Vietnam. I soldati americani di ritorno dal fronte non riuscivano a superare gli orrori vissuti e a riprendere una normale vita sociale.

Gli stessi sentimenti, però, venivano vissuti in una sorta di coralità inaspettata anche da chi era vicino ai reduci oppure aveva subito la perdita di un caro. Da qui, i primi studi e la certezza di trovarsi di fronte a un nuovo disturbo.


Quali sono i sintomi

La vittima, ma anche chi ha subito indirettamente il trauma, continua a rivivere l’esperienza traumatizzante sotto forma di incubi, flashback.

«È diffusa anche la difficoltà a controllare le emozioni, l’insonnia, gli stati di ansia e spesso persino i sensi di colpa», aggiunge il professor Carpiniello. «È tipico per esempio il rimorso, assolutamente ingiustificato, di essere sopravvissuti e di non aver fatto abbastanza per salvare altre vite. Possono essere presenti, poi, sintomi dissociativi, come il senso di distacco dalla realtà o uno stato di amnesia dell’evento e altri cosiddetti da evitamento che consistono nell’evitare situazioni e circostanze che ricordino l’evento.

Inoltre, c’è uno stato di persistente “attivazione “ che si esprime con ipersensibilità a stimoli sonori e insonnia. Ultimi, ma non meno importanti, sono i disturbi fisici quali dolori al torace, mal di testa, disturbi gastrointestinali».


Come si cura questa sindrome

La tecnica più usata è la terapia cognitivo-comportamentale, che in genere viene iniziata nei giorni successivi alla disgrazia, per evitare la cronicizzazione della sindrome. I risultati sono buoni in circa otto casi su dieci.

«Con la terapia si impara a elaborare la tragedia», sottolinea il professor Carpiniello. «E a vivere di nuovo in modo appropriato le proprie emozioni».

Esistono in particolare équipe di psicologi di urgenza che sono specializzati negli interventi immediati. Chi ha seguito le prime ore di cronaca della tragedia di Genova, avrà sentito parlare di équipe di psicologi della Protezione Civile che erano attesi in ospedale per l’assistenza ai sopravvissuti e ai loro familiari. Si tratta di specialisti che fanno parte del nucleo interno oppure di volontari che mettono a disposizione le loro competenze per i momenti di emergenza.

articolo pubblicato il 23 agosto 2018

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